Castell’Arquato, IX° Festival Illica 2022: “Le Maschere”

Castell’Arquato (PC), Piazza del Municipio, Festival Illica 2022 – IX Edizione
LE MASCHERE”
Opera in un prologo e tre atti su libretto di Luigi Illica.
Musica di Pietro Mascagni
Tartaglia/ Giocadio ALBERTO MASTROMARINO
Il Capitan Spavento ANGELO VECCIA
Florindo MATTEO FALCIER
Rosaura MARTA LEUNG
Colombina ANNA MARIA SARRA
Arlecchino ROBERTO COVATTA
Pantalone de’ Bisognosi FRANCESCO LEONE
Brighella RAFFAELE FEO
Dottor Graziano LORENZO LIBERALI
Orchestra Filarmonica Arturo Toscanini
Coro KorMalta – Malta National Choir
Direttore d’orchestra Jacopo Brusa
Maestro del Coro Riccardo Bianchi
Regia Giulio Ciabatti
Costumi Margherita Platè
Nuovo allestimento del Festival Illica
Castell’Arquato (PC), 23 luglio 2022
A Castell’Arquato, gemma viscontea del piacentino, nacque e morì uno dei più interessanti librettisti (e, più in generale, intellettuali) della Belle Époque italiana, quel Luigi Illica che si è garantito l’eternità grazie al sodalizio con Puccini e Giacosa nella scrittura de “La Bohème”, “Tosca” e “Madama Butterfly”. Giustamente, da ormai nove anni, l’amministrazione comunale decide di organizzare un vero e proprio festival in onore della sua gloria locale, nel quale talvolta sono state messe in scena le opere scritte da Illica stesso. Quest’anno, è il turno del raro “Le maschere” di Pietro Mascagni (per un’attenta disamina dell’opera, vedi qui), scelta di non immediata comprensibilità, per diversi motivi: il primo è che il libretto dell’unica opera buffa scritta da Illica è oggettivamente molto debole (“opera inutilissima” venne definita ai tempi della prima, nel 1901), e quindi perché metterla in scena proprio in un festival che celebra il librettista? Il secondo motivo spiega, parzialmente, il primo: le stesse “Maschere” sono state annunciate prossimamente in cartellone sia a Livorno che alla Scala, e quindi è comodo, per dei cantanti che debbano affrontare il ruolo in piazze importanti, “esercitarsi” in un contesto piccolo e appartato, come la bella Castell’Arquato. Il terzo, e ultimo, motivo è anche quello meno credibile, cioè il bisogno di leggerezza dopo l’ondata del Covid: ormai è un anno che i teatri hanno ripreso, i festival all’aperto spesso nemmeno si sono mai fermati, e gli spettatori un pochino più avvezzi non ne possono più di questa giustificazione per ogni opera buffa che negli ultimi due anni è stata portata in scena. Al contrario: se il teatro deve avere un intento sociale, educativo, che questo sia esorcizzare la paura, non semplicemente distrarre da essa – ma tant’è, il direttore artistico Jacopo Brusa difende la sua scelta e a noi spetta riceverne i risultati, che, va detto, non sono per nulla sgradevoli, dal punti di vista musicale. L’Orchestra Filarmonica Arturo Toscanini, per quanto distante dalla sontuosa grandeur mascagnana, dà ottima prova di sé, così come la direzione trascinante del maestro Brusa, che vede nelle parti concertate e quelle d’abbandono più elegiaco (come il Duetto all’inizio dell’Atto Secondo) i suoi assi nella manica – tuttavia si avvertono talvolta dei ritardi tra scena e cavea. Il cast è di alta caratura, e prevede grandi professionisti nostrani impegnati anche internazionalmente a partire da Alberto Mastromarino, baritono di fama, che, a mo’ di narratore, gioca il doppio ruolo del servo Tartaglia e del capocomico Giocadio, dimostrando certo ancora le sue doti canore, ma anche una singolare efficacia nella parola recitata del Prologo. Angelo Veccia (Capitan Spavento), baritono di pregevoli qualità vocali, fraseggio curato e scolpito; Matteo Falcier (Florindo), tenore di bello smalto, dall’emissione generosa e la linea di canto morbida e omogenea; Anna Maria Sarra (Colombina), soprano leggero, conferisce al personaggio credibilità anche grazie alla sua vocalità argentina; Raffaele Feo (Brighella), giovane tenore dalla voce fresca e luminosa e un’emissione naturalmente impostata, abile fraseggiatore; insomma, un cast complessivamente valido che degnamente si completa con talentuosi vocalisti e interpreti: Roberto Covatta (Arlecchino), Francesco Leone (Pantalone), Lorenzo Liberali (Dottor Graziano) e Marta Leung (Rosaura). Presenza di pregio quella del Coro Nazionale di Malta, il KorMalta, diretto dal maestro Riccardo Bianchi, “bacchetta in fuga” che da anni collabora con la realtà musicale maltese, e il cui lavoro di grande attenzione alle varie parti vocali si fa sentire chiaramente nelle potenti armonizzazioni dell’ensemble vocale da lui diretto. L’assetto scenico, tuttavia, non rispecchia il livello della compagnia di canto: il palco, montato nella piazza del Municipio, tenendo sullo sfondo la Rocca Viscontea, non presenta quinte né fondale, ma solo una serie di strette telette rosse una accanto all’altra, così come poche sedie in scena (in realtà, tre tele con immagini vagamente ispirate alla Commedia dell’Arte ci sono, ma l’idea è che né aiutino ad arricchire la scena, né abbiano una effettiva funzione estetica). La struttura “a strisce” del fondale risulta però molto efficiente, qualora dagli spazi tra questi drappi rossi entrino vari personaggi, addirittura il coro, dando l’impressione di penetrare in uno spazio delimitato da un fuori che è il mondo. La regia di Giulio Ciabatti, comunque, si articola tutta sulle caratterizzazioni dei personaggi della Commedia dell’Arte, tra tradizione (nei costumi di Florindo e Rosaura, ad esempio) e contemporaneità, e, in tal senso, il cast si dimostra molto disponibile a mettersi in gioco con pose, equivoci e gag talvolta gustose, altre un po’ più scioccherelle. Si poteva certamente calcare più la mano in direzione comica moderna, venendo anche meno ad alcuni stilemi tradizionali – la maschera di Pantalone, un Arlecchino che continua a saltellare e ciondolare di qua e di là – alla ricerca di un effetto più immediato sul pubblico. In ogni caso la serata, per quanto lunga – e allungata anche da interventi istituzionali a vario titolo – si è portata a casa, e lo scopo di far conoscere l’opera al pubblico del 2022 è certamente riuscito, sebbene, e questo va ribadito, il libretto privo di inventiva e l’assetto un po’ troppo scarno dell’impianto scenico-registico non abbiano garantito la piena comprensibilità della stessa.