Christoph Willibald Gluck (1714-1787):”Paride ed Elena” (1770)

Christoph Willibald Gluck (Erasback, Alto Palatinato 1714 – Vienna 1787)
Andata in scena al Burgtheater di Vienna il 3 novembre 1770 “Paride ed Elena è l’ultima opera nata dalla collaborazione fra Gluck e de’Calzabigi e l’ultimo lavoro italiano del compositore che poco dopo si trasferirà a Parigi dove sarebbe rimasto fino al 1780 componendo su testi francesi le successive opere del suo catalogo. Il nuovo titolo si inserisce pienamente nell’alveo del genere dell’opera riformata anche se rispetto al precedente”Alceste” si nota un allentamento del rigore metodologico con una maggior accondiscendenza e apertura a stilemi di taglio più tradizionale. Un rapporto meno traumatico con la tradizione già visibile nella scelta delle tipologie vocali dove la ferma corrispondenza fra sesso del personaggio e voce così rigidamente perseguita in “Alceste” è qui abbandonata con il ritorno ad un castrato – il giovane Giuseppe Millico – per il ruolo di Paride rimandando agli anni francesi il ritorno ad una più rigorosa corrispondenza conseguenza anche del rifiuto che il gusto francese aveva per le voci di castrato.
Come già con “Alceste” anche “Paride ed Elena” presenta un’introduzione alla versione a stampa della partitura ma mentre nel precedente caso si trattava di un autentico manifesto programmatico qui ci si trova di fronte più che altro allo sfogo di chi si era illuso di poter rivoluzionare immediatamente il mondo mentre a scoperto suo malgrado le resistenze di una parte non insignificante del mondo teatrale, anche colto, del tempo.
Paride ed Elena” voleva quindi rappresentare per l’autore un’ulteriore dimostrazione delle possibilità del suo metodo alle prese con un soggetto per impostazione e spirito totalmente differente dal precedente come chiarito nell’introduzione dello stesso De’Calzabigi. Deve essere quindi stata particolarmente cocente la delusione conseguente allo scorso successo ottenuto dall’opera alla prima rappresentazione dove a brillare furono Millico e il coreografo Noverre mentre l’opera in se non suscito particolari entusiasmi.
La freddezza del pubblico viennese non era per altro infondato, se è infatti innegabile che “Paride ed Elena” contenga musica splendida comprese alcune delle melodie più affascinanti di tutta l’opera settecentesca e non solo e altrettanto evidente che l’opera nel suo complesso presenti anche non pochi limiti specie nella tenuta drammatica complessiva.
L’impianto si rifà apertamente al modello dell’opera francese di moda in quel tempo a Vienna grazie all’attività di promotore culturale di Giacomo Durazzo, già in passato molto vicino a Gluck, presentando cinque atti con ampi spazi ballabili affidati all’affermato coreografo Noverre che infatti ottenne un trionfo personale specie con il grande balletto che chiude il III atto, schema per se ampiamente funzionale come lo stesso Gluck saprà dimostrare negli anni francesi, quello che qui latita gravemente è lo spessore drammatico dell’azione e la colpa e da imputare gran parte al libretto. Di fatto l’intreccio drammatico è è inconsistente tutto giocato su piccole modifiche della psicologia dei personaggi in una sorta di grande duetto-terzetto che occupata tutta l’opera ovviamente a scapito di un’azione più serrata, inoltre il numero di arie di Paride è decisamente eccessivo e sbilanciato rispetto agli altri personaggi e per quanto Gluck doni al principe troiano alcune delle sue musiche più belle è innegabile che questo possa provocare qualche saturazione nello spettatore tanto più che la scelta di affidare tutti i ruoli a voci femminili non contribuisce certo alla varietà dell’insieme. In oltre alcune scelte di De Calzabigi abbassano ulteriormente la tensione drammatica dell’insieme, nell’opera Elena è solo fidanzata – con un ignoto per altro – e non sposata e il nome di Menelao non è neppure citato il che riduce di molto la gravita della colpa e quindi il peso drammatico complessivo, questo priva di molto valore anche i toni più drammatici del V atto dove l’apparizione di Minerva e l’annuncio delle sventure che la figa degli amanti costerà alla stirpe troiana tendono a perdere forza e a allentarsi nel clima elegiaco generale.
La musica di Gluck è di contro particolarmente curata e pianificata in dettaglio, alcune linee presenti già nell’ouverture verranno ripresi nel finale come a dare un andamento circolare all’intera opera. Uno dei tratti dominanti l’impianto complessivo è la contrapposizione armonica e melodica fra l’elemento spartano e quello frigio, il primo caratterizzato da strutture armoniche rigorose, linee essenziali, prevalenza di recitativo ed il secondo dominato dalla prevalenza della melodia, della cantabilità, con andamenti morbidi e instabili che si ritrova in tutta l’opera ma che trova il momento di maggior evidenza nel III atto, durante gli agoni atletici offerti da Elena agli ospiti troiani. L’atto è aperto da una fanfara di ottoni che definisce il carattere marziale degli spartani il coro “Dalla Reggia rilucente” (atto III – scena 1) si sviluppa su un rigoroso canone all’ottava e alla terza superiore dal sapore quasi madrigalistico in contrasto con la successiva aria di Paride “Quegli occhi belli” la cui languida melodica accompagnata dall’arpa si arricchisce di effetti vocali ad imitazione dello strumento creando un andamento ritmico-melodico cui si assocerà Elena testimoniando il cedimento della donna nonostante l’esibita resistenza.
La dicotomia fra l’elemento greco e quello troiano caratterizza anche la vocalità dei singoli personaggi, la parte di Paride ha particolarmente ispirato il genio creatore di Gluck che affida al principe troiano alcune delle sue melodie più belle, l’aria di sortita “Oh del mio dolce ardor bramato oggetto!” (Atto I – scena 1) introduce già tutti quelli che sono i tratti caratteristici del personaggio, si tratta di una cavatina con oboe obbligato aggiornata alle novità introdotte dallo stile melodico napoletano; la coloratura non è rifiutata ma molto ridotta e piegata a ragioni espressive, la natura del personaggio e del suo tono espressivo diviene l’elemento costitutivo della scrittura vocale; la quarta aria di Paride “Le belle immagini di un dolce amore” (Atto II – scena 3) è  uno dei punti più alti del’arte gluckiana tanto sul piano della ricchezza contrappuntistica con originali passaggi in canone alla terza e alla sesta fra voce orchestra quanto sul piano della bellezza della linea melodica. La centralità di questo registro è così caratterizzante della figura di Paride che gli altri personaggi la fanno propria nel momento in cui vengono a cedere al fascino del principe frigio a cominciare dalla stessa Elena fin dal duetto del III atto e poi anche Amore nel terzetto del IV quanto ormai il Dio ha rivelato la sua vera natura e il suo ruolo di protettore di Paride.
La parte di Elena sembra aver meno ispirato il compositore, l’idea drammaturgica di far comparire la principessa solo nel secondo atto dopo l’attesa creata nel primo è sicuramente molto originale ma l’entrata di questa “Turandot” settecentesca – analogo è l’artificio usato per creare l’attesa – si perde in un lungo recitativo mentre a prima aria “Lo potrò!… Ma frattanto, oh infelice!” ( Atto IV – scena 4) giunge solo alla fine del IV atto e appare piuttosto manierata.
La parte di Amore – nelle nemmeno troppo celate vesti del paggio spartano Erasto – è molto convenzionale già nel testo con le sue arie di gusto metastasiano con la musica che sembra adattarsi con soluzioni che guardano a vecchi modelli (es. la cavatina “Nell’idea ch’ei volge in mente”- Atto I – scena 3) la parte di Minerva si riduce ad un’unica aria “Va’ coll’amata in seno” (Atto V – scena 3) che riprende uno spunto tematico già presente nell’ouverture si richiama apertamente alle arie di tempesta tradizionali fin dalla scelta della tonalità in re maggiore ma la austera linea vocale ne riduce un po’ la forza espressiva.
Di grande ricchezza e originalità la scrittura orchestrale, come già in “Alceste” estremamente curata in quanto ogni minima variazione acquisisce un preciso valore espressivo; se viene sacrificata una certa spettacolarità vocale l’orchestra è di contro trattata spesso in modo alquanto virtuosistico – la tempesta che precede l’entrata di Minerva ha una forza in vero considerevole – così come da segnalare sono alcuni insoliti impasti orchestrali come nel finale dove vengono impegnati mezzi flauti e tamburini in sostegno ad archi, ottoni e timpani a rendere presente la gioia dei marinai pronti a ritornare in patria.
La trama
Atto I
Lido sul mare nei pressi di Sparta. Una flottiglia troiana è appena sbarcata sul lido e sta scaricando ricchezze e oggetti di pregio, Paride che comanda la flotta scende dalla nave colmo di gioia al solo pensiero di incontrare Elena, il cui amore gli è stato promesso da Venere (“Oh del mio dolce ardor bramato oggetto!”), il gruppo è raggiunto da una delegazione spartana guidata dal paggio Erasto – che altri non è che Amore travestito – che domanda le ragioni dello sbarco, Paride rassicura che essi giungono senza intenzioni ostili ed Erasto riconosce in Paride un aspetto più amoroso che marziale e promette di presentarlo alla regina mentre Paride resta sorpreso dalla capacità del giovane di leggere i suoi più intimi sentimenti (“Ma chi sei?… Ma come intendi”). Rimasto solo Erasto rivela al pubblico la sua vera identità e promette di far ottenere a Paride quanto desidera (“Nell’idea ch’ei volge in mente”).
Atto II
Sala del Palazzo reale di Sparta. Erasto rassicura Elena delle intenzioni pacifiche di Paride che viene introdotto nella reggia, il principe racconta la contesa fra le Dee, il suo giudizio e la promessa di Venere ma Elena si mostra sdegnosa, lui è giunto per mare e si sa quanta poca fede serbino i marinai (“Forse più d’una beltà”); rimasto solo Paride si lascia andare all’estatico ricordo della bellezza di Elena (“Le belle immagini d’un dolce amore”).
Atto III
Gran cortile del palazzo reale. Elena offre giochi atletici agli ospiti troiani e gli atleti sfilano prima di accingersi alle gare, Paride viene invitato a fare da giudice, come una volta ha giudicato la bellezza ora lo farà con il valore. Elena si scusa per la semplicità di Sparta e afferma di accettare i sontuosi doni troiani solo per rispetto agli ospiti, Paride si fa portare una cetra e canta una canzone in cui il corteggiamento ad Elena si fa sempre più esplicitò (“Quegli occhi belli”). Elena si lascia trascinare dal canto del giovane ma cerca di salvare la sua rispettabilità imponendogli di smettere e gli ordina di non parlargli più quindi si allontana lasciando Paride nello sconforto (“Mi fugge spietata!”), l’atto si chiude con un grande balletto in cui si celebrano gli atleti reduci dagli agoni.
Atto IV
Gabinetto del palazzo reale. Elena legge una lettera in cui si parla del suo fidanzamento, unica causa del suo rifiuto nei confronti di Paride e scrive un ultimo addio al principe che consegna ad Erasto ma l’ambasciata è inutile in quanto in quell’istante entra lo stesso Paride. La donna rifiuta ancora una volta le profferte amorose del principe che giunge ad offrire ad Elena il suo pugnale per essere ucciso da lei, Elena lo trattiene da gesti insani e gli impone di vivere e partire ma per Paride l’idea è inaccettabile (“Di te scordarmi, e vivere!…”), rimasta sola Elena si tormenta vittima di opposti sentimenti (“Lo potrò!… Ma frattanto, oh infelice!”).

Atto V
Un’amena spiaggia non lontano da Sparta. Paride per convincere Elena a cedere finge di partire e la principessa osserva i preparativi dei marinai mentre Erasto riaccende i dubbi e i dolori della fanciulla che vede partire l’uomo che ama pur non ammettendolo; essa cerca di combattere le sue debolezze accusando Paride di infedeltà per la sua improvvisa partenza (“Donzelle semplici”) ma proprio in quel momento entra inatteso Paride a quel punto le resistenze di Elena cadono definitivamente e i due giovani si dichiarano il loro amore. In quel momento il cielo è scosso da suoni di tempesta e compare Pallade che mette in guardia i due amanti delle funeste conseguenze del loro genio profetizzando la distruzione di Troia ma Amore si rivela nella sua vera natura e promette loro di proteggerli in ogni avversità. Tutti si preparano a partire su un mare reso calmo e sereno dal potere di Amore.

“PARIDE ED ELENA”
Dramma per musica  in cinque atti su libretto di Ranieri de’Calzabigi
Prima rappresentazione: Vienna, Burgtheater 3 novembre 1770.
Musica di Christoph Willibald Gluck
Elena, regina di Sparta       Susan Gritton (soprano)
Paride, figlio di Priamo        Magdalena Kožená (mezzosoprano)
Amore sotto nome di Erasto Carolyn Sampson (soprano)
Pallade, un troiano               Gillian Webster (soprano)
Gabrieli Consort & Players
Direttore: Paul McCreesh
Registrazione: Londra, ottobre 2003
La  presente edizione rende pienamente giustizia all’opera di Gluck e almeno per due elementi emerge come una delle più interessanti incisioni di quel decennio e fortunatamente sono gli elementi essenziali per la riuscita dell’opera.
I Gabrieli Consort & Players sotto la direzione di Paul McCreesh suonano infatti in modo semplicemente splendido offrendo dell’opera una lettura incantevole fatta di colori vividi e brillanti ma sempre leggeri che evocano le migliori atmosfere di certa pittura mitologica fra tardo rococò e primo neoclassico dove la futura brillantezza di David si stempera ancora nel languore erotico di Boucher tanto più irresistibile quanto più apparentemente innocente e casuale ed ecco quindi sonorità languide, carezzevoli, di seduttiva morbidezza ma al contempo sempre rette con assoluto rigore stilistico ed espressivo ed in cui emerge con estrema chiarezza tutta l’originalità dell’orchestrazione gluckiana. Sul piano orchestrale un’esecuzione veramente paradigmatica del modo di intendere questo repertorio così come esemplare per senso dello stile e presenza sonora è la prova del coro. Inoltre in conclusione viene proposta una differente versione del finale più ampia e strutturata con ripresa circolare dei vari momenti musicali in una  forma di grande brillantezza.
Altro elemento di forza il Paride di Magdalena Kožená, per primo luogo bisogna essere grati a McCreesh di ave affidato il ruolo ad una voce femminile e non ad un controtenore inoltre la cantante boema – all’epoca ancora molto giovane – si dimostra interprete assolutamente ideale per il personaggio. Voce dal colore chiaro e luminoso, quasi sopranile, di rara morbidezza ed eleganza nell’emissione risulta semplicemente perfetta per la parte del principe troiano di cui coglie pienamente la natura languida e malinconica ed il carattere giovanile, quasi adolescenziale del ruolo che in certe inflessione sembra quasi ricordare un fratello maggiore solo un poco più serio e posato del futuro Cherubino mozartiano. Abbiamo già detto che le alcune delle arie di Paride sono fra le più belle composte da Gluck ma è innegabile che sia difficile immaginarle cantate meglio e interpretate con maggior convinzione di quanto faccia la Kožená.
Susan Gritton è una piacevolissima Elena, la dizione italiana non ha la naturalezza della Kožená ma è comunque pulita e corretta e la prova vocale mostra un attento studio e una buona musicalità, le si può se mai imputare un certo distacco espressivo ma è anche vero che lo stesso personaggio come tratteggiato da Gluck non manca di una sua compita rigidezza. Carolyn Sampson si dimostra un Amore sufficientemente brillante e scanzonato e in grado di affrontare con sicurezza i  passaggi di coloratura (non estremi ma comunque presenti – “Nell’idea ch’ei volge in mente”). Voce robusta e accento giustamente autorevole caratterizzano la Pallade Gillian Webster che bissa il suo impegno anche nella parte del marinaio troiano del primo atto mentre è assai flebile l’anonimo tenore solista del coro nell’assolo del III atto.