Genova, Teatro Carlo Felice: “Il Turco in Italia”

Genova, Teatro Carlo Felice – Stagione d’Opera 2021-22
IL TURCO IN ITALIA”
opera buffa su libretto di Felice Romani
Musica di
Gioachino Rossini
Selim ALESSANDRO ABIS
Donna Fiorilla GIULIA SCOPELLITI
Don Geronio GIANPIERO DELLE GRAZIE
Don Narciso DAVE MONACO
Prosdocimo JANUSZ NOZEK
Zaida GABRIELLA INGENITO
Albazar MATTEO STRAFFI
Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Carlo Felice
Direttore
Sesto Quatrini
Maestro del Coro Francesco Aliberti
Maestro al fortepiano
Sirio Restani
Regia 
Italo Nunziata
Scene 
Emanuele Luzzati
Costumi 
Santuzza Calì
Luci Luciano Novelli realizzate da Gianni Bertoli
Allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice
Cast alternativo
Genova, 11 giugno 2022
La ricca stagione del Carlo Felice di Genova si conclude all’insegna del belcanto, con una sontuosa produzione de “Il turco in Italia” dalle suggestive scene di Emanuele Luzzati e i costumi eleganti e fascinosi di Santuzza Calì – soprattutto, come prevedibile, quelli di Fiorilla: siamo ancora innamorati del cappello con il quale entra in scena. L’ambientazione è quella di un teatrino di carta, ove la città di Napoli del Primo Ottocento è sostituita dai palchi e dai visi dipinti che da essi occhieggiano; ogni pretesa realistica è abbandonata, per colorare l’opera rossiniana di toni fiabeschi e surreali. La napoletanità è, tuttavia, al sicuro nelle mani di cinque maschere di Pulcinella, che oltre a servi di scena fungono da spettatori, talvolta da attori, e altre volte da veri e propri pezzi d’attrezzeria, fra una mossetta e un caffè, un golfo e uno spaghetto, in un rocambolesco omaggio al più genuino folklore partenopeo. Bravo Italo Nunziata per questo ingegnoso uso dei figuranti, ma anche per le scenette ben costruite sugli schemi della pochade, anche se si sarebbe potuto calcare un po’ più la mano su gag e ritmi comici degli interpreti, in generale un po’ statici. Incorniciata dalle attente luci di di Luciano Novelli e Gianni Bertoli, che giocano cromaticamente con il set e i costumi, la scena è dunque per una volta bella, godibile, ben organizzata – come nel secondo atto, con le sedie viennesi a riempire il palco – nella sua tradizionalità e semplicità. Alla direzione dell’orchestra del Teatro ritroviamo una talentuosa bacchetta, Sesto Quatrini, che con gesto ampio ed elegante rende a quest’opera un po’ sottovalutata di Rossini la giusta gamma di colori: la sinfonia è diretta con trasporto e assoluta precisione dinamica, e così il resto della performance, che nell’ultima parte del secondo atto sa colorarsi anche di afflati patetici – oltre a tenere pienamente sotto controllo tutte le prestazioni vocali degli interpreti. Proprio la compagnia di canto, tuttavia, ci offre i risultati più alterni: i solisti dell’”Accademia di alto perfezionamento e inserimento professionale per cantanti lirici” del Teatro Carlo Felice 2022, forse per emozione, o, come abbiamo ragione di credere, per inclinazioni vocali distanti da Rossini, non ci sono parsi tutti né scenicamente, tantomeno vocalmente, ben focalizzati sui propri ruoli. Buona gestione vocale di un mezzo senza dubbio interessante, per pulizia della tessitura e capacità espressiva, dimostra Gianpiero Delle Grazie (Don Geronio), così come Gabriella Ingenito sa ben distinguersi, mostrando ottimo fraseggio, una piacevole e omogena vocalità negli acuti, affrontando con naturalezza il ruolo di Zaida. Giustamente istrionico – peraltro nei panni di un redivivo Rossini – e attento “burattinaio” della scena è il Prosdocimo di Janusz Nosek, che, pur mostrando una disomogenità nella messa a fuoco dei suoni, mostra comunque una certa padronanza dello strumento; lo stesso si può dire per Matteo Straffi (Albazar), che sfodera una piacevole tessitura tenorile e una linea di canto coesa e coerente. Più alterno, invece, Dave Monaco nella difficile parte di Don Narciso: il ruolo è palesemente quello di un tenore “di grazia”, o comunque leggero, e il cantante si è mosso con troppa prudenza, mostrando delle difficoltà soprattutto negli acuti e nei passaggi d’agilità. Il Selim di Alessandro Abis mostra simili difficoltà: il timbro è bello, ma i registri vocali suonano disorganici, in particolare quello acuto che si sbianca, così come si avverte un certo disagio nell’affrontare la scrittura rossiniana creata per il celebre Filippo Galli. Complessivamente buona la Fiorilla di Giulia Scopelliti: la vocalità è fresca, l’emissione  morbida, di certo il suo approccio non è quello della virtuosa. Rimane però l’impressione che, l’avere evitato accuratamente “puntature”, così come un approccio prudente alle agilità, dimostrano che Rossini non sia proprio il suo autore d’elezione. Piacevole e molto ben costruito è stato l’apporto del Coro (diretto dal maestro Francesco Aliberti), che, nonostante ancora con indosso le mascherine, ha saputo farsi ben udire e apprezzare scenicamente. Il pubblico ha mostrato grande calore agli interpreti, benché il teatro fosse pieno per metà – colpa della pomeridiana del sabato? Speriamo sia così.