Pesaro, Rossini Opera Festival, XLV Edizione
“IL BARBIERE DI SIVIGLIA”
Commedia in due atti di Cesare Sterbini
Musica di Gioachino Rossini
Edizione critica della Fondazione Rossini, in collaborazione con Casa Ricordi, a cura di Alberto Zedda
Il Conte d’Almaviva JACK SWANSON
Bartolo CARLO LEPORE
Rosina MARIA KATAEVA
Figaro ANDRZEJ FILONCZYK
Basilio MICHELE PERTUSI
Berta PATRIZIA BICCIRÈ
Fiorello / Ufficiale WILLIAM CORRÒ
Orchestra Sinfonica Gioachino Rossini
Coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno
Direttore Lorenzo Passerini
Maestro del Coro Giovanni Farina
Regia, Scene e Costumi Pier Luigi Pizzi
Regista collaboratore e Luci Massimo Gasparon
Produzione ROF 2018
Pesaro, 22 agosto 2024
Dopo i furori tragici di Ermione, è più che giusto che il pubblico del Rossini Opera Festival desideri uno spettacolo di grande musica e di non inferiore divertimento. Il barbiere di Siviglia prodotto nel 2018 avrebbe certamente offerto la migliore e più sontuosa opportunità, purché con una compagnia vocale all’altezza dei due titoli precedenti del Rossini “serio”. Al contrario, nel corso degli anni è stata applicata a questo allestimento la stessa matrice stilistica, evidentemente per conservare una serie di indicazioni musicali che si devono non ai vari direttori d’orchestra, bensì al regista-demiurgo primo, Pier Luigi Pizzi. Forse, ricorrere a una serie di gags che incominciano presto e attraversano tutta l’esecuzione non è l’unica modalità praticabile in un festival come quello di Pesaro. Il carattere della comicità di questo spettacolo non è estemporaneo né puntuale, bensì connaturato alla recitazione e all’intonazione delle parti: Don Bartolo pizzica la r, Don Basilio è balbuziente, Almaviva nelle vesti di Don Alonso strascica la s. L’effetto complessivo, nella sua prevedibilità, accentua la tipizzazione dei caratteri, sminuendo l’effetto comico complessivo per chi abbia già visto le precedenti edizioni (la più diffusa fu certamente quella in streaming dell’autunno 2020). La maggior parte del pubblico, comunque, non la pensa affatto così, perché si diverte moltissimo, tributando prolungati applausi a tutti gli interpreti, durante e al termine della recita. Paradossalmente, nel bel saggio di Gianfranco Mariotti all’interno del programma di sala, Il Barbiere e la (cattiva) tradizione, si mette in guardia il lettore dall’unico orientamento registico corrente, che appiattisce questo titolo «su un inamovibile cliché interpretativo: quello del massimo esempio possibile di opera buffa». Lo stesso Mariotti depreca le letture ridotte a «un repertorio fisso di tic e gag note e prevedibili». E dunque? Pare che al ROF si stia progettando di «recuperare a questo smagliante capolavoro la sua complessità originale». Intanto, però, si ride con ciò che la maggior parte del pubblico si aspetta … Buona la prova dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI diretta dal giovane Lorenzo Passerini, debuttante al ROF; concertatore attento, ma corrivo a due tendenze: l’eccessiva rapidità dei tempi e la pesantezza delle sonorità (flebili gli archi e fragorose le percussioni). Andrzej Filonczyk è un Figaro empatico e credibile, anche se esagera con toni caricaturali e zeppe di recitazione e ripetizione di parole. In più, tende a cantare sempre a voce spiegata, nonostante un piccolo difetto di respirazione, che rallenta l’emissione e lo costringe a rincorrere il ritmo. Il tenore statunitense Jack Swanson è un Almaviva che non brilla per il fraseggio o l’originalità dell’impostazione, ma si sforza di arricchire musicalmente la prestazione con piccole variazioni e puntature; la grazia del porgere attenua parzialmente i difetti tecnici, giacché la linea di canto soffre di una certa staticità e l’emissione è come impedita nei passaggi più virtuosistici (in particolare nel rondò finale). Le stesse leziosaggini a cui ricorre il baritono caratterizzano anche il canto di Maria Kataeva: dopo il concerto vocale di cui fu protagonista al ROF 2023, era da aspettarsi che la sua Rosina fosse piuttosto superficiale. Della voce scrivemmo a suo tempo che “è interessante, sia nel timbro sia nella tecnica, ma la cantante sembra torturata dal dubbio di non essere sentita: diversamente, non eseguirebbe tutto in forte o fortissimo, senza rilassare mai la tensione con una mezza voce, una smorzatura, un accento naturale […]. Ovviamente, deve anche forzare sul registro acuto, per mantenere l’emissione sempre al massimo, a scapito di altri accorgimenti”. Purtroppo non possiamo smentirci né attenuare quel giudizio; anzi, pesa sulla sua Rosina, sempre impegnata in movenze di flamenco, una certa impressione di volgarità. L’artista più adeguato e vocalmente coerente è Carlo Lepore, notevole Don Bartolo, sia nel caratterizzare un personaggio che gli sembra cucito addosso, sia nello stile arguto e attento al rispetto della scrittura rossiniana, insomma molto equilibrato (se non fosse per il vezzo della r, da cui ogni tanto egli stesso prescinde). Il sillabato del duetto con Rosina è godibilissimo, al pari di ogni altro intervento nei quadri d’insieme. Antiquitatis causa, si potrebbe elogiare anche il Don Basilio di Michele Pertusi, ma l’inflessione parlata ha ormai preso il sopravvento sul fraseggio. Da ricordare l’intervento di un’altra interprete che con il ROF vanta un rapporto pluridecennale: Patrizia Bicciré, simpatica Berta, che debuttò a Pesaro nella parte di Giulia nella Scala di seta del 1992. Alla “commedia perfetta” che è il Barbiere corrisponde una impostazione architettonico-spaziale perfetta, dovuta a Pizzi, che firma scene, costumi e luci. L’allestimento, nato e ritornato a Pesaro ma esportato anche altrove, non ha bisogno di essere ulteriormente descritto; c’è però un elemento storico che merita di essere menzionato, ed è la relazione tra lo stesso Pizzi e il ROF, iniziata nel 1982 e mantenutasi costante fino a oggi, con una identificazione registica con la rassegna che rivaleggia soltanto con Luca Ronconi. Ed è assai significativo che proprio con il Barbiere sia culminata la carriera registica rossiniana di Pizzi, nella città del compositore. Foto © Amati Bacciardi