Gaetano Donizetti (1797 – 1848): “Enrico di Borgogna” (1818)

Melodramma per musica in due atti su libretto di Bartolomeo Merelli. Anna Bonitatibus (Enrico), Francesco Castoro (Pietro), Sonia Ganassi (Elisa), Levy Sakgapane (Guido), Luca Tittoto (Gilberto), Lorenzo Barbieri (Brunone), Matteo Mezzaro (Nicolas), Federica Vitali (Geltrude). Academia Montis Regalis, Alessandro De Marchi (direttore), Coro Donizetti Opera, Fabio Tartari (maestro del coro), Silvia Paoli (regia), Andrea Belli (scene), Valeria Donata Bettella (costumi), Fiammetta Baldisseri (luci).Registrazione: Donizetti Opera 2018. Bergamo, Teatro Sociale, 23-25 novembre, 11 dicembre 2018. 1 DVD Dynamic 37833

Enrico di Borgogna è l’opera con cui il ventenne Donizetti incontra per la prima volta il palcoscenico teatrale come compositore.  Siamo nel 1818 e il modello di Rossini, ovviamente imprescindibile per i giovani compositori, si univa in Donizetti alla formazione con Mayr il cui linguaggio musicale aveva anticipato già nei primissimi anni del secolo stilemi che abitualmente associamo a Rossini.
L’opera del debutto è alquanto insolita; è, infatti, un’opera comica di ambientazione storica e con venature semiserie, un terreno alquanto insidioso per un giovane compositore. L’ascolto mostra una mano di certo ancora immatura anche se di un “ragazzo” estremamente ben preparato. Donizetti conosce alla perfezione il mondo musicale del proprio tempo, padroneggia con mano incredibilmente sicura, vista la giovane età, tutti gli schemi formali in auge, conosce molto bene i recenti successi rossiniani tanto da riuscire a parodiarli – come il tema della cavatina di Tancredi ripreso in “Mi scendi all’anima”. Si tratta, quindi, di un’opera che ben poco fa intuire del futuro Donizetti – se non uno squarcio nella già citata aria in cui per un attimo si palesa una premonizione dell’”Anna Bolena” – ma che sicuramente si configura come il frutto di un precoce talento che doveva solo trovare la sua strada per sbocciare completamente e che qui di certo non è aiutato dal fragile libretto di Bartolomeo Merelli, abbastanza carente soprattutto nel campo della consequenzialità narrativa.
Il Donizetti Festival di Bergamo non poteva mancare l’occasione di allestire l’opera per “celebrare” il bicentenario della prima rappresentazione e il risultato complessivo è stato più che godibile; la presente versione DVD copre inoltre una lacuna della discografia per un’opera sicuramente importante storicamente anche al di là dei meriti artistici.
La regista Silvia Paoli si trova a lavorare con un materiale nell’insieme molto di maniera ma riesce a trarne il maggior profitto possibile. Rinuncia a ogni tentativo di realismo e gioca la carta del teatro nel teatro. Durante il preludio siamo dietro le quinte del Teatro di San Luca in occasione della prima rappresentazione dell’opera; assistiamo all’arrivo degli artisti – in abiti rigorosamente d’epoca – e al sorgere dei primi problemi, in quanto per lo sconosciuto compositore il teatro non ha certo voluto investire molto. A mancare è addirittura la prima donna ma il tempo preme e l’impresario non trova miglior partito che far vestire il costume a una fantesca che di colpo si trova catapultata sul palcoscenico. Con l’inizio dell’opera il palcoscenico ruota e vediamo il proscenio del teatro dove, con pochi mezzi e tanta confusione, l’improvvisata compagnia cerca di portare in scena l’opera fra elementi scenici dimenticati – Pietro è costretto, infatti, a portarsi in braccio la tomba della sposa – capricci e ritardi. Le coloratissime scene di Andrea Belli così come i costumi di Valeria Donata Bettella contribuiscono a creare un clima incantato tra la fiaba e i teatrini di marionette dell’infanzia. I costumi rinunciano all’ambientazione tardo-medioevale della vicenda e la spostano nell’epoca dell’ancien régime molto più prossima a quella della prima e in cui non mancano accenni alla realtà contemporanea. Sono gli anni in cui cominciano a montare sentimenti patriottici – le rivoluzioni carbonare del 1821 scoppieranno solo tre anni dopo – e il tema del tiranno usurpatore – anche se comicamente trattato – non poteva che suscitare inevitabili associazioni d’idee per il pubblico italiano del tempo e per lo stesso Donizetti che in seguito si sarebbe avvicinato ai movimenti carbonari e anti-austriaci. La Paoli guida il tutto con mano sicura e leggera garantendo una piena riuscita di un allestimento amabilmente festoso.
La componente orchestrale è affidata all’Academia Montis Regalis sotto la guida del proprio direttore stabile Alessandro de Marchi. La sua lettura, che esalta proprio i legami con i modelli costituiti dal senso ritmico rossiniano e dal rigore ancora classico ereditato da Mayr, non solo non cerca di avvicinare l’opera al Donizetti maturo ma piuttosto carica i tratti ritmici e agogici per dare all’insieme un sapore quasi marionettistico perfettamente in linea con lo spettacolo.
Sul piano vocale brilla la parte femminile. Anna Bonitatibu, nei panni en-travesti di Enrico, fa valere, infatti, la sua consolidata esperienza sia nel repertorio rossiniano sia in quello barocco e classico. Il timbro caldo e pastoso, la perfetta emissione e la naturale propensione al canto di coloratura si prestano perfettamente alla parte. La Bonitatibus è inoltre attenta interprete capace di sfruttare anche la sicurezza nei passaggi virtuosistici a scopo espressivo come si apprezza nel notevole rondò con cui Enrico chiude l’opera. Ottima attrice si cala perfettamente nella parte della dilettante allo sbaraglio che acquisisce progressivamente sicurezza ed entusiasmo.
Sonia Ganassi gioca in Elisa la parte della diva che si finge fanciulla ingenua con gusto e ironia. La voce si adatta bene alla tessitura ibrida del ruolo e la Ganassi gioca molto sui registri caricandoli ironicamente per esaltare in modo grottesco la contrapposizione fra comico e patetico che è del ruolo. La sua lunga frequentazione dei ruoli rossiniani emerge nella sicurezza dell’emissione e nella pulizia del canto di coloratura.
L’opera presenta due parti tenorili. Nei panni del perfido usurpatore Guido, il giovane Levy Sakgapane mostra un’ottima conoscenza stilistica – l’esperienza con l’Accademia pesarese  si sente –  ma la voce è molto leggera e soprattutto quando sale in acuto tende ulteriormente a impoverirsi. Forse il materiale deve ancora maturare ma qui si assiste a una certa difficoltà nel realizzare pienamente le pur buone intenzioni specie nei momenti dove il canto dovrebbe farsi più robusto e autoritario. Nella parte paterna di Pietro Francesco Castoro canta con gusto e proprietà e tratteggia un personaggio ben definito anche se la voce è alquanto leggera specie per un ruolo che per ragioni drammaturgiche sembrerebbe pensato per una natura più baritonale.
Bravissimo Luca Tittoto nei panni buffi di Gilberto dove alle ben note qualità vocali unisce una non indifferente vis comica. Molto buone le parti di fianco affidate a Lorenzo Barbieri (Brunone), Matteo Mezzaro (Nicola) e Federica Vitali (Geltrude) nonché del Coro Donizetti Opera diretto da Fabio Tartari.