Novara, Teatro C. Coccia: “Donna di veleni”

Novara, Teatro C. Coccia, stagione 2019/20
“DONNA DI VELENI”
Opera in un atto su libretto di Emilio Jona
Musica di Marco Podda
Maria JÚLIA FARRÉS-LLONGUERAS
Ruggero DANILO FORMAGGIA
Donna dei veleni PAOLETTA MARROCU
Amante MATTEO MEZZARO
Paesani, giovani, ragazzi SOLISTI DELL’ACCADEMIA AMO DEL TEATRO COCCIA
Orchestra Dèdalo Ensemble
Direttore Vittorio Parisi
Coro San Gregorio Magno
Maestro del coro Mauro Rolfi
Coro di voci bianche del teatro Coccia
Direttore Paolo Beretta e Alberto Veggiotti
Regia Alberto Jona
Scene Alice Delorenzi
Immaginario visivo Cora de Maria e Jenaro Meléndrez Chas
Sagome originali Coro de Maria
Prima esecuzione assoluta
Produzione Fondazione Teatro Coccia e Controluce Teatro d’Ombre
Novara, 14 febbraio 2020
La vita musicale nella provincia italiana gode di uno stato di salute più che apprezzabile e spesso mostra un coraggio che i grandi teatri non hanno. Il Teatro Coccia di Novara si sta creando un proprio interessante spazio. Dopo la ripresa della “Cendrillon” di Pauline Viardot la stagione lirica riprende con “Donna di veleni”, opera originale appositamente commissionata dal teatro novarese, che conferma la sua attenzione per la scena contemporanea italiana già riscontrata nelle scorse stagioni.
Il nuovo lavoro firmato da Marco Podda per la musica e da Emilio Jona per il libretto è d’impianto tradizionale. La vicenda è sostanzialmente senza tempo; il libretto dello scrittore piemontese ci porta in un mondo arcaico e violento in cui il dramma “verista” del matrimonio imposto alla giovane orfana Maria dal ricco possidente Ruggero, oltre ad essere causa di laceranti frustrazioni, s’incontra con la sfera magica della Donna di Veleni, strega e sciamana, portatrice di conoscenze arcane e misteriose. Una vicenda che si muove sul confine tra realtà e simbolismo, con suggestioni che richiamano l’estrema produzione pirandelliana – quella de “La favola del figlio cambiato” e de “I giganti della montagna”- così come quell’immaginario magico mediterraneo così presente nella cultura popolare sud-italiana come ricostruita dagli studi di De Martino e della sua scuola.
Anche la musica di Podda affonda le radici in una cultura musicale novecentesca. Il linguaggio è sostanzialmente tonale e la scrittura melodica nasce dalla prosodia del testo e si sviluppa dalle parole spesso autonomamente dalla struttura armonica sottostante. È evidente come per Podda sia la parola con le sue componenti fonetiche e prosodiche il generatore primo della scrittura musicale palesando un’attenta conoscenza della lezione di Bartók e Janáček. L’organico orchestrale ridotto suona con taglio decisamente sinfonico, con sonorità ricche e pastose. La costruzione delle impegnative linee  vocali poggia sia su ragioni espressive che prettamente melodiche.
L’ascolto è piacevole anche se può, alla lunga, risultare poco vario. Sono di maggior impatto teatrale e musicale le situazioni dove a prevalere è la sfera magica e rituale dominata dalla Donna di Veleni. In particolare il finale con l’invocazione alla Grande Madre, intenso e poetico costituisce il momento migliore dell’opera, mentre più statici risultano quelli dove a prevalere sono i rapporti psicologici tra Maria e Ruggero, troppo cristallizzati nelle rispettive psicosi e incapaci di evolversi nel corso dell’opera.
Ottima la prova del Dèdalo Ensemble sotto la guida di Vittorio Parisi. Il complesso bresciano specializzato nell’esecuzione di musiche dal Novecento alla nostra contemporaneità fornisce un suono denso e corposo pienamente in linea con le richieste della partitura. L’orchestra valorizza la preziosità di certe soluzioni timbriche così come la capacità atmosferica di questa musica. I cantanti sono ben sostenuti, cosa non secondaria vista la complessità delle linee vocali. Podda affida al coro il ruolo di creare l’atmosfera magica e arcana di molte pagine con interventi di tipo strofico tra il canto popolare e il rituale magico. Il Coro San Gregorio Magno si impegna a fondo dando una prestazione nell’insieme convincente anche se nel complesso sembra emergere maggiormente la componente femminile.
Pensato per un’autentica cantante attrice il ruolo della protagonista non potrebbe trovare interprete migliore di Paoletta Marrocu. La Donna di veleni è una figura ambigua: bollata come strega dalla società, è piuttosto una sacerdotessa sciamanica, la portavoce di una sapienza ancestrale femminile e pagana legata a un privilegiato rapporto con la Grande Madre mediterranea contrapposto a un mondo prevaricante maschile e cristiano. Il suo canto è essenzialmente declamatorio anche se si arricchisce di melismi arcaicizzanti. La voce della Marrocu imponente per volume, omogenità e sicurezza impressionanti. Oltre che cantante ragguardevole la Marrocu è però soprattutto un’interprete raffinata. La chiarezza della dizione e l’autorità dell’accento esaltano l’autorevolezza della figura completata dalle qualità di attrice e dalla forza di una presenza scenica austera e arcana. Al suo fianco Júlia Farrés-Llongueras è una Maria di taglio lirico il cui timbro più chiaro crea un efficace contrasto con la fonda drammaticità della Marrocu. La voce ha una bella presenza e una buona sicurezza che la fa emergere sul tessuto orchestrale. L’accento è al calor bianco e, se si riscontra una certa ripetitività nell’estremismo parossistico dell’espressione, questa è da attribuire alla natura del personaggio.
Qualche difficoltà in più si riscontra negli interpreti maschili.  Danilo Formaggia ha nel corso degli anni sviluppato una vocalità robusta e di propensione drammatica; la scrittura è però scomoda e in più punti si nota una necessità di patteggiare con le difficoltà vocali. Riesce comunque ad uscirne positivamente nonostante qualche forzatura in zona acuta dove il controllo della voce non è sempre ottimale. Il timbro è godibile anche se non troppo personale e si nota un notevole impegno sul versante espressivo.
Matteo Mezzaro (Amante) comincia con non poche difficoltà ma va riprendendosi durante la recita e la voce appare decisamente più centrata nel finale. La parte è drammaturgicamente di poco peso con il suo comparire in scena in modo estemporaneo senza mai interagire autenticamente con la vicenda. Bravi i ragazzi dell’Accademia del Teatro Coccia negli interventi dei popolani durante le scene corali (ed è un peccato che i loro nomi non vengano citati in locandina).
Merito non secondario della riuscita complessiva spetta all’allestimento scenico. Alberto Jona realizza una regia essenziale e suggestiva con pochi elementi scenici, suggestivi giochi di luci e ombre cinesi ad evocare presenze reali o immaginarie.  Il palcoscenico si apre su un grande letto a baldacchino affiancato da due pannelli decorati con dettagli del “Trionfo della morte” di Palazzo Abatellis a Palermo che nel corso della scena lasciano il posto a proiezioni e giochi di ombre cinesi – molto suggestivi – che riflettono lo stato d’animo dei protagonisti. Dopo la spoglia scena d’esterni si giunge alla casa della Donna di veleni costituita da una struttura ciclopica, quasi un edificio nuragico, ricoperta di simboli esoterici. Nell’ultima scena il grande spazio aperto dell’altare dove celebra la Donna vede il fondale aprirsi su un mondo altro balenante di luci arcane, una grotta o un ventre della Dea, porto sicuro dove infine verrà condotta Maria bisognosa di pace e redenzione. Costumi di un Novecento indefinito tendente all’atemporalità. Buona presenza di pubblico e successo per l’opera e tutti gli interpreti.