Benjamin Britten (1913-1976):”A Midsummer Night’s Dream” (1960)

Opera in tre atti su libretto di Benjamin Britten e Peter Pears, da Shakespeare. Prima rappresentazione: Aldeburgh, 11 giugno 1960.
Quando l’opera fu rappresentata la prima volta al festival di Amsterdam nel 1960, Britten, interrogato da un critico olandese che gli chiedeva se avesse usato nell’opera procedimenti dodecafonici, rispose con frase esplicita di no. La risposta è tanto più interessante, se si pensa che molti, in un contesto tutto “tonale”, trovarono formule di lessico dodecafonico, sia pure fugaci. In un’altra dichiarazione, Britten, parlando della  riduzione della commedia scespiriana, maliziosamente invitò a trovare nel libretto le nove parole “non di Shakespeare”. Tale fedeltà al testo evidenzia la consumata perizia che ebbero lo stesso Britten e il tenore Peter Pears nel ridurre i cinque atti originali a tre, senza modifcarne gli argomenti.

La vicenda, dunque, è ancora quella incantevole scespiriana. Britten, con grande abilità teatrale e musicale intreccia i fili  di questo sorridente dramma, illuminato da una luce variegata  che va a colpire, con più o meno raggio, il mondo del mistero, quello dell’amore e l’altro, goffamente ingenuo dei “rustics”, cioè degli artigiani filodrammatici. Le due coppie di innamorati, il centro della vicenda, sono vive e palpitanti, e gli incantesimi che li investono paiono quasi umanissime peripezie, forse anche per virtù di Puck che con le magie del gioco congiunge la realtà magica al reale, ancorandole entrambe alla realtà artistica. Ogni voce, ogni strumento, hanno qui un preciso compito caratterizzante, in perfetta corrispondenza con funzione scenica di ogni personaggio, e d’gni gruppo di personaggi. Britten non ha dato al folletto Puck una vocalità, limitandosi ad accompagnare i suoi gesti e le sue danze con il suono della tromba del tamburo., e, per la parte di Oberon, ha indicato  un controtenore o un contralto. L’ orchestra è limitata, non esigua,  come in altre opere di Britten, ma ha innumerevoli timbri e colori,  già nello strumentale spicca la prospettiva che distingue l’elementari rozzezza degli Artigiani (evocata da trombone, fagotto e bassi dei legni) dall’aerea leggerezza o delle fate, il cui canto emerge  da un fondale sonoro in cui cembalo, celesta, arpe e percussioni disegnano fantasiosi arabeschi. Alla rappresentazione scaligera del  1961, nessuno negò a Britten la grande abilità compositiva. Si levarono però delle voci critiche, di chi  vedeva Britten, passatista, lontano dalle realtà estetiche dei linguaggi d’avanguardia, cioè quello che veniva considerato sinonimo di attualità di impegno artistico. Questa partitura invita piuttosto al  sorriso, al semplice e piacevole ascolto, creando nel pubblico il godimento che riservano certe opere d’arte. Diceva Goethe che Shakespeare ci ha dato “mele d’oro in bucce d’argento”. Ora, se qui forse le mele non sono d’oro, sicuramente le “bucce”, cioè le veste formale delle opere di Benjamin Britten, e d’oro zecchino.
Ulteriori note, trama e libretto in allegato