Valeria Mariconda (1932-2006): “Una voce di flauto e il diavolo addosso”

A definire la voce di Valeria Mariconda ha provveduto il celebre flautista Severino Gazzelloni. durante le prove che precedevano la registrazione radiofonica del ballo in maschera, il flautista gridò la cantante in uno dei suoi non rari accessi di entusiasmo: “Valeria, seise il Gazzelloni della lirica “. Ciò che Gazzelloni scolpì in una frase lapidaria, un altro artista doveva dire con termini meno concisi, ma egualmente entusiastici. Alludiamo alle parole di Giorgio Favaretto quando ascoltò Valeria Mariconda per la prima volta, in una audizione privata. Nata a Siena (il 29 settembre 1932) la cantante era già l’ora strettamente imparentata con la musica: aveva un diploma di pianoforte al conservatorio di Firenze e aveva studiato canto con una brava maestra, sia pure senza pensare alla carriera. Per meglio dire, le speranze covavano, nascoste sotto un dichiarato amore alla musica. Esegui un’aria dei Capuleti e Montecchi, mentre Favaretto la accompagnava il pianoforte. Le prime parole, dopo l’ultima nota, fu lui a dirle: “E lei non è ancora famosa? Ha tutte le qualità per fare una meravigliosa carriera”. Non fu un giudizio, fu un’investitura. “Da allora sono vissuta per cantare: da quel momento magico”. L’amore per il canto divampò subito in una passione tenace, rabbiosa, di quelle che la gente di solito considera malattie. Accanto a Favaretto, sotto la sua guida sicura, Valeria Mariconda raffinò il  gusto musicale, imparò a distillare le fini bellezze del liederismo. Sì trasferì da Firenze a Roma, qui avvenne l’incontro determinante della cantante con la sua maestra, Maria Consoli. Fra le mani espertissime di queste insegnante, che lavorò con con particolare cura uno strumento vocale già fortunato per il purissimo timbro, L’allieva fece incredibili progressi. “A lei debbo tutto”, dice la cantante. “Oggi, se mi capita di cantare un’opera che conosco e ho già fatto più volte il teatro, non mi presenta in pubblico se prima non ho ripassato la parte con la mia maestra. È lei che mi ha insegnato a cantare, soltanto lei mi dà sicurezza”.
Dopo gli esordi in piccoli ruoli, il Massimo di Palermo le affidò il ruolo di protagonista nella Scala di seta. La regia era curata da Sandro Bolchi. Prima di incominciare la prova di palcoscenico, il regista aveva parlato chiaro. “Senta”, le avevo detto, “L’ho sentita nominare come una cantante  squisita, ma per quello che mi riguarda non basta. Ora mi siedo qui e voglio vedere che cosa sa fare “. La cantante provò una scena con il tenore: sprizzava vivacità, disegnava il gioco amoroso del personaggio con una naturalezza che sembrava con che sembrava consumato mestiere. Alla fine, Bolchi le disse: “Lei un’attrice nata”. Oltre che con Bolchi, Valeria Mariconda ha lavorato con altri registi di nome: Enriquez Menotti, la Walmann. Spettacoli fortunati, anche per merito di una “primadonna” attenta e docile come un’alunna di scuola, ma capace di indovinare al primo suggerimento la giusta tinta scenica del personaggio. “La musica, il teatro sono per me la vera vita. Alla fine della recita vorrei sempre ricominciare da capo e quando, all’ultima rappresentazione, lascio il costume e lo vedo ha preso in camerino senza più vita, Non posso fare a meno di baciarlo: il costume di Norina, per esempio, lo adoro “. La cantante ha in sostanza un solo grande impegno nella vita: il canto. Fuori dal teatro un’esistenza tranquilla, senza hobby. “Quando non sono in teatro passo le giornate studiando musica: non soltanto il canto, ma il pianoforte. Ripasso spesso musiche di Bach, oppure leggo qualche spartito. Ma se devo preparare un’opera inizia l’ossessione. Dimentico tutto, perfino i personaggi che ho interpretato prima. Mi innamoro, mettiamo il caso, di Rosina o di Sofia, come prima potevo esserlo di Zerlina o di Susanna. Studio l’opera tavolino, anche a letto se ho bisogno di riposare “. L’ultimo amore, stando alle parole di Valeria Mariconda, è stato l’Oscar del ballo in maschera . Anche se  il femmineo paggio non è un personaggio tale da soddisfare l’orgoglio di una “primadonna”, pur con tutta la sua splendida e festevole eleganza. Ma Valeria Mariconda questo fanciullo che balza vivo dalle pagine dell’Opera, lo ha tratteggiato vocalmente con provocante e baldanza. “Ho debuttato in questo in questa parte al teatro San Carlo di Napoli. Oscar è un personaggio importante, vocalmente molto difficile: bisogna dominare i passi di agilità, gli acuti è una parte nel registro centrale impegnativa”. Dopo il debutto in napoletano si disse che non si era mai visto un Oscar così affascinante. Nel costume del paggio, la sottile figura della cantante prendevo un’aria spavalda, in cui si mescolavano mondanità e galanteria. “Non condivido un’interpretazione di Oscar troppo molle e femminea. Lo sento come un ragazzo scanzonato, vitale, noncurante. Ma il segreto non è solo qui: la voce non sarebbe nulla se mancasse, come scriveva Verdi a ricordi, quel certo non so che, che dovrebbe chiamarsi scintilla e viene comunemente definito con la frase: avere il diavolo addosso”. E per suscitare l’ammirazione di Saverio Gazzelloni quel diavolo addosso, il “flauto della lirica” deve averlo davvero. (Estratto da “Valeria Mariconda: una voce di flauto e il diavolo addosso”. Roma, 1969)