Staatsoper Stuttgart: “Boris”

Staatsoper Stuttgart – Stagione 2019-20
“BORIS
Spettacolo formato da Boris Godunov
Opera in quattro parti. Libretto di Modest Musorgskij dalla omonima tragedia di Aleksandr Puškin e dalla Storia dello Stato russo di Nikolaj Karamzin.Prima versione originale (1869)
Musica di Modest Musorgskij
e Secondhand Zeit
Testi tratti da Secondhand Zeit: Leben aus den Trümmern des Sozialismus (2013) di Swetlana Alexijewitsch tradotti da Gianna-Maria Braungardt
Musica di Sergej Newski
Commissione della Staatsoper Stuttgart. Prima esecuzione assoluta
Boris Godunov ADAM PALKA

Fjodor/Die Aktivistin ALEXANDRA URQUIOTA
Xenia/Die Geflüchtete CARINA SCHMIEGER
Xenias Amme/Die Mutter MARIA THERESA ULLRICH
Fürst Wassili Schuiski MATTHIAS KLINK
Pimen GORAN JURIC
Grigorj Otrepiew/Der jüdische Partisan ELMAR GILBERTSSON
Der jüdische Partisan als Kind RAMINA ABDULLA-ZADÈ
Der jüdische Partisan als alter Mann URBAN MAIMBERG
Warlaam FRIEDEMANN RÖHLIG
Eine Schenkwirtin/Die Frau des Kollaborateurs STINE MARIE FISCHER
Ein Gottesnarr/Der Obdachlose PETER NEKORANEC
Schtschelkalow PAWEL KONIK
Orchestra, Coro, Extrachor e Coro di voci bianche della Staatsoper Stuttgart
Direttore Titus Engel
Maestro del Coro Manuel Pujol
Maestro del Coro di voci bianche Bernhard Moncado
Regia Paul-Georg Dittrich
Scene Jaki Tewes, Jana Findeklee
Costumi Pia Dederichs, Lana Schmid
Video Vincent Stefan
Direttore della fotografia Lukas Rehm
Luci Reinhard Traub
Drammaturgia Miron Hakenbeck
Stuttgart, 2 febbraio 2019
Per il terzo nuovo allestimento della stagione, la Staatsoper Stuttgart ha ideato un progetto molto particolare e, sulla carta, abbastanza interessante. Si trattava in pratica della messinscena del Boris Godunov, il capolavoro di Musorgskij eseguito nella versione originale del 1869 con l’ inserimento come interludi delle scene dialogiche tratte dal romanzo Secondhand Zeit: Leben aus den Trümmern des Sozialismus della scrittrice bielorussa Swetlana Alexijewitsch, vincitrice nel 2015 del Premio Nobel per la Letteratura, messe in musica dal quarantasettenne compositore russo Sergej Newski. La parte scenica era affidara a Paul-Georg Dittrich, trentasettenne regista teatrale originario del Brandeburg che recentemente ha provocato un grosso scandalo a Darmstadt con la regia di un Fidelio in cui la musica del finale era stata riscritta. L’ idea di accostare una serie di scene cha narrano le disgrazie di persone sopravvissute ai disastri del socialismo reale con il Boris, che è senza dubbio un dramma collettivo in cui le tragedie individuali dei personaggi si fondono con la situazione miserabile di un popolo oppresso da un regime tirannico e indifferente poteva anche essere stimolante. Alla prova dei fatti, la netta cesura che si avvertiva nei passaggi improvvisi tra gli stili musicali delle due partiture provocava un senso complessivo di fastidio molto notevole. In parole povere, la sensazione che rimaneva alla fine della serata era quella di una produzione in cui mancava un carattere unitario, con belle situazioni sceniche realizzate in maniera molto professionale ache se drammaturgicamente discutibile, che alla fine non si fondevano in un autentico Gesamtkunstwerk. Molto meglio sarebbe stato eseguire i due lavori distinti in successione: ne avrebbe guadagnato anche il giudizio sulla musica di Sergej Newski che, a confronto con la straordinaria audacia innovativa della scrittura di Musorgskij suonava piuttosto monotona e povera di ispirazione per il continuo e insistito uso di uno Sprechgesang che di audace e innovativo non aveva proprio nulla.
Per sottolineare ulteriormente il carattere di tragedia collettiva che formava il significato complessivo della produzione, è stata scelta la versione originale del Boris Godunov, priva dell’ atto polacco e della scena finale in cui viene descritta la rivolta del popolo. Personalmente io sospetto da tempo che la tendenza odierna a preferire la prima stesura del capolavoro di Musorgskij sia divuta soprattutto a esigenze di gestione finaziaria: la prima versione consente infatti di risparmiare almeno tre ruoli principali e una scena corale conclusiva che necessita di molte prove a causa della sua complessità musicale. Dal mio punto di vista io ho rimpianto la mancanza della splendida musica che Mussorgsky ha creato nel duetto fra Marina e Dmitri, oltre che della splendida raffigurazione drammatica ideata dal compositore russo per la selvaggia ribellione raffigurata nella scena della foresta di Kromy con il canto dell’ innocente che conclude l’ opera in un clima di amara e disperata delusione. Poco di tutto questo si poteva rinvenire in una rappresentazione scenica che io ho trovato assai monotona e manchevole nella caratterizzazione individuale dei personaggi e nelle recitazione d’ insieme. Anche l’ inserimento dei dialoghi musicali di Sergej Newski mi è sembrato mancante di coerenza, come se le due diverse parti musicali camminassero separatamente senza un senso drammaturgico definito. Riassumendo, la regia mi è sembrata decisamente insufficiente nella resa drammatica di quello che è uno dei più geniali drammi psicologici mai messi in musica da un compositore d’ opera e i brani di musica contemporanea indebolivano vistosamente la forza drammatica della musica di Mussorsgsky. Gli aspetti migliori di questa produzione erano, come spesso accade, da cercare in una parte musicale eseguita a un livello davvero eccellente. Il Boris Godunov è un’ opera corale e il Coro della Staatsoper ha risposto meravigliosamente alla sfida, con quella che può essere considerata la prestazione più completa degli ultimi anni. Nei vasti affreschi di massa che costituiscono uno degli aspetti più affascinanti di un capolavoro che per arditezza di concezione e potenza tragica è da annoverare tra i massimi esiti del teatro musicale di tutti i tempi, il complesso guidato da Manuel Pujol  si è imposto come vero e proprio protagonista assoluto di questa produzione. La coesione perfetta, la cura minuziosa del fraseggio, la splendida precisione degli attacchi e l’ omogeneità assoluta delle sonorità sfoggiate dal Coro della Staatsoper in questa esecuzione hanno confermato una volta di più il livello qualitativo di una formazione che attualmente è da considerarsi uno dei migliori complessi vocali del momento, non solo per quanto riguarda i teatri tedeschi ma anche a livello europeo. Allo stesso livello di qualità si può collocare la prestazione della Staatsorchester Stuttgart, diretta in maniera tecnicamente molto precisa da Titus Engel. In alcuni punti l’ interpretazione del quarantaseienne direttore svizzero mancava di ispirazione e senso del racconto scenico, ma nel complesso la direzione dimostrava conoscenza della partitura e sicurezza nei punti più complicati. In quest’ opera che richiede la presenza di molti ruoli minori, l’ ensemble della Staatsoper ha potuto mettere in mostra tutte le qualità dei suoi elementi. Eccellente è stata la prestazione degli interpreti dei ruoli principali a partire dal giovane basso polacco Adam Palka, la cui caratterizzazione vocale e scenica è apparsa già sufficientemente curata nei dettagli e nella personalità di un fraseggio incisivo e ricco di sfumature. Molto bravo anche Goran Juric nel delineare un Pimen solenne e ieratico oltre che cantato molto bene. Ma la caratterizzazione più riuscita è stata sicuramente quella di Matthias Klink, tenore dalla versatilità davvero impressionante e in questo caso capace di delineare con grande forza drammatica l’ ipocrisia e la doppiezza del principe Schuiski. Tra gli interpreti dei ruoli di carattere, sono da segnalare in maniera positiva il Warlaam di Friedemann Röhling e l’ efficacia vocale di Stime Marie Fischer nella parte dell’ Ostessa e in quella della Moglie del Delatore nel lavoro di Newski. Ma anche tutto il resto del cast ha offerto una bella prova di omogeneità e versatilità vocale. Alla fine, molti applausi per tutti gli elementi della parte musicale. Il team registico invece è stato salutato, al suo apparire sulla scena, da una copiosa salva di buuh e fischi. Non del tutto a torto, secondo la mia opinione alla fine dello spettacolo. Foto Matthias Baus