Firenze, Teatro del Maggio: “Linda di Chamounix”

Firenze, Teatro del Maggio, stagione lirica 2021
“LINDA DI CHAMOUNIX
Melodramma semiserio in tre atti su libretto di Gaetano Rossi da “La Grace de Dieu” di Adolphe-Philippe d’Ennery e Gustave Lemoine
Musica di Gaetano Donizetti
Linda JESSICA PRATT
Pierotto TERESA IERVOLINO
Carlo, Visconte di Sirval FRANCESCO DEMURO
Antonio VITTORIO PRATO
Maddalena MARINA DE LISIO
Il Marchese di Boisfleury FABIO CAPITANUCCI
Il Prefetto MICHELE PERTUSI
L’intendente del feudo ANTONIO GARÉS
Orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Michele Gamba
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Cesare Lievi
Scene e costumi Luigi Perego
Luci Luigi Saccomandi
Firenze, Teatro del Maggio, 15 gennaio 2021 (diretta streaming)
Linda di Chamounix” è titolo emblematico di un gusto ottocentesco quello per l’opera semiseria e per la commedie larmoyant che forse è il più lontano dalla nostra sensibilità attuale. Le stagioni del tardo-romanticismo e del naturalismo/verismo ci hanno allontanati da questo genere ibrido in cui la fusione tra serio e comico è essenziale anche se raramente perfettamente omogenea e il nostro cinismo contemporaneo ci fa guardare con un certo sorriso all’ingenuità a queste  eroine. Sicuramento questo ha influito sulla scarsa diffusione di quest’opera che merita però attenzione perché di quel genere è (con  “La gazza ladra” di Rossini) il risultato più alto e compiuto (diverso  è il concetto di semiserio in quel capolavoro parodistico  del romanticismo nascente che è “Matilde di Shabran” nella quale tra comico e tragico a mancare è l’elemento “larmoyant” oltre al fatto che il proto-femminismo di Matilde è l’antitesi della “passività” delle eroine tipiche del genere). Linda di Chamounix” composta nel 1841 per Vienna è una delle punte dell’estetica donizettiana, lavoro raffinato  per attenzione drammaturgica – con connotati pre-verdiani uniti a quella sensibilità per il mondo degli umili, elevato nella sua dignitosa umanità, più volte affrontato da Donizetti con una pregnanza che non si riscontra in nessun’altro compositore italiano del XIX secolo). Da evidenziare anche la ricchezza della scrittura orchestrale necessaria per affrontare lo smaliziato dei viennesi.
Questa riprese fiorentina – purtroppo a questa trasmissione in streaming – ha prima di tutto il merito di riaccendere l’interesse sul titolo, ma anche di presentarne, forse per la prima volta, l’originaria versione viennese seppur con qualche apertura alle successive revisioni. In occasione della prima Donizetti scrisse per Eugenia Tadolini una grande scena di pazzia in chiusura  del II atto. Successivamente per la Fanny Tacchinardi Persiani venne anche aggiunta la celebre  “O luce di quest’anima”. Pagina che venne anche adottata dalla Tadolini abbassandola però alla più comoda per lei tonalità di Do maggiore nella quale è stata sempre eseguita, mentre la scena della scene dela follia veniva eseguita solo una sezione (“No, non è ver, mentirono”). Eseguire un’opera di questi tipo richiede un cast all’altezza delle difficoltà e per fortuna a Firenze si sono fatte le cose in grande. Conviene subito togliersi il pensiero dell’unica componente sotto tono ovvero la direzione di Michele Gamba, funzionale, precisa ma anonima. Il direttore ha il merito di sostenere con attenzione le necessità del canto ma manca nell’evidenziare la ricchezza di timbri, colori, suggestioni della scrittura orchestrale donizettiana. Una prova di professionalmente corretta. Detto ciò l’orchestra del Maggio musicale fiorentino esegue tutto correttamente, rimanendo un po’ sotto il  standard di eccellenza. Positiva la prova del coro, sicuramente  penalizzato dall’obbligo della mascherina. Protagonista Jessica Pratt. La parte di Linda eseguita con le tessiture originali e riaprendo tutti i tagli è un cimento non da poco che il soprano supera con grande naturalezza. La voce sale senza fatica alle più alte vette, scivola levita e precisa nei passaggi di coloratura, affascina con un timbro morbido, setoso, carezzevole che rende ancor più omogenea e naturale la linea di canto. La Pratt è un’autentica belcantista di razza e sa trarre dal canto le ragioni espressive e teatrali del ruolo. La dizione è nitida, la prosodia italiana perfettamente posseduta. La voce presenta una notevole robustezza e un corpo nel settore medio-grave, che si apprezza nella scena di follia che si esprime in un montante parossismo, reso senza forzature drammatiche, in una immacolata pulizia di canto. Francesco Demuro ha l’ingrato ruolo di Carlo di Sirval, vocalmente impegnativo e personaggio mai veramente coinvolgente. Rispetto ad altre prove recenti (in particolare il Werther a Modena) qui si trova in un terreno che gli è più congeniale, la linea di canto è adatta alla vocalità donizettiano. La facilità nel registro acuto lo facilità sicuramente.Teresa Iervolino presta la sua voce calda e corposa alla parte di Pierotto.  Un’omogeneità di canto impeccabile unita a una sicurezza assoluta nei passaggi più tecnici , notevole  il legato e il controllo sul fiato. Sul piano interpretativo tratteggia perfettamente la bontà  e la malinconica del personaggio. Vittorio Prato è un Antonio appare forse un po’ troppo giovanile, nonostante l’ottimo lavoro dei truccatori,  ma ha la nobiltà di canto e l’intensità dell’accento richiesti da un ruolo che tra quelli donizettiani e uno dei più vicini a certe future figure paterne verdiane. Marina De Liso affronta con gusto ed eleganza la breve parte della sua sposa Maddalena.La parte del Prefetto è piuttosto limitata, ciò nonostante Michele Pertusi mostra la sua  carismatica presenza vocale e scenica:  una cavata ampia, nobilissima, una linea di canto tecnicamente impeccabile, sempre ricca e varia. Fabio Capitanucci (Marchese Boisfleury), cantante di esperienza ha saputo cogliere la natura di questa figura.  Un buffo dalle sfumature sgradevoli. La voce ha una bella prestanza, il senso dello stile è ammirevole e un certo tono affabulatorio non guasta al personaggio. Completa il cast Antonio Garés nel breve ruolo dell’intendente.
La regia di Carlo Lievi con scene e costumi di Luigi Perego è funzionale alla narrazione. Scene e costumi tradizionali,  nel presentare un’ambientazione ottocentesca sospesa tra un mondo rurale vicino alla rivoluzione industriale ormai immanente. Con un gusto stilizzato si rappresenta il  villaggio sul quale incombono strutture in ghisa che iattanagliano in una morsa l’appartamento parigino di Linda. Nel III atto si riapriranno a mostrare i cieli delle montagne alpine, senza però scomparire del tutto,  segno che una nuova epoca si affaccia nella  vita dei valligiani. La recitazione è sobrio, pulita, senza eccessi e si sfruttano bene le doti attoriali dei cantanti. In visione streaming fino al 15 febbraio
Foto Michele Monasta