Venezia, Teatro Malibran: “Il trionfo del tempo e del disinganno”

Venezia, Teatro Malibran, Lirica e Balletto, Stagione 2022-2023
IL TRIONFO DEL TEMPO E DEL DISINGANNO”
Oratorio in due parti HWV 46a Libretto di Benedetto Pamphilj
Musica di Georg Friedrich Händel
Bellezza SILVIA FRIGATO
Piacere GIUSEPPINA BRIDELLI
Disinganno VALERIA GIRARDELLO
Tempo KRYSTIAN ADAM
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Andrea Marcon
Regia, scene e costumi Saburo Teshigawara
Assistente alla regia e coreografia Rihoko Sato
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Prima rappresentazione veneziana
Venezia, 25 maggio 2023
Debutta finalmente a Venezia sul palcoscenico del Teatro Malibran Il trionfo del tempo e del disinganno di Georg Friedrich Händel, attualmente uno dei titoli del maestro tedesco più ricorrenti nella programmazione dei teatri d’opera. L’oratorio – composto a Roma, dove fu eseguito nel 1707, con Arcangelo Corelli probabilmente al primo violino e l’autore all’organo – viene proposto in un nuovo allestimento, che vede sul podio dell’Orchestra del teatro La Fenice, uno specialista del repertorio barocco, qual è Andrea Marcon, mentre regia, scene, costumi, light design e coreografia sono affidati a Saburo Teshigawara. Il coreografo giapponese – premiato, nel 2022, con il Leone d’Oro alla carriera nel corso della XVIa edizione del Festiva Internazionale di Danza Contemporanea di Venezia – cerca l’armonia tra corpo e musica nel rappresentare una disputa di natura filosofico-morale – la Bellezza, irretita dal Piacere, si confronta con i moniti del Tempo e del Disinganno –, che la musica di Händel avvolge di poesia e carica di valenze drammatiche, pressoché assenti dal concettoso libretto del cardinal Panphilj. L’apparato scenico è decisamente minimalista. La scarna geometria di quattro telai metallici a forma di cubo delimita uno spazio per ognuno dei quattro personaggi – estremamente sobri nel gesto e più simili a raziocinanti interlocutori nel contesto di un dialogo filosofico che a esseri umani –, come fossero monadi separate rispetto allo spazio esterno. In questo si muovono, con grande pregnanza espressiva, quattro danzatori, tra cui lo stesso Teshigawara: sono i rispettivi “doppi” dei suddetti personaggi, in grado di esprimere con il linguaggio del corpo tutta la drammaticità racchiusa nella musica. La scena è diffusamente buia. Solo i personaggi e i loro coreografici “alter ego” sono illuminati da una luce radente, opportunamente mirata; il che, insieme all’essenzialità non priva di eleganza dei costumi – bianco quello della la Bellezza , argentato quello del Piacere, neri quelli del Tempo e del Disinganno –, potenzia il carattere austero della messinscena, che forse anche per questo ci è parsa davvero idonea a mettere in valore le ragioni della musica e del canto, nonché il carattere moraleggiante del testo. Sul versante musicale, Andea Marcon si è confermato l’interprete sensibile e preparato, che tutti conosciamo, guidando l’orchestra – divisa in strumenti del “concertino” e del “concerto grosso” – con coerenza stilistica rispetto a un’estetica, di cui è tra i maggiori esperti, ma senza mai perdere di vista il buon gusto, che non deve mai abdicare a eccessivi rigori filologici. Ne è risultata un’esecuzione equilibrata, ma vivace nei ritmi e brillante nelle sonorità. Lo si è colto fin dalla “Sonata dell’Overtura” – omaggio all’arte di Corelli –, nella quale si è apprezzata la coesione del “ripieno” come il virtuosismo dei “soli”. Peraltro gli interventi solistici – anche di un unico strumento – degni di menzione sarebbero molti: uno fra tutti, l’assolo dell’oboe nell’aria della Bellezza “Io sperai trovar nel vero il piacer”, dove cromatismi estremi di una modernità assoluta sottolineano il dolore e lo smarrimento. Di assoluto rispetto si è risultato il cast, in cui ha primeggiato Silvia Frigato – allegoria della Bellezza –, che nelle sue nove arie è riuscita ad esprimere – con timbro luminoso di soprano leggero, eleganza nel fraseggio, destrezza nell’affrontare le agilità e gli acuti – la sua progressiva emancipazione dalle seduzioni del Piacere terreno fino al suo totale abbandonarsi al Piacere spirituale. Analogamente positiva è stata la prestazione del mezzosoprano Giuseppina Bridelli – personificazione del Piacere terreno – che, con intensità e, nel contempo, leggerezza di accenti ha incalzato fino all’ultimo la vanitosa Bellezza, segnalandosi, tra l’altro, nella più toccante delle sue sei arie, “Lascia la spina, cogli la rosa”, musica assoluta e straordinaria, anche per la sua apparente semplicità, riutilizzata da Händel nel Rinaldo per musicare l’universalmente famosa “Lascia ch’io pianga mia cruda sorte”. Hanno pienamente superato la prova anche il contralto Valeria Girardello – Il Disinganno –, che ha affrontato le cinque arie dal tono riflessivo, che le competono, con accenti appassionati ma senza alcuna pesantezza, e Krystian Adam – incarnazione del Tempo –, che con bel timbro tenorile ha lanciato con autorevolezza i suoi moniti coinvolgenti e solenni.Un meritato encomio va ai danzatori: Rihoko Sato, Alexandre Ryabko, Javier Ara Sauco, per non parlare di Saburo Teshigawara. Caloroso successo con lunghi applausi per tutti.