Bergamo, Teatro Donizetti, Donizetti Opera 2024
“DON PASQUALE”
Dramma buffo in tre atti di Giovanni Ruffini
Musica di Gaetano Donizetti
Don Pasquale ROBERTO DE CANDIA
Norina GIULIA MAZZOLA
Ernesto JAVIER CAMARENA
Dottor Malatesta DARIO SOGOS
Un notaro FULVIO VALENTI
Orchestra Donizetti Opera
Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala
Direttore Iván López-Reynoso
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia Amélie Niermeyer
Scene e costumi Maria-Alice Bahra
Luci Tobias Löffer
Coreografie Dustin Klein
“CASA E BOTTEGA” – Pagine per violino e pianoforte
Gaetano Donizetti: Sonata in fa minore per violino e pianoforte, “Impromptu” in re maggiore, Variazioni in fa maggiore
Violino Massimo Spadano
Pianoforte Francesco Libetta
Presentazione Paolo Fabbri
Bergamo, 17 novembre 2024
Titolo tra i più noti e rappresentati del catalogo donizettiano “Don Pasquale” sembra quasi sfuggire alle dinamiche festivaliere, l’allestimento bergamasco è stata però occasione per risentire l’opera integralmente come ricostruita dall’edizione critica a cura di Roger Parker e Gabriele Dotto. Non si tratta di stravolgimenti radicali ma di piccole modifiche e della riapertura di qualche inciso che non cambia la struttura generale ma puntualizza alcuni passaggi soprattutto sul piano narrativo. Finalmente sentiamo Norina chiedere quel “Pranzo da cinquanta” di cui solitamente Don Pasquale si lamenta senza che venga richiesto.
L’Orchestra Donizetti Opera era affidata per l’occasione a Iván López-Reynoso, giovane direttore messicano – poco più che trentenne – in fase di affermazione sulla scena internazionale. López-Reynoso vede nell’opera soprattutto la dimensione di commedia con ritmi rapinosi e sonorità brillanti mentre resta forse un po’ in secondo piano la componente patetica. Il suono orchestrale e nel complesso assai piacevole – pur con qualche eccesso fonico che si sarebbe potuto meglio controllare – così come sempre ben gestita è la fusione tra buca e palcoscenico nonostante l’estrema concitazione imposta dalla regia ai movimenti scenici.
Il cast ci presenta qualche problema: Javier Camarena tenore che nelle scorse edizioni aveva elettrizzato il pubblico è apparso infatti in precarie condizioni di salute – un annuncio al riguardo sarebbe forse stato auspicabile – che l’hanno costretto a giocare in difesa. La classe resta sopraffina, la voce è ideale per la parte e la simpatia scenica impagabile, però è parso evidente la prudenza resa necessaria da una palese raucedine. Nessuna ombra sulla prova di Roberto De Candia, vero mattatore della serata. L’allievo di Sesto Bruscantini fornisce qui una prestazione degna del maestro. In un ruolo che sembra scritto per le sue corde De Candia non solo canta benissimo e con una assai bella come colore e facilissima nell’emissione – i sillabati sono al limite del credibile – ma soprattutto interpreta in modo superlativo. De Candia possiede ogni singola fibra del ruolo, sa dare il giusto colore, la giusta inflessione a ogni parola, a ogni accento. Non c’è nulla che sia neppure lontanamente fuori posto, non c’è nulla che non sia calibrato alla perfezione e che al contempo non trasmetta il senso di più totale naturalezza. Il risultato è un personaggio umanissimo per il quale è impossibile non provare empatia”. Gli altri interpreti sono giovani della Bottega Donizetti chiamati a cimentarsi con ruoli decisamente impegnativi. Giulia Mazzola è una Norina interessante. La voce è bella e ben proiettata, gli acuti sono facili e brillanti, il fraseggio già ricco e vario. Scenicamente simpatica e molto partecipe si cala bene nella parte ottenendone meritato successo. Dario Sogos è un Malatesta di bella presenza vocale, tecnicamente ben impostato e sicuro in tutta la gamma. Interpretativamente è però ancora un po’ scolastico e si sente l’inesperienza dovuta alla giovane età.
Alterno l’allestimento di Amélie Niermeyer tra buone idee di parenza e perdita di controllo progressiva. L’impianto scenico è moderno, una grande villa razionalista un po’ alla Pizzi dove abita Don Pasquale, attempato ma giovanile benestante alla moda – ci si chiede solo per quale ragione Norina voglia cambiare un arredamento di design all’ultimo grido. Ernesto è uno sfaccendato che vive alle spalle dello zio, Norina veramente una spiantata ridotta a vivere in un’auto parcheggiata dietro alla villa e sulla professionalità del Dottore si può nutrire qualche dubbio nel suo essere parte dello stesso mondo sub-proletario di Norina.
Il primo atto è nel complesso ben gestito, brillante e recitato con gusto. Forse i giovani sono un po’ troppo macchiettistici il che non li rende troppo simpatici e qualche scena e troppo caricata – davvero sguaiato per essere credibile il finto notaio – ma nell’insieme il gioco funziona. Il secondo atto è invece dominato da un horror vacui che tutto travolge, la regista riempie la scena di figure di cui sfugge il significato – il rosa elefante che apre l’atto apparentemente fuggito dagli incubi alcolici del Dumbo disneyano, fornitori vestiti con pigiami da orsetti, camerieri trasformati in ospiti di una festa di dubbio gusto, striscioni ideologici – senza che tutto questo riesca a comporsi in un racconto coerente.
La mattina del 17 novembre, presso la casa natale del compositore in Borgo Canale si è svolta – con introduzione di Paolo Fabbri – l’anteprima del nuovo CD – previsto in primavera per Sony Music – della registrazione integrale delle composizioni per pianoforte e violino di Donizetti affidate a Massimo Spadano e Francesco Libetta. La presentazione è stata accompagnata da alcuni brani eseguiti dal vivo. Per l’occasione Spadano ha suonato sul violino settecentesco con accordatura di budello usato per la registrazione mentre Libetta ha utilizzato un pianoforte moderno. Nel disco saranno invece utilizzati tre pianoforti d’epoca di fabbricazione napoletana, viennese e parigina ad accompagnare gli snodi fondamentali della carriera d’occasione.
Musiche d’occasione ma nel complesso assai piacevoli che tradiscono un modo di comporre che interpreta il pianoforte come orchestra e il violino come voce solista. Esemplare al riguardo l’Impromtu in re maggiore che sfugge alle convenzioni del genere – in generale le forme sono assai libere e lontane dal rigore delle coeve esperienze mitteleuropee – per presentarsi come una scena composta da recitativo, aria e da capo con variazioni.