Milano, Teatro alla Scala: “Onegin”

Milano, Teatro alla Scala, stagione 2022/23
“ONEGIN”
Balletto in tre atti su musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij

arrangiamento e orchestrazione di Kurt-Heinz Stolze
Coreografia John Cranko
Onegin ROBERTO BOLLE
Lenskij CLAUDIO COVIELLO
Tat’jana NICOLETTA MANNI
Ol’ga AGNESE Di CLEMENTE
Solisti, corpo di ballo e Orchestra del Teatro alla Scala di Milano
Direttore Simon Hewett
Scene Pier Luigi Samaritani
Costumi Pier Luigi Samaritani e Roberta Guidi Di Bagno
Milano, 15 novembre 2023
Cos’è Onegin? Un balletto appartenente a un momento interessante della danza, quando l’astrattismo stava sempre più prendendo piede, e il balletto narrativo, negli anni ’60, ebbe un suo sussulto di vitalità, facendo discutere e sollevando dubbi critici. Arlene Croce vide in ciò dei tentativi “di estorcere dal diciannovesimo secolo i balletti che in qualche modo non è riuscito a produrre – una serie che iniziò con ‘Eugene Onegin’ di John Cranko”, aggiungendo che “ogni volta che ho assistito ad uno di questi balletti operistici sono stata colpita dalla banalità rispetto all’opera”: l’opera riuscirebbe a veicolare maggiormente il testo letterario trasposto. Critiche, queste, scritte sul New Yorker nel 1974, e contestualizzate a quella che Croce ritenne pochezza drammaturgica del balletto che stava commentando: nientemeno che Manon! Non fu, quindi, solo Jack Anderson, nel 1979, sulle pagine del New York Times, ad assimilare l’Onegin ad una soap-opera. Le critiche non sono mai mancate, persino alla prima newyorkese del 1969, quella per cui Cranko risistemò il balletto e lo consegnò ai posteri. Clives Barnes, sulla stessa testata di Anderson, ne scrisse più positivamente, e parlò in questo caso di un miglioramento rispetto alla prima assoluta vista a Stoccarda quattro anni prima, seppure restasse ancora “un’aria maldestramente letteraria […] Ogni tanto tendi le orecchie per sentire cosa dicono, ma gli animi sono morti”; ciononostante, intercetta quelli che saranno sempre identificati come i punti di forza della coreografia: la piena padronanza del palcoscenico di Cranko e i passi a due. Qualsiasi cosa si dica, resta il fatto che il successo di pubblico venne sempre registrato. Anche al debutto tardivo alla Scala, arrivato solo nel 1996, con il commento, anche qui negativo di Mario Pasi sulle pagine del Corriere della Sera (nonostante vent’anni prima, al festival di Nervi del 1976, lo avesse accolto positivamente).
In molte critiche troviamo sottolineati la bellezza dei passi a due, i punti deboli, il ruolo ben sviluppato di Tatiana, la felicissima trovata dello specchio da cui esce Onegin mentre Tatiana sogna… ma non abbiamo mai scorso nulla sul prezioso personaggio di Lenskij. Se è vero che il protagonista Onegin è costruito in maniera sgradevole – algido, trattenuto in ogni passo sul palco, forse troppo – questo però fa emergere ancor di più il contrasto con Lenskij, giovanissimo poeta ingenuo e romantico. Il lirismo di Puškin coglie qui nel segno, soprattutto nel momento in cui Lenkij, dopo aver sfidato a duello Onegin, durante la notte scrive i suoi ultimi versi. La sua variazione costruita su questo momento è in assoluto una delle cose più belle che siano state concepite, oltre che essere di grande modernità: sono presenti tecnica, lirismo e interpretazione; e concepisce un altro tipo di variazione maschile rispetto a quella consolidata nel repertorio classico, fatta di tempi audaci, salti e giri. La serata del 15 novembre a cui abbiamo assistito ha visto protagonista Roberto Bolle negli scomodi e infelici panni di Onegin, e che strappa volutamente qualche emozione positiva quasi esclusivamente nei passi a due. Un ruolo così tanto trattenuto potrebbe far risultare muto il personaggio, soprattutto per chi si trova nelle gallerie, considerato che molto si gioca sui piccoli movimenti e sulla mimica facciale. Nicoletta Manni, fresca di nomina come étoile, è stata una degna Tatiana. Tecnicamente molto solida, riscontriamo costantemente miglioramenti interpretativi nel suo percorso. Il personaggio di Lenskij, grazie ad un artista così sensibile come Claudio Coviello, ha emozionato molto e nella variazione del secondo atto a cui abbiamo accennato crediamo abbia potuto far scendere qualche lacrima a qualcuno. Con Agnese Di Clemente (affermatasi recentemente grazie al ruolo di Giulietta), che ha interpretato con la giusta civetteria il personaggio di Olga, chiudiamo coi quattro protagonisti di questa vicenda. Il livello tecnico anche di Caporaletti, Gremin, e di tutto il corpo di ballo è stato molto buono e lo spettacolo in generale molto piacevole. La conduzione di Simon Hewett ci è sembrata delicata e piacevole, dando il massimo nel passo a due finale con musica tratta dal Francesca da Rimini. Non comprendiamo l’accanimento di molti critici che, forse più per sentito dire, bollano come sciagurata e di cattivo gusto l’orchestrazione di Stolze. Se la partitura può soffrire del fatto che si tratti di un patchwork di vari pezzi di Čajkovskij, ha però dei meriti l’abilità con cui Stolze ha confezionato il tutto e adattato alla coreografia. Facendo un azzardato paragone con l’opera, se è famoso il “sento l’orma dei passi spietato”, quintessenza del cattivo gusto del vituperato libretto del Ballo in maschera, è altrettanto constatato da alcuni studiosi che quello stesso libretto ha pregi e specificità non banali sulla funzionalità della lingua per la musica. Concludendo, non possiamo aspettarci sulla scena l’Onegin di Puškin – ma vale per qualsiasi spettacolo – soprattutto nel suo protagonista, troppo difficile nella sua estrema letterarietà; ma rintracciamo l’ispirazione a Puškin proprio in quel “sentimentalismo melodrammatico” che è entrato spesso nel mirino. Proprio Puškin gioca con ambiguità su di esso, facendo spesso interrogare gli esegeti su quanto sia ironia, parodia o romanticismo autentico, e lasciando spesso nel dubbio la conclusione. “Tutti noi ci giudichiamo dei Napoleoni […] riteniamo il sentimento cosa barbara e ridicola […] [Onegin] Ascoltava Lenskij col sorriso […] cercava di trattenere tra le labbra la parola agghiacciante, e pensava: ‘è sciocco che io turbi la sua fuggitiva beatitudine; verrà anche senza di me il tempo della delusione’ […] Onegin, che si considerava un invalido dell’amore, ascoltava con volto serio il poeta, il quale, amante delle confessioni, si rivelava a lui, e metteva a nudo la sua coscienza fiduciosa con spirito semplice. Eugenio, senza fatica, venne così a conoscere il romanzo giovanile del suo amore, un racconto ricco di sentimenti ormai così vecchi per noi”. Repliche: 18, 19, 21, 23, 25 Novembre. Foto Teatro alla Scala / Brescia – Amisano