Charles-Hubert Gervais (1671-1744): “Hypermerstre” (1717)

Tragédie lyrique in cinque atti su libretto di Joseph de La Font e Simon-Joseph Pellegrin. Katherine Watson (Hypermnestre), Mathias Vidal (Lyncée), Thomas Dolié (Danaüs), Chantal Santon-Jeffery (Une Égyptienne, une Naïade, une Argienne, une Bergère, une Coryphée), Manuel Núñez Camelino (Un Égyptien, le Grand Prêtre d’Isis, un Berger, un Coryphée), Juliette Mars (Isis, une Matelote), Philippe-Nicolas Martin (Le Nil, Arcas, l’Ombre de Gélanor). Purcell Choir, Orfeo Orchestra, György Vashegyi (direttore). Registrazione: Bela Bartok National Concert Hall, Budapest, 17-20 dicembre 2018. 2 CD GLOSSA Music CGD924007
Il Settecento musicale francese è ancora un repertorio poco frequentato e ancor meno conosciuta e la realtà del lungo periodo compreso tra la morte di Lully e il pieno affermarsi di Rameau che storicamente coincide con gli anni della reggenza e con la prima fase del regno di Luigi XV, quando la cultura francese torna a fiorire dopo la cupa parentesi degli ultimi anni di Luigi XIV e del moralismo di Madame de Maintenon.
Anni quindi di grande rinnovamento culturale in cui la pur sempre viva forza della tradizione codificata nel secolo precedente che in ambito musicale si traduce con la continuità delle forme fissate da Lully sia sul piano teatrale sia musicale –  alcune delle quali come l’organizzazione in cinque atti e la particolare cura della parte orchestrale saranno per sempre cifre proprie dell’opera francese –  si arricchisce con l’accoglimento d’influenze italiane seppur adattate alle peculiarità dell’estetica francese, unica nel corso del secolo a mantenere una propria identità alternativa al trionfo universale dell’opera seria italiana.
Uno dei maggiori successi di quella stagione – e un titolo emblematico del sincretismo stilistico sopra accennato – è l’”Hypermestre” con musica di Charles-Hubert Gervais andata in scena nel 1716 e ripresa – con ripetuti interventi di modifica – fino al 1766, quasi un primato per il palcoscenico dell’Opéra royal del tempo dove le riprese erano rarissime e la prevalenza dei titoli nuovi schiacciante in ogni stagione.
Gervais era nato a Parigi nel 1661 e aveva cominciato a mettersi in mostra intorno al 1690. Figlio quindi della generazione immediatamente successiva alla morte di Lully (1687) e da lui ancora fortemente influenzata.  Gervais  è uno di quegli autori che più resta ancorato al modello tradizionale della “tragédie en musique” anche in un momento in cui tendevano a prevalere spettacoli “disimpegnati” segno di un  bisogno di serenità dopo le lunghe e infruttuose guerre dei decenni precedenti.
Gervais fa proprio il senso drammatico alla Lully, le ragioni di un canto centrato sulla parola e sulla sua forza espressiva, la preferenza per forme variegate, la ricchezza del tessuto orchestrale, con la significativa presenza di pagine corali e di danze. Al contempo l’influenza italiana in piccola parte è presente, un ingrediente “esotico” che arricchisce il sapore senza stravolgerlo. Gervais recupera modelli vocali  e formali, comprese arie con da capo, limitandone però il ruolo  a situaizioni parallele al dramma: sono i personaggi minori, nelle scene più decorative, i destinatari di queste forme all’italiana.
Il successo della prima del 1716 fu in parte limitato dallo scarso apprezzamento per l’ultimo atto, musicalmente valido ma troppo convenzionale e poco efficace sul piano teatrale. Per la ripresa dell’anno successivo Gervais compose ex-novo tutto l’atto utilizzando un nuovo libretto in cui, scomparso qualunque intervento soprannaturale, la conclusione della vicenda è riportata a un piano esclusivamente umano attraverso una rigorosa essenzialità con cui si chiude l’opera: l’ultimo espiro di Danao mortalmente ferito, un alito su cui cala il sipario senza nessuna di quelle componenti convenzionali cui al tempo era affidata di norma la chiusura di un’opera.
La collaborazione tra le Centre de la musique baroque de Versailles e il Müpa di Budapest ha finalmente portato alla realizzazione della prima incisione discografica di quest’opera registrata nella capitale magiara nel 2018 e  pubblicata ora da Glossa. Per l’occasione si è cercato di darne una versione la più completa possibile partendo da quella del 1717 e integrandola con le variazioni avvenute nelle successive riprese. Del quinto atto si sono registrate integralmente sia la prima versione del 1716 sia il rifacimento dell’anno successivo in modo da permettere un puntuale confronto tra le due versioni.
György Vashegyi è un profondo conoscitore della musica francese tra sei e settecento cui si dedica ormai abitualmente da molti anni. La sua interpretazione punta a dare dell’opera una lettura chiara e rigorosa, di grande cura nella resa stilistica e filologica. Riesce a mantenere un buon tasso di teatralità e la possibilità di sfruttare un’orchestra con cui ha un’intesa perfetta come la Orfeo orchestra di Budapest gli permette di esaltare al meglio la qualità melodica e la ricchezza cromatica della scrittura di Gervais. Oltre all’orchestra una nota di merito va al Purcell Choir anch’esso di stanza nella capitale ungherese. L’ottima qualità di questi complessi è il segno palese di come la prassi filologica si sia ormai diffusa e di come ottime compagini siano ormai stabilmente attive anche in realtà che possono apparire più periferiche rispetto ai centri trainanti della renaissance barocca.
La compagnia di canto è composta da specialisti che nel corso di questi anni si sono distinti nella riscoperta di questo repertorio. Katherine Watson è una protagonista efficace. Ottima linea di canto, dizione francese corretta, timbro nello e morbido. Manca forse la dimensione tragica, il personaggio è affrontato  in chiave forse troppo liricamente ripiegata su un’espressività melanconica.
Mathias Vidal è uno dei tenori francesi che si più è fatto notare in questi anni e non solo nel repertorio barocco. La  voce di bella schiettezza tenorile e dalla notevole facilità nel settore acuto da Lyncée risolvendo al meglio tutte le difficoltà della parte. Espressivamente il ruolo è un po’ a senso unico, ma Vidal riesce a supplire ai limiti di un personaggio  stereotipato. Thomas Dolié da il giusto rilievo espressivo al ruolo di Danaüs sicuramente il più ricco e sfumato sul versante espressivo. Nel finale della versione del 1717 coglie accenti di autentica emozione grazie a un canto pulitissimo ed esemplare. Juliette Mars canta con gusto l’aria di Isis che chiude la versione del 1716 e svolge validamente il proprio compito nel prologo. Philippe-Nicolas Martin ha la giusta autorevolezza richiesta sia da Arcas sia all’Ombre de Gélanor la cui apparizione è uno dei momenti più originali dell’opera anche per la scrittura orchestrale.
Chantal Santon-Jeffery e Manuel Núñez Camelino si dividono le numerose parti di fianco. Lei molto brava nei numerosi passaggi di coloratura all’italiana che Gervais spesso affida ai ruoli di contorno, lui un po’ al limite nella parte molto acuta del Grand Prêtre d’Isis ma più che corretto negli altri ruoli.