Wolfgang Amadeus Mozart (Salisburgo, 1756 – Vienna, 1791)
Requiem in re minore KV 626
Requiem e Kyrie (Soprano e coro: Adagio; Coro: Allegro)-Dies Irae (Coro: Allegro assai)-Tuba mirum (Quartetto dei soli: Andante)-Rex tremendae (Coro: Grave)-Recordare (Quartetto dei soli: Andante)-Confutatis (Coro: Andante)-Lacrymosa (Coro: senza indicazione di tempo ma larghetto)-Domine Jesu (Quartetto dei soli e coro: Andante con moto)-Hostias e Quam olim (Coro: Andante e Andante con moto)-Sanctus e Osanna (Coro: Adagio e Allegro)-Benedictus e Osanna (Quartetto dei soli: Andante; Coro: Allegro)-Agnus Dei, Lux aeterna e Cum sanctis tuis (Coro: senza indicazione di tempo ma laghetto; Soprano e coro: Adagio; Coro: Allegro)
“Affezionatissimo Signore. Vorrei seguire il vostro consiglio, ma come riuscirvi? Ho il capo frastornato, conto a forza, e non posso levarmi dagli occhi l’immagine di questo incognito. Lo vedo di continuo, esso mi prega, mi sollecita, ed impaziente mi chiede il lavoro. Continuo perché il comporre mi stanca meno del riposo. Altronde non ho più da tremere. Lo sento a quel chel provo, che l’ora suona; sono in procinto di spirare; ho finito prima di aver goduto del mio talento. La vita era pur sì bella, la carriera s’apriva sotto auspici tanto fortunati, ma non si può cangiar il proprio destino. Nessuno misura i propri giorni, bisogna rassegnarsi, sarà quel che piacerà alla providenza. Termino ecco il mio canto funebre, non devo lasciarlo imperfetto”.
Il suo canto funebre, così lo stesso Mozart definì il suo Requiem in questa lettera indirizzata ad uno sconosciuto, forse a Da Ponte, a Londra il 7 settembre 1791, anche se il suo desiderio di non lasciarlo incompiuto non fu certo soddisfatto. Mozart, che nella suddetta lettera sembrava presago della morte imminente che lo avrebbe colto la notte del 5 dicembre di quell’anno 55 minuti dopo la mezzanotte, lasciò, infatti, incompiuta la sua ultima opera, avvolta nel mistero sin dalla sua commissione. Un giorno nel mese di luglio del 1791, mentre il compositore attendeva alla composizione del Flauto magico, si presentò nell’abitazione viennese di Mozart un messo abbastanza singolare, vestito di grigio con una lettera dove si chiedeva quale prezzo avrebbe preteso per una Messa da Requiem. Mozart, felicemente sorpreso e desideroso di scrivere musica sacra, dopo essersi consigliato con la moglie Konstanze Mozart accettò l’offerta chiedendo 50 o, come affermano alcuni, 100 ducati che lo sconosciuto puntualmente gli corrispose promettendogli che avrebbe avuto anche qualche aggiunta a lavoro finito a patto che non cercasse mai di rintracciare il committente. Solo dopo la morte fu svelata l’identità dello sconosciuto intermediario, il signor Leutgeb, amministratore del conte Franz von Walsegg zu Stuppach che, innamorato della moglie, Anne Edle von Flammberg, morta il 14 febbraio del 1791, voleva celebrarne il ricordo.
Mozart, che intelligentemente non si era legato a nessun preciso termine di consegna, iniziò il lavoro componendo l’Introito, il Kyrie e la Sequenza fino al Rex tremendae, ma la composizione della Clemenza di Tito, che fu rappresentata a Praga il 6 settembre e dell’ultima parte del Flauto magico, rappresentato quest’ultimo il 30 settembre 1791 al piccolo Theater auf der Wieden, portarono ad una battuta d’arresto nella stesura del Requiem. Questo periodo di lavoro febbrile e il faticoso viaggio da Praga a Vienna avevano minato la già cagionevole salute di Mozart che, tuttavia, riprese il lavoro del Requiem fino alla morte.
Se è stato dissolto il mistero che riguardava il committente della composizione, non si è ancora riusciti a capire quali sono i brani composti da Mozart e quelli opera di Joseph Eybler e di Franz Xaver Süssmayer; questo mistero ha affascinato generazioni intere di musicologi e ha dato vita ad una sterminata bibliografia all’interno della quale è possibile anche trovare tesi alquanto singolari in base alle quali viene negata quasi interamente la paternità mozartiana del Requiem. Dal poche notizie certe è possibile ricavare che Mozart aveva terminato nella partitura autografa i primi due brani Requiem e Kyrie e aveva scritto solo le parti vocali col basso continuo del Dies irae accennando le parti iniziali dei vari strumenti. La composizione si fermava ai due versi del Lacrymosa: qua resurget ex favilla / judicandus homo reus, mentre vi erano alcuni abbozzi del Domine Jesu Crhiste ed Hostias. Gli unici brani che Mozart non aveva nemmeno iniziato a comporre erano il Sanctus, il Benedictus e l’Agnus Dei. È certa la notizia in base alla quale la vedova Konstanze aveva dato l’incarico di completare il Requiem a Joseph Eybler, in quanto confermata da una ricevuta del compositore stesso nella quale si legge:
“Il sottoscritto dichiara di aver ricevuto dalla vedova Konstanze Mozart l’incarico di condurre a termine il Requiem iniziato dal suo defunto marito; dichiara inoltre d’impegnarsi a compiere detto lavoro entro la prossima mezzaquaresima e di non farne altra copia né di affidarlo ad altre mani che non siano quelle della Signora vedova. Vienna 21 dicembre 1791”
Eybler, molto probabilmente, completò la strumentazione del Confutatis ed aggiunse due battute al Lacrymosa rinunciando, però, all’impresa. La vedova, quindi, decise di rivolgersi ad altri musicisti che declinarono l’invito e, infine, a Franz Xaver Süssmayer. Non si conosce, in verità, la consistenza dell’autografo e degli abbozzi lasciati da Mozart che, inoltre, aveva fatto delle anticipazioni al suo allievo Süssmayer o a parole o suonando al pianoforte intere parti. Secondo quanto si legge in una comunicazione di Konstanze ad Anton Stadler, famoso virtuoso del corno di bassetto, Mozart aveva lasciato sul suo scrittoio alcuni foglietti di musica sparsi, che la vedova aveva dato a Süssmayer senza curarsi di sapere quale fosse il loro contenuto. A chiarire le questioni aperte sulle parti da attribuire a Mozart e su quelle composte da Süssmayer, non contribuisce certo il comportamento dell’allievo del Salisbughese, che ricopiò l’autografo mozartiano per non confondere le due calligrafie e dichiarò suoi il Sanctus, il Benedictus e l’Agnus Dei. La calligrafia di Süssmayer, inoltre, era talmente simile a quella di Mozart che sia il committente, a cui fu consegnata l’opera compiuta, che molti altri osservatori pensarono che si trattasse dell’originale mozartiano. La vedova, inoltre, aveva fatto di tutto per fare in modo che l’opera fosse attribuita interamente a Mozart, il 10 febbraio 1839 fu costretta ad ammettere la verità consistente nel fatto che la parte composta dal defunto marito arrivava fino al Dies irae e che i già citati Sanctus, Benedictus ed Agnus Dei erano opera di Süssmayer. L’immediato successo dell’opera, inoltre, indusse Konstanze a tentare la pubblicazione del Requiem, contravvenendo ad una clausola dell’accordo con il committente in base alla quale le era assolutamente proibita la pubblicazione della Messa a nome di Mozart. La comunicazione della Breitkopf & Härtel in base alla quale la Casa Editrice si dichiarava pronta a pubblicare la partiture su copie in suo possesso, indusse la vedova a mettere a disposizione dell’editore il manoscritto originale. L’annuncio della pubblicazione del Requiem da parte dell’editore scatenò, però, una nuova spinosa questione con il committente che, felice di passare per il compositore dell’opera, montò su tutte le furie chiedendo un risarcimento danni. Alla fine il conte fu liquidato con alcune copie inedite di Mozart e la pretesa iniziale di 50 ducati fu totalmente annullata.
Per ironia della sorte la prima edizione del Requiem non fu pubblicata dalla casa editrice tedesca che diede alle stampe la partitura soltanto nel 1820, ma dall’Imprimerie du Conservatoire a Parigi nel 1804.
Nell’Introitus, il cui testo “Requiem aeternam dona eis, Domine,/ et lux perpetua luceat eis. / Te decet hymnus, Deus, in Sion, /et tibi reddetur votum in Jerusalem: / exaudi orationem meam, /ad te omnis caro veniet. / Requiem aeternam dona eis, Domine, / et lux perpetua luceat eis”, predomina un’atmosfera liturgica lugubre in cui il tema del Requiem, esposto dai corni di bassetto e dai fagotti, si erge su un accompagnamento sincopato degli archi che produce forti dissonanze, mentre la seconda delle tre sezioni, di cui si compone questo brano iniziale, segnata dall’intervento del soprano alle parole Te decet, introduce un tema gregoriano.
All’Introitus si lega direttamente il successivo Kyrie che si sviluppa in una doppia fuga di vaga ascendenza händeliana e bachiana nella struttura melodica dei due soggetti che vengono, però, rielaborati in modo geniale ed originale dal grande Salisburghese. Carattere profondamente drammatico presenta il successivo Dies irae, il cui testo, tratto dalla sequenza attribuita a Tommaso da Celano e lasciata all’interno della liturgia della Messa dei Defunti dal Concilio di Trento, recita: “Dies irae, dies illa / Solvet saeclum in favilla, / Teste David cum Sibylla. / Quantus tremor est futurus, / Quando judex est venturus, / Cuncta stricte discussurus.
Le immagini di terrore evocate in questa stupenda pagina del Requiem non annullano la necessità del ricorso alla preghiera ed introducono il tema del Giudizio Universale, contenuto nel testo del Tuba mirum che recita: “Tuba, mirum spargens sonum / Per sepulcra regionum, / Coget omnes ante thronum. / Mors stupebit et natura, / Cum resurget creatura, / Judicanti responsura. / Liber scriptus proferetur, / In quo totum continetur, / Unde mundus judicetur. / Judex ergo cum sedebit, / Quidquid latet, apparebit, / Nil inultum remanebit. / Quid sum miser tunc dicturus? / Quem patronum rogaturus, / Cum vix Justus sit securus?
Alla grande massa orchestrale e vocale del Dies irae si contrappone l’iniziale e delicato concertare delle voci soliste con il trombone, il cui attacco solenne sembra evocare le trombe del Giudizio Finale. La misericordia e la grazia divina sembrano materializzarsi nella celestiale voce del soprano che intona gli ultimi tre versi, mentre nel successivo Rex tremendae, il cui testo recita: Rex tremendae majestatis /qui salvandos salvas gratis / salva me, fons pietatis, viene esaltata la maestà divina con un ritmo solenne e puntato in cui la ripetizione per tre volte della parola Rex non fa altro che ribadire la potenza del Creatore.
Nei tre brani successivi, Recordare, Confutatis, per l’ultimo dei quali Mozart si servì, nella stesura della parte del tenore, di una cellula melodica dell’Andante di una sinfonia di Pasquale Anfossi, e Lacrymosa, il cui testo recita: Lacrimosa dies illa, / Qua resurget ex favilla / Judicandus homo reus. / Huic ergo parce, Deus, / Pie Jesu Domine, /Dona eis requiem. Amen, la preghiera si fa sempre più fervente in un crescendo d’intensità che raggiunge il suo punto culminante in quest’ultimo brano nel quale la musica sembra evocare il pianto attraverso un disegno, affidato ai violini, di crome discendenti ed ascendenti. Questo brano, di cui Mozart compose soltanto le prime otto misure, fu completato da Süssmayer che proseguì l’idea iniziale del Salisburghese raddoppiando le parti vocali con i tromboni. Anche i successivi Domine Jesu ed Hostias furono rielaborati da Süssmayer sugli abbozzi di Mozart che riguardano il basso continuo e le parti vocali; nel primo dei due brani la potenza divina è, ancora una volta, esaltata nel forte che caratterizza, dal punto di vista dinamico, l’espressione Rex gloriae. Il Sanctus fu interamente composto da Süssmayer il quale, nella parte dei timpani, riprese una figurazione che ricorda il Sanctus della Messa in si minore di Johann Sebastian Bach. Il brano si conclude con un breve fugato che si basa sul testo dell’Osanna in excelsis, ripreso nella parte finale del Benedictus. Il successivo Agnus Dei presenta un’intonazione spiccatamente mozartiana in quanto deriva dalla scelta di Süssmayer di riprendere alcune sezioni del Gloria della Messa K. 220 del compositore salisburghese. La conclusiva sezione Lux aeterna riprende, infine, la musica dell’Introitus.
Pur essendo rimasto incompiuto, il Requiem è senza dubbio il capolavoro dell’arte mozartiana, in quanto in esso confluisce la notevole preparazione classica e, per alcuni aspetti, unica del grande compositore, oltre ad un’atmosfera preromantica che si fonda sulla sua grande esperienza teatrale. Il re minore del Requiem è, infatti, la stessa tonalità dell’Andante dell’ouverture del Don Giovanni, nel quale è ripreso il momento in cui l’eroe viene sprofondato agli Inferi. La scelta di questa tonalità, inoltre, evidenzia anche la tenace volontà di dare alla sua composizione una forte caratterizzazione religiosa e liturgica, in quanto essa non è nient’altro che la traduzione moderna del protus gregoriano.