“La bella addormentata nel bosco” al Teatro dell’Opera di Stato di Praga

Praga, Teatro dell’Opera di Stato, Stagione 2021-2022
“LA BELLA ADDORMENTATA NEL BOSCO”
Balletto in un prologo e tre atti di Ivan Vsevoložskij, ispirato alla fiaba di Charles Perrault
Musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij
La Principessa Aurora AYAKA FUJII
La fata dei lillà ALEXANDRA PERA
Carabosse DANILO LO MONACO
Il principe Desiré FEDERICO IEVOLI
Solisti e corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Stato di Praga
Orchestra dell’Opera di Stato di Praga
Direttore Václav Zahradník
Coreografia e regia Marcia Haydée (ispirata a Marius Petipa)
Scene e costumi Pablo Núñez
Produzione dell’Opera di Stato di Praga
Praga, 21 maggio 2022

La compagnia di danza dell’Opera di Stato di Praga vanta un’importate componente italiana tra i solisti e i semi-solisti del suo ensemble. Di fatto, nella ripresa della Bella addormentata nel bosco che compare tra i titoli della stagione, i due protagonisti maschili sono valenti ballerini italiani. Altro fattore di interesse della produzione è la versione coreografica della ex ballerina e direttrice artistica di origini brasiliane Marcia Haydée, internazionalmente assai fortunata. In più, questo impianto coreografico mantiene un rapporto speciale con l’Opera di Stato di Praga, sia per il numero delle riprese, sia per il calore con cui l’esecuzione viene presentata e salutata. L’Orchestra dell’Opera di Stato è sicuramente a suo agio con la partitura di Čajkovskij (più che con il Wagner di due giorni prima, recensito per “GBopera”) e questo è sicuramente anche un merito del direttore, Václav Zahradník; ma è addirittura incredibile con quale inflessione slava risuoni questo Čajkovskij, con dissonanze esasperate e con gli archi sempre tesi alla massima intensità. È un Čajkovskij che sembra rivisitato dallo spirito di Leoš Janáček; l’effetto è molto interessante, perché la partitura perde parte della sua morbidezza, per acquisire tensione drammatica. In parallelo, il direttore ricerca la varietà dei colori a partire dall’equilibrio delle sonorità e dei ritmi, che sono sempre molto ben controllati. Ed è quindi una gioia osservare come alla fine, dopo gli apprezzamenti per tutti i solisti e il corpo di ballo, il pubblico riservi un applauso specialmente vigoroso al direttore e agli orchestrali (riconoscimento che nei teatri italiani o spagnoli non sarebbe così ovvio, dal momento che nella maggior parte dei casi la musica del balletto è quella di una registrazione). Lo spettacolo di Haydée è innovativo soltanto a metà: se, infatti, i ruoli di Carabosse (un carismatico e impeccabile Danilo Lo Monaco) e della Fata dei lillà (la bravissima Alexandra Pera) sono trattati con un gusto e una spigliatezza tutti moderni, la coppia dei principi amanti resta legata ai movimenti e all’immaginario romantici (a tal fine, Ayaka Fujii e Federico Ievoli disimpegnano assai bene le loro parti). Per non parlare del III atto e della sfilata delle danze di carattere, con la comparsa dei personaggi delle fiabe di Perrault, a cui si è voluto aggiungere anche Biancaneve e i sette nani: più che innovare il quadro, forse lo si è reso ancora più convenzionale rispetto a un’estetica disneyana (come se quest’ultima fosse inevitabile per parlare del fiabesco e farlo intendere al pubblico). Tutto l’apparato pantomimico dei personaggi della corte o del seguito del principe non solo dipende da Petipa, ma conserva anche quel buffonesco o solenne stantio, che a paragone delle apparizioni di Carabosse risulta difficilmente conciliabile (e forse anche sopportabile). Ma, in fin dei conti, lo spettacolo è molto gradevole, grazie agli accurati costumi di Pablo Núñez, in particolare quello di Carabosse e del suo corteggio infernale, che si trasformano in un malefico pipistrello dalle ali gigantesche. Più che una autentica regia, è l’effetto estetico complessivo a convincere il pubblico (ancora, le eleganti scene di Núñez) – oltre, ovviamente, all’indubbia bravura e preparazione dell’intera compagnia di danza dell’Opera di Stato – e a concludere la serata con un’ovazione complessiva. Un omaggio alla grandeur tardo-romantica, con qualche inserzione di inquietudini novecentesche: sarà forse questa una delle “ricette tipo” per attualizzare i classici, ossia modernizzarli ma senza pretese eversive?   Foto del Teatro dell’Opera di Stato di Praga