Intervista a Paola Volpe, pianista di alta classe.

«Ho avuto occasione di ascoltare diverse volte la pianista Paola Volpe di Napoli e ho riscontrato in lei eccellenti doti di musicista e di interprete. Essa è in grado di stare a lato degnamente dei più valorosi prìncipi della tastiera, sia italiani che stranieri, e la sua carriera è tutto un seguito di brillanti successi che l’hanno resa e la rendono preziosa per i pubblici musicali delle più importanti città dei cinque continenti. Le festose accoglienze dei più sofisticati pubblici lo testimoniano. Le auguro il meglio e sono sicuro che essa farà parlare di sé stessa». Con il pensiero espresso da Carlo Zecchi a Roma, nel settembre del 1983, vogliamo dedicare questa intervista al M° Paola Volpe, raffinatissima concertista del panorama italiano e non solo, la cui dote più grande è – a nostro avviso – l’umiltà.
Docente di Pianoforte principale presso lo storico Conservatorio di Napoli “San Pietro a Majella”, Paola Volpe colpisce subito per la tecnica chiara, la qualità del suo suono e, forse ancor più, per la viva intelligenza che la porta ad aprire l’orizzonte e a sondare nuovi terreni anche distanti dal proprio mondo. Lodata dalla critica internazionale fin dagli esordi precocissimi, è stata definita «L’interprete ideale di Schubert», per ogni concerto capace di «avvicinarsi al compositore e alla sua musica con rispetto», dotata di «un suono bellissimo, pieno, perlato, un fraseggio fatto di musicalissimi respiri»,  di «un sentimento raffinato e una maniera di suonare di alta classe». Di «profonda sensibilità musicale … unisce al suo temperamento una spiccata capacità di intuire le vie dell’espressione musicale».
Un colloquio che spazia (nei limiti imposti da questa sede) dalla formazione, passando per riflessioni sull’insegnamento e sulla musica ai tempi del Coronavirus.
Com’è iniziata la Sua carriera di concertista, dopo gli anni della formazione?
Il vero debutto in Italia avvenne all’età di dodici anni al Teatro la Fenice di Venezia, con il Concerto in re minore K 466 di Mozart sotto la direzione di Piero Bellugi. In questa occasione straordinaria che ebbi, così giovane, la critica fu molto benevola. “Il gazzettino” scrisse che avevo saputo affrontare «quella che viene considerata una delle più complesse composizioni della letteratura per pianoforte e orchestra, sia dal lato esecutivo che da quello interpretativo» e che avevo superato felicemente la prova. Il primissimo concerto, però, risale al 1970, anno in cui mi esibii dinanzi ad un folto pubblico al Salone delle Terme a Castellammare di Stabia presentata dal M° Otello Calbi.
La mia formazione musicale si è sviluppata a Napoli, al Conservatorio di San Pietro a Majella, con due validissimi insegnanti: M° Tita Parisi e M° Sergio Fiorentino. Dopo diploma ho seguito Carlo Zecchi, ma le persone a cui devo veramente tutto sono i miei genitori, soprattutto mia madre Flora Gallo (docente a San Pietro a Majella), che mi ha sempre sostenuto e aiutato in tutto il percorso. In realtà all’inizio non ero proprio convinta di voler suonare. Poi una serie di episodi “domestici” mi portarono ad avvicinarmi autonomamente allo strumento, da piccolissima, quasi “per dispetto”. E fu allora che un giorno, mentre suonavo un valzerino, mio padre [il baritono Vinicio Volpe, ndr] provò grande meraviglia nel percepire una qualità di suono evidentemente inconsueta in una bambina di nove anni.  Avevo facilità di lettura e un istinto musicale naturale. Così continuai. Dopo il debutto a Venezia, che fu pubblicizzato da molti giornali e riviste, tra cui il settimanale «Gente» con un bellissimo articolo del giornalista Renzo Allegri che mi definì “un piccolo Mozart”, iniziò una lunga serie di concerti in Italia e all’estero (Austria, Germania, Francia, Belgio, Romania, Bulgaria, Jugoslavia, Olanda, Grecia, Macedonia, Spagna, Portogallo, Svezia, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ucraina, Giappone, Sud Corea, Sud America), sia in recital sia come solista con orchestre sinfoniche.

Episodi da ricordare?
Non posso dimenticare un episodio che avrei voluto avesse un epilogo diverso: avevo circa tredici o quattordici anni e, durante la mia prima tournée in Portogallo in cui suonai prima a Porto e poi a Lisbona, qui mi arrivò il telegramma del Re che mi invitava a Palazzo Reale. Ma, essendo il periodo della rivoluzione, non mi fu possibile arrivare da Lisbona a Cascais e mi dispiacque davvero. Fu poi molto importante per me risultare vincitrice di un Concorso della Rai Radiotelevisione Italiana, dove il Presidente della giuria era il M° Franco Ferrara; questo mi permise di suonare in diretta dall’Auditorium della Rai di Torino. Tutti i viaggi all’estero mi hanno dato l’opportunità di incontrare tanti bravi musicisti, che dopo avermi ascoltato mi segnalavano presso Enti o Associazioni concertistiche proponendomi per altri concerti. Ci tengo a ricordare una brava pianista bulgara Liuba Entcheva, docente all’Accademia di Sofia, che dopo avermi ascoltato mi propose per un festival molto importante in Bulgaria, a Russe, dove mi esibii con la Filarmonica della città sotto la guida di Stefan Vacev e l’invito fu esteso a tutto il periodo del festival. Ebbi così modo di conoscere e dialogare con tutti i musicisti che vi presero parte.  
E oggi?
Attualmente continuo la mia attività concertistica. Oltre all’insegnamento presso il Conservatorio di Napoli, svolgo attività da solista, in formazioni da camera; negli anni che ho insegnato al Conservatorio “Nicola Sala” di Benevento, grazie a un’idea del Dr. Achille Mottola – all’epoca Presidente del Conservatorio-  insieme al violinista Giulio Rovighi e al violoncellista Gianluca Giganti demmo vita al Trio Nicola Sala, producendo anche un doppio CD con musiche di Beethoven e Brahms. Ho attualmente un Duo con la violinista Liliana Bernardi e spesso sono invitata in giurie internazionali come  il concorso Horowitz (Ucraina), Krainev Competition (Ucraina), Valence (France), Porto (Portogallo), Ferrol in Galizia (Spagna), Koncerteum (Grecia), Concours de Chateau de Courcillon (Francia), Premio Thalberg (Italia), ecc.
Cosa pensa della Riforma che ha investito i Conservatori da ormai diversi anni (Legge 508 del 1999)?
La riforma ha radicalmente cambiato la struttura dei corsi di studi nelle Istituzioni di Alta Formazione Artistica Musicale. I programmi di studi e l’articolazione dei corsi risalenti a decreti e leggi risalenti al 1930 sono rimasti un ricordo che resta vivo in ogni musicista testimone di quanti valorosi interpreti ed esecutori siano stati protagonisti del panorama musicale italiano, spesso modello per molte realtà mondiali. Con la riforma la struttura è mutata e le Istituzioni rilasciano Diplomi di primo e secondo livello dopo la frequenza di un Triennio più un Biennio, come nelle Università. La preparazione precedente all’ammissione al Triennio non è più di competenza dei Conservatori anche se, di recente, gli stessi possono istituire dei corsi propedeutici. Si assiste quindi a delle ammissioni al Triennio che, di norma, andrebbero sostenute da studenti in possesso di un diploma di scuola superiore. Dico “di norma”, in quanto vi possono essere delle deroghe per talenti che dimostrino doti eccezionali, ai quali è consentita frequenza, ma il rilascio effettivo del titolo di studio potrà essere consentito solo dopo aver conseguito il diploma di scuola superiore. In questo contesto, indubbiamente sono rimaste a disposizione delle ore dedicate alla prassi esecutiva, alle quali però sono state affiancate una serie di discipline da seguire e con esami finali da sostenere, con un impegno notevole per gli studenti.  Senza dubbio il supporto culturale di base è maggiore rispetto al passato, ma a volte ciò penalizza un allievo nel tempo necessario da dedicare all’esercizio giornaliero e allo studio tecnico dello strumento.
Pubblichiamo questa intervista in un momento storico e sociale molto complesso e difficile. In tempi di pandemia [Covid-19], quale pensa che sia la strada della musica? 
Si tratta di un discorso complesso, che richiederebbe molto tempo e soprattutto spazio. Da un punto di vista artistico mi sembra superfluo sottolineare che l’annullamento dei concerti ha provocato una sospensione di tutto e il risvolto economico per i lavoratori del settore è pesante. Nella didattica è impossibile sostituire la presenza fisica, benché lo strumento possa essere studiato in autonomia e, in questi casi, con molto più tempo a disposizione. Sento ogni giorno i miei studenti, ma la distanza fisica non permette di lavorare come si dovrebbe. Non esiste la musica insegnata online. La musica può alleviare (o esprimere) molti dolori, può aiutare a vincere la solitudine e a unire le persone, ma la trasmissione principale di quest’Arte, sia come spettacolo sia come insegnamento, non può e non deve prescindere dalla presenza fisica.
Ringraziamo Paola Volpe per il tempo che ci ha voluto dedicare e non possiamo non fare eco al suo ultimo pensiero. I corpi sono la principale “cassa di risonanza” dell’arte e questo particolare momento storico ce lo sta insegnando.