Bergamo, Donizetti Opera 2024: “Zoraida di Granata” (versione Roma 1824)

Bergamo, Donizetti opera 2024
“ZORAIDA DI GRANATA”
Melodramma eroico su libretto di Bartolomeo Merelli e Jacopo Ferretti (versione rinnovata)
Musica di Gaetano Donizetti
Almuzir KONU KIM
Zoraida ZUZANA MARKOVÁ
Abenamet CECILIA MOLINARI
Almanzor TUTY HERNÀNDEZ
Ines LILLA TAKÁCS
Alì VALERIO MORELLI
Orchestra Gli Originali
Coro dell’Accademia Teatri alla Scala
Direttore Alberto Zanardi
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia Bruno Ravella
Scene e costumi Gary McCann
Luci Daniele Naldi
Bergamo, 16 novembre 2024
Il progetto “#Donizetti200” è una sorta d’ideale percorso che di anno in anno accompagna la carriera di Donizetti presentando un’opera che compie duecento anni dalla rappresentazione valorizzando i titoli meno noti e frequentati. La proposta di quest’anno è parsa particolarmente interessante trattandosi della prima ripresa moderna di “Zoraida di Granata” nella versione rimaneggiata per Roma nel 1824. Il progetto complessivo – in collaborazione con il festival di Wexford – ha visto andare in scena nello stesso anno le due versioni con lo stesso allestimento. In Irlanda l’originale del 1822, a Bergamo la revisione del 1824 che segnò il primo autentico successo del compositore sulla scena romana destinato a segnare una svolta artistica – e anche umana (l’apertura dei salotti romani lo porterà a conoscere la futura moglie Virginia Vasselli) nella vita di Donizetti.
A Roma l’originario libretto di Merelli – tratta da quel “Gonzalvo da Corboda” che era già servito a Cherubini per “Les Abencérages” – è rivisto e ampliato da Jacopo Ferretti mentre sul piano musicale oltre alla musica per le nuove sezioni si riscontra soprattutto la riscrittura della parte del protagonista Abenamet – originariamente concepita per tenore – per mezzosoprano richiamandosi alla grande tradizione rossiniana. Opera giovanile ma in cui per la prima volta le qualità del giovane compositore riescono a farsi valere in modo compiuto. Il modello rossiniano è certamente imperante ma qualcosa di nuovo comincia a farsi strada, le formule non seguono più lo svolgimento previsto e in alcuni brani – come l’aria di Zoraida “Rose un dì spiegaste” già si percepisce quella che sarà la futura arte donizettiana. L’esecuzione musicale è affidata ad Alberto Zanardi, giovane direttore già assistente di Frizza e in possesso di un senso storico e stilistico di questo repertorio davvero ammirevole. La sua è una direzione curata, giustamente brillante – molta di questa musica lo richiede – ma capace anche di esaltare quel lirismo soffuso che già traspare e che sarà una delle cifre dell’estetica donizettiana. Alle prese con una partitura assai complessa tiene in mano con sicurezza le redini e riesce a valorizzarne i dettagli senza mai perdere il senso del grande affresco complessivo. L’Orchestra Gli Originali non è sempre inappuntabile ma ha il merito di dare a questa musica il giusto colore e la giusta intensità che trovano ambito ideale negli spazi ridotti del Teatro Sociale. Il Coro dell’Accademia Teatro alla Scala conferma i meriti che abbiamo riconosciuto nelle precedenti esibizioni.
Konu Kim – già nel cast di  Wexford – affronta il tiranno Almuzir con notevole baldanza vocale. Alle prese con una parte ampia e impegnativa – si ricordi che fu scritta per Donzelli – mostra una grande sicurezza su tutta la tessitura, con gravi pieni e acuti sicuri e ben proiettati. Non così nel fraseggio che risulta un po’ povero nel gioco di colori e accenti. Il cantante è ancora giovane e su questo terreno può sicuramente ancora maturare perché il materiale vocale è di sicuro interessante.
Cecilia Molinari splende radiosa nelle vesti dell’eroico Abenamet. La voce non è di grande ampiezza – ma poco importa in uno spazio come questo e con questo peso orchestrale – ma qualità di canto e fraseggio da autentica belcantista. Timbro morbido e seducente e tecnica impeccabile sono unite a un’interprete di sensibilità non comune. La nobiltà di un eroismo araldico e stilizzato, autenticamente classico, si unisce nella sua prova a una sincerità di affetti e di accenti che non può lasciare indifferente.
L’amata Zoraida è Zuzana Marková soprano ceco dal timbro cristallino e dall’innata eleganza. Pulita e precisa nelle colorature supera con sicurezza i passaggi d’agilità ma è soprattutto nei momenti più lirici e dolenti – come la già citata aria delle rose – che emerge al meglio la qualità di un canto di aristocratico nitore. Interpretativamente coglie il carattere volitivo di Zoraida, forte di fronte alle avversità senza mai rinunciare alla sua innata dolcezza.  La seducente figura e l’ottima dizione italiana completano ottimamente il quadro. Gli altri ruoli sono affidati ai giovani della Bottega Donizetti che hanno saputo farsi decisamente apprezzare. Valerio Morelli ha una voce di basso molto bella, ricca di suono e ben proiettata con cui da il giusto risalto al perfido Alì, vera anima nera della vicenda mentre la giovane ungherese Lilla Takács nei panni della schiava Ines affronta con gusto e bravura la non facile aria di sorbetto “Del destin la tirannia”. Troppo breve la parte di Almanzor per valutare più compiutamente la prova di Tuty Hernàndez.
La regia di Bruno Ravella declina il tema della guerra civile calandolo nella nostra contemporaneità. La scena si svolge nel luogo simbolo delle guerre balcaniche, la biblioteca di Sarajevo distrutta dai bombardamenti serbi e ricostruita in scena con notevole realismo. I costumi sono contemporanei, abiti eleganti per i civili e divise per i soldati. L’attualizzazione non aggiunge molto – certi temi sono sempre attuali e non è necessario modernizzarli forzatamente – però lo spettacolo e svolto con grande coerenza, e in fondo risulta convincente e non stridente con l’atmosfera dell’opera anche perché la vicenda è seguita con rigore e senza stravolgimenti narrativi. Le scene di Gary McCann sfruttano il ridotto palcoscenico del Teatro Sociale creando illusioni di monumentalità e molto suggestive risultano le luci di Daniele Naldi. Una nota di merito per l’ottima recitazione di tutti gli interpreti con un particolare elogio per la Molinari che si muove in scena con la naturalezza di una vera attrice. Foto Gianfranco Rota