Milano, Teatro Menotti: “Shakespeare/ Poemetti. Venere e Adone / Lo stupro di Lucrezia”

Milano, Teatro Menotti, Stagione 2024/25
“SHAKESPEARE / POEMETTI. Venere e Adone / Lo stupro di Lucrezia”
di e con Valter Malosti
Progetto sonoro e live electronics Gup Alcaro
Traduzione, adattamento e ricerca musicale Valter Malosti
Produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale in collaborazione con TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro di Dioniso

Milano, 19 novembre 2024
L’operazione di traduzione e di interpretazione che da circa quindici anni Valter Malosti sta compiendo sui due principali poemetti di Shakespeare – “Venere e Adone” e “Il ratto di Lucrezia” – è tra le più preziose della drammaturgia italiana contemporanea, e ha di recente ottenuto la sua consacrazione con la pubblicazione nella collana di poesia di Einaudi. È un privilegio poter assistere a una live performance di queste traduzioni, che non conoscono una natura fissa, ma negli anni si rigenerano proprio nel momento della parola proferita, della tradizione orale: questi testi senza tempo (che rappresentano il momento più alto della produzione lirica del Bardo) diventano dei veri e propri ipertesti in scena, grazie al lavoro di incessante curatela che Malosti pone alla phonè in tutti i suoi aspetti – intonazione, emissione, proiezione, fraseggio. Sebbene sul piano scenico lo spettacolo sia inesistente – si tratta di una lettura – l’interpretazione si trasforma in rapsodia, tessitura vocale e intreccio con la seconda grande protagonista della performance, la musica, che viene costruita dal vivo da Gup Alcaro sul testo scespiriano e sull’interpretazione di Malosti: a sua volta, tutto questo background sonoro prevede rumori, voci, suoni elettronici, frammenti di musica barocca, suoni ambientali, un vero universo che si scontra, si amalgama e rimodella sulla parola, e a sua volta conferisce nuove forme, nuove evocazioni al testo stesso. In alcuni punti la fusione è così perfetta da indurre quasi stati alterati, visualizzazioni, esperienze metafisiche – e a questa fruizione quasi mistica partecipa senza dubbio il testo in quanto tale, la dizione di Shakespeare: le sue strutture funamboliche, il suo manierismo spinto e tentacolare, che si nutre di similitudini, di subordinazione vertiginosa e di immagini di inesprimibile nitore. Anche l’ordine nel quale vengono letti è importante: “Venere e Adone” ha un’andamento più teatrale, è un soggetto su cui facilmente il barocco può avvilupparsi (pensiamo al nostrano poemetto di Marino, “L’Adone”, del 1623), ma presenta una materia poetica facilmente riconducibile ancora a un canone rinascimentale; “Venere e Adone” è una sublime ubriacatura iniziale, un’implacabile elegia del piacere, che lascia spazio, tuttavia, dopo l’intervallo, a quel gioiello d’originalità del “Ratto di Lucrezia”, ove un gusto veramente barocco – nel senso di inusitato, eccentrico, fascinosamente orrendo – pervade una romanità assolutamente incredibile nel suo rigore cerimonioso. “Il ratto di Lucrezia” è una sorta di studio su personaggi, un’iperbole introspettiva che si nutre di concordanze e rispecchiamenti, e nel quale ci perdiamo: d’un tratto ci troviamo a godere di una violenza carnale, e non sappiamo da dove venga questo piacere, se dal testo così perfettamente architettato, dall’interpretazione congeniata a regola d’arte o dall’animale che ci portiamo dentro – in ogni caso, siamo sconvolti e travolti dalla bellezza di una simile oscenità, come probabilmente non ci saremmo potuti aspettare prima. Nell’ascoltare e nel figurare, noi siamo Tarquinio e la povera Lucrezia allo stesso tempo, giustifichiamo l’uno come bramiamo l’altra, disprezziamo il primo per poter preservare la seconda. E anche nello scrivere queste poche frasi sconnesse ci accorgiamo che, in realtà, non si riesce a esprimere davvero questa interiore battaglia tra Bene e Male, tra Basso e Alto, tra Terreno e Divino, che avviene in noi man mano che Malosti e Alcaro sgranano la loro performance come un rosario, o meglio come una parata dell’umano, possibile e impossibile. Bisogna andare a vederli, per capire. Vi auguriamo di farlo, fino a domenica al Teatro Menotti di Milano, il 29 e il 30 novembre al Teatro Storchi a Modena. Foto Laila Pozzo e Tommaso La Pera