Wolfgang Amadeus Mozart: “Se l’augellin sen fugge” (“La finta giardiniera” K. 196); “Ah se a morir mi chiama” (“Lucio Silla” K 135), “E giunge a questo segno…Va pure ad altri in braccio” (“La finta giardiniera” K 196); “Lungi le cure ingrate” (“Davidde penitente”) K. 469; “Parto, parto, ma tu, ben mio”, “Deh per questo istante solo” (“La clemenza di Tito” K. 621); “Exsultate, jubilate”, “Fulget amica dies”, “Virginum corona”, “Alleluja”, (“Exsultate, jubilate” K. 165). Kammerorchester Basel, Daniel Bard (direttore), Franco Fagioli (controtenore). Registrazione: Don Bosco, Paul Sacher Saal, Basilea. 3 e 9 ottobre 2020. 1 CD Pentatone PTC 5187 044
I ruoli scritti da Mozart per castrato sono ancora affidati principalmente a mezzosoprani – o soprani – en travesti, mentre più raro è l’uso di falsettisti nel repertorio del salisburghese. Quasi una sfida a questa tradizione arriva dal nuovo CD di Franco Fagioli. Il controtenore argentino si cimenta in questo repertorio offrendo una prestazione assai interessante nonostante il contenuto sia fin troppo ridotto durando la registrazione appena quarantasette minuti e lasciando ampi vuoti in un possibile catalogo dei ruoli mozartiani per castrato. La voce di Fagioli si distingue per l’ampiezza dell’estensione – fino al Do acuto come Venanzio Rauzzini uno dei destinatari dei brani proposti – e per la robustezza del mezzo dotato di una compattezza e omogeneità non così scontate per questa tipologia di voci.
Accompagnato con il giusto rigore filologico dalla Kammerorchester Basel diretta da Daniel Bard Fagioli offre una carrellata – in ordine sostanzialmente cronologico almeno per i brani operistici – della produzione mozartiana per questo tipo di vocalità
Posta in apertura “Se l’augellin sen fugge” da “La finta semplice” – unica piccola anticipazione cronologica rispetto alle arie successive – colpisce per la leggerezza dell’esecuzione di cui è colto perfettamente il carattere galante. Con la successiva “Ah se a morir mi chiama” Fagioli può far valere due delle migliori frecce al suo arco ovvero la facilità della tessitura acuta e la propensione per un canto patetico entrambe centrali nell’aria di Cecilio scritta per Rauzzini. Allo stesso cantante era dedicato il mottetto “Exsultate, jubilate”– di poco successivo all’opera – posto in chiusura di programma, dove Fagioli può dar fuoco alle polveri del virtuosismo svettando facilissimo sull’alta tessitura e sciorinando con facilità i rapidi passaggi di coloratura dove però resta un sentore di costruito che da un tono quasi aggressivo all’”Alleluja” conclusivo.
Una seconda aria anche da “La finta giardiniera”, dopo un recitativo ben eseguito – la dizione è nel complesso corretta anche se manca un po’ di nitidezza – segue l’aria di furore “Va pure ad altri in braccio” in cui Fagioli grazie alla pienezza del timbro riesce a risultare autenticamente intenso e drammatico e non solo superficialmente frenetico come spesso queste voci risultano in questo tipo di brani.
Di rarissimo ascolto “Lungi le cure ingrate” da “Davidde penitente” rientra tra quei brani lirici particolarmente adatti alla voce di Fagioli e rappresenta l’unica incursione oratoriale del programma offrendo anche un estratto da un titolo molto poco frequentato.
Il breve programma si chiude con le due arie di Sesto da “La clemenza di Tito” che possono rappresentare una sorta di cartina tornasole di tutta l’operazione. Vocalmente la prestazione è buona. La compattezza della linea di canto e il colore vocale innegabilmente bello non distinguono troppo questa voce da quella di un mezzosoprano. La tessitura è retta con sicurezza ammirevole e le difficoltà risolte con abilità e una buona naturalezza. Sul piano espressivo Fagioli punta a un taglio passionale e diretto che sicuramente colpisce al primo ascolto ma che a un’analisi più attenta mostra anche una certa superficialità. In brani come questi è possibile – e sarebbe auspicabile tanto più in un prodotto discografico – un approccio più curato e raffinato, un gioco di accenti e di colori più vario e sensibile che qui non troviamo sostituito da un’impetuosità che lambisce appena la ricchezza emotiva del ruolo.
L’orchestra come già detto suona con rigore e buona presenza sonora ma forse solo nell’aria de “La finta giardiniera” riesce a emergere con una certa autonomia dal semplice accompagnamento e nella fin troppo eccessiva stringatezza del programma non è stato concesso all’orchestra nessuno spazio per un momento puramente strumentale.