Pesaro, 45° Rossini Opera Festival: “L’equivoco stravagante”

Pesaro, Rossini Opera Festival, XLV Edizione
“L’EQUIVOCO STRAVAGANTE”
Dramma giocoso in due atti su libretto di Gaetano Gasbarri
Musica di Gioachino Rossini
Edizione critica della Fondazione Rossini, in collaborazione con Casa Ricordi, a cura di Marco Beghelli e Stefano Piana
Ernestina MARIA BARAKOVA
Gamberotto NICOLA ALAIMO
Buralicchio CARLES PACHON
Ermanno PIETRO ADAÍNI
Rosalia PATRICIA CALVACHE
Frontino MATTEO MACCHIONI
Filarmonica Gioachino Rossini
Coro del Teatro della Fortuna di Fano
Direttore Michele Spotti
Maestro del Coro Mirca Rosciani
Regia Moshe Leiser e Patrice Caurier
Scene Christian Fenouillat
Costumi Agostino Cavalca
Luci Christophe Forey
Produzione 2019, riallestimento
Pesaro, 21 agosto 2024
Dopo i titoli del Rossini serio (Bianca e Falliero) e tragico (Ermione), il ROF 2024 ripropone due allestimenti del repertorio comico, accostando all’imponente Barbiere di Siviglia del 2018 L’equivoco stravagante del ’19, creato per il Teatro Rossini. Lo sguardo di una mucca che si sporge da un quadro campestre è il particolare visivo, giocoso di per sé, attorno al quale si sviluppa tutta la farsesca vicenda. Ed è come se il sorriso provocato da questo dettaglio si estendesse in risate quasi ininterrotte, per un pubblico che si diverte e applaude moltissimo. Al di là della qualità artistica e musicale dello spettacolo, è interessante osservare l’evolversi dell’atteggiamento socio-culturale nei confronti di questo titolo rossiniano: il pubblico, per buona parte formato da non italofoni, partecipa dalla prima all’ultima battuta, cogliendo e gustando ogni allusione, doppio senso e scurrilità più o meno velata del libretto. Merito, senza dubbio, dei sopratitoli in originale e in inglese, ma anche degli strumenti “educativi” che il ROF mette a disposizione dei suoi attenti frequentatori (in questo caso, il bel saggio di Fabio Rossi all’interno del programma di sala, La lingua equivoca di Gaetano Gasbarri). Insomma, un combinato di tecnologia e supporto interpretativo che soltanto pochi anni fa non era ancora disponibile e che, invece di raffreddare o razionalizzare la reazione del pubblico, la aumenta in termini positivi. Michele Spotti, giovane direttore dalla carriera internazionale e ormai di casa a Pesaro, è alla guida della Filarmonica Gioachino Rossini, districandosi bene con i ritmi indiavolati dei numeri d’insieme (e contenendo talvolta le piccole intemperanze di alcuni strumenti). La compagnia vocale è formata da un bel bouquet di giovani, quasi tutti coltivati nel giardino dell’Accademia Rossiniana, che si muovono attorno a un artista molto affermato ed esperto come Nicola Alaimo, il cui Gamberotto è irresistibile per comicità vocale e attoriale (esempio di baritono che lavora prima di tutto sui mezzi tecnici, come quelli indispensabili per affrontare il sillabato, per sortire l’effetto comico, anziché su gags o altri mezzucci da filodrammatica). Agli altri cantanti è certamente riservata una carriera che darà loro l’opportunità di perfezionare alcuni aspetti del canto: per esempio la dizione, la corretta messa in maschera della voce, l’intonazione per il soprano russo Maria Barakova (Ernestina) o il fraseggio e la varietà della linea di canto per il tenore catanese Pietro Adaíni (Ermanno), pregevole per la finezza dell’emissione e del porgere. Anche il baritono spagnolo Carles Pachon (Buralicchio) è stato molto equilibrato nel suo ruolo di carattere buffo. Spigliato e preciso, come sempre, il Coro del Teatro della Fortuna di Fano istruito da Mirca Rosciani. Moshe Leiser e Patrice Caurier, avvalendosi dello spazio lasciato quasi del tutto libero dalle scene di Christian Fenouillat, fanno muovere i sei personaggi con disinvoltura e divertimento; a parte una gratuita oscenità al principio del I atto, quando ancora non si sa nulla della situazione, i registi non introducono altri elementi nella recitazione, forse perché il libretto di Gasbarri è talmente colmo di battute e invenzioni verbali («spudorato, ingegnoso, esilarante» lo definisce Marco Beghelli nel programma di sala), che non rimaneva (per fortuna) altro spazio libero. Anche i costumi di Agostino Cavalca, provvisti di un bel naso posticcio per tutti, contribuiscono alla costruzione di una vis comica che, seguendo lo sviluppo narrativo (se così si può chiamare questa pièce ai limiti dell’assurdo), va crescendo nel II atto, si ripiega in un momento di elegia quando Ernestina è portata in prigione, e infine si placa nell’allegria generale del gámos, secondo il miglior canone della commedia popolare, dai tempi di Aristofane fino a Eduardo Scarpetta.   Foto © Amati Bacciardi