Carlo Bergonzi (1924-2014): “Il tenore che studiò da baritono”

Carlo Bergonzi (13 luglio 1924, Vidalenzo di Polesine Parmense – 24 luglio 2014, Milano)
(…) A Bergonzi piace ricordare i suoi natali, piuttosto umili, avvenuti a Vidalenzo, un comune della provincia di Parma con sì e no mille abitanti, a 5 km da Busseto, patria di Verdi. Glii piace anche ricordare che suo padre faceva il “formaggiaro “ e che lui, Carlo, da ragazzino, lo aiutava a trasportare le forme di parmigiano nei magazzini. Lavorando canticchiava e questo evidentemente non andava a genio al proprietario della fabbrica, che un giorno gli disse: “Qui o si lavora o si canta”. Fu in quel preciso momento che Bergonzi prese la più importante decisione della sua vita: posò le stanghe della carriola e scelse il canto.
Avrà avuto poco più di quindici anni. Ma dal dire al fare, cioè dal canticchiare al cantare, c’è di mezzo più che il mare, un oceano di studio, di preparazione, di sacrifici, di forza di volontà. Il giovane possedeva un fattore decisamente positivo: la voce. “per la voce”, dice Bergonzi, “non ci sono sostituti. Però non basta: ci vuole tutto il resto”. Chiarisce che il “resto” sono appunto quelle qualità al cui accennava prima. Bergonzi racconta. Ricorda una certa stagione lirica a Busseto, diretta dal baritono Edmondo Grandini. Bergonzi si presenta. “Non c’è male“, sentenzia Grandini,” vieni a studiare da me a Brescia;hai una bella voce da baritono “. Baritono? Bergonzi ha sempre pensato di essere un tenore. Ma studio da baritono e come tale sostiene una prova al Conservatorio di Parma. Accettato all’unanimità, si mette sotto la guida di Ettore Campogalliani. Non si limita ai vocalizzi, studia solfeggio e pianoforte.
“Non sono un gran pianista”, afferma, “ma me la cavo., secondo me, conoscere il pianoforte è un elemento di grande utilità per un cantante”. Qui viene fuori la sua dote principale: la pazienza o, meglio la serietà. Siamo verso il 1940. se volesse potrebbe debuttare, ha delle offerte: ma preferisce aspettare per consolidare la propria preparazione.
Improvvisamente, la guerra: poco più che diciottenne, Bergonzi è costretto a interrompere tutto per indossare la divisa.Finita la guerra, eccolo a Milano dove  riprende lo studio con più lena di prima, passando da un maestro all’altro. Tutti sono d’accordo: è un baritono nato. Lui, però, ha qualche dubbio in proposito, ma come si fa? Baritono lo hanno classificato e baritono deve essere. Ed è proprio in questo ruolo che, a 24 anni, finalmente debutta nel Barbiere di Siviglia in un piccolo teatro estivo di Varedo, in Lombardia. Una faccenda parrocchiale, alla buona. l’orchestra: un pianoforte non perfettamente accordato, un paio di violini, un contrabbasso e qualche altro strumento raccogliticcio. Sì, ammette Bergonzi, un debutto più che modesto. Il pubblico, di bocca buona, applaude, ma lui non è convinto. si domanda, soprattutto, se la sua voce è veramente baritonale.
A questo punto ecco una data (delle tante) che Bergonzi ha impresso nella mente: 12 ottobre 1950. Con una Butterfly in un teatrino di provincia, il “baritono” chiudere definitivamente la sua carriera.
Un momento, volevamo dire la sua carriera di baritono, per aprire l’altra, quella vera, di tenore. “Mi accorsi”, dice, “che nelle note basse avevo la tendenza a perdere l’intonazione giusta, un eufemismo per far capire che” steccavo “, mentre gli acuti, nonostante la mia volontà, non venivano fuori. E allora non mi restava che ricominciare da capo, da me, senza ricorrere ad altri maestri: probabilmente mi avrebbero ripetuto per l’ennesima volta che era un baritono, e questo mi terrorizzava. non è stato facile: c’è voluta molta forza di volontà è molto studio. Ma ho avuto ragione io. Ero un tenore e non un baritono “. (…)
Ecco un’altra data fatidica, un’altra casella dell’archivio mentale di Bergonzi che si apre: 12 gennaio 1951, debutto al Petruzzelli di Bari dell’Andrea Chénier (da tenore!); il primo vero autentico successo. In verità, c’è un’altra ragione che giustifica il ricordo di questa data. Nel’intervallo tra il secondo e il terzo atto il cantante riceve un telegramma. Sua moglie Adele (una compaesana sposata nel 1949) gli ha regalato il primo maschietto, Maurizio.
Si capisce che Bergonzi e di quegli uomini che non dimenticano chili Aiutati: viene fuori un nome, Mario Colombo, un noto scopritore di talenti, milanese, organizzatore di spettacoli lirici. È stato lui a portarlo al Teatro Nuovo ne La forza del destino e in Un ballo in maschera. Poco dopo, sempre nel ’51, sarà assunto dalla RAI per il ciclo operistico in occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Verdi. Da allora la lenta, ma continua affermazione di Carlo Bergonzi nel mondo lirico si fa più serrata, grandi teatri e celebri direttori cominciano a interessarsi di lui.
Nel ottobre del 1957, Rudolf Bing lo chiama al Metropolitan per il Trovatore e l’Aida. Il pubblico non si stanca di applaudire, ma Bergonzi,  si chiede se quegli  applausi sono veramente per lui. Il giorno dopo apre trepidante i giornali di New York e tira un sospiro di sollievo. I critici sono tutti d’accordo sulla comparsa di un nuovo  grande tenore italiano sulla ribalta del famoso teatro nordamericano. La sua fama si estende insieme allargarsi del repertorio. Oltre 62 opere:  del ruolo leggero di Nemorino a quello lirico spinto di Manrico. Carlo Bergonzi ormai è entrato nel novero dei pochi di categoria A, quelli che appaiono quasi d’obbligo nei “cast” delle grandi produzioni. (…)

Nonostante tutta questa attività, Bergonzi trova ogni tanto il tempo per ritornare a Vidalenzo, il paesino dove è nato e dove ci sono ancora ad aspettarlo, con legittimo orgoglio, parenti ed amici; con i quali, non c’è bisogno di dirlo, organizza pranzi e cene a base di risotti e spaghettate con montagne di quel formaggio parmigiano a cui egli un tempo ha rinunciato per darsi canto. Aggiungiamo, che ci sembra abbia fatto benissimo. (Estratti da “Il tenore che studiò da baritono” di Renzo Nissim – Roma, 1967)