Roma, Teatro Ambra Jovinelli
DIOGGENE
con Stefano Fresi
Scritto e diretto da Giacomo Battiato
Musiche Germano Mazzocchetti
Costumi Valentina Monticelli
Scultore Oscar Aciar
Luci Marco Palmieri
Decoratore Bartolomeo Gobbo
Produzione Teatro Stabile d’Abruzzo, Stefano Francioni Produzioni, Argot Produzioni
Roma, 27 novembre 2024
L’ultimo spettacolo interpretato da Stefano Fresi, “Dioggene”, scritto e diretto da Giacomo Battiato, rappresenta una delle più audaci esplorazioni recenti delle potenzialità del teatro contemporaneo nel dipanare i paradossi dell’esistenza umana. La struttura narrativa, suddivisa in tre quadri, si configura come un percorso discendente e stratificato verso l’essenza dell’essere, dove linguaggio, scenografia e interpretazione si intrecciano per creare un’opera teatrale complessa e polisemica. La parabola del protagonista, Nemesio Rea, si sviluppa come una progressiva spoliazione da ogni apparenza, fino a raggiungere una condizione di libertà autentica e tragica, che sfida le convenzioni più rassicuranti e invita a una riflessione universale. Nel primo quadro, “Historia de Oddi, Bifolcho”, la scena si apre su una rappresentazione epica e crudele, ambientata durante la battaglia di Montaperti, con un testo in autentico volgare duecentesco. Fresi, grazie alla sua straordinaria padronanza scenica, dà vita a eroi contadini spogliati di ogni retorica idealizzante, figure immerse in una realtà primitiva e sanguigna che trascende i confini del tempo. La scenografia, essenziale ma potentemente evocativa, è dominata da un gigantesco spaventapasseri, creazione dello scultore Oscar Aciar, che si erge come simbolo universale di terrore e fragilità. Questo elemento scenico non è soltanto un oggetto evocativo, ma un catalizzatore di significati, capace di incarnare le paure più ataviche dell’essere umano e di conferire alla rappresentazione una dimensione mitologica. L’interpretazione di Fresi, al contempo solenne e terrena, riesce a connettere l’universale al particolare, amplificando il senso di precarietà e vulnerabilità dell’uomo in un mondo dominato da forze oscure e incomprensibili. Nel secondo quadro, “L’attore e il buon Dio”, l’atmosfera cambia radicalmente: il registro si fa confessionale e intimista, mentre la scena si sposta nel camerino di un teatro, luogo liminale tra sacro e profano. Qui, il protagonista si confronta con il dramma personale della frattura coniugale, una metafora della condizione umana sospesa tra verità e maschera. Fresi offre una performance straordinariamente sfumata, restituendo con intensità e autenticità le contraddizioni di un uomo che, dietro l’apparente forza, nasconde una profonda vulnerabilità. Al centro del palco, l’armatura – altra creazione di Aciar – diventa il fulcro visivo della scena, simbolo della fragilità celata dietro una parvenza di invincibilità. Questo elemento, apparentemente inanimato, acquista vita e significato grazie alla sinergia tra regia, interpretazione e scenografia, trasformandosi in una potente allegoria del conflitto interiore che lacera il protagonista. La metamorfosi dell’attore si rivela qui un processo doloroso e sublime, dove ogni gesto e parola contribuiscono a costruire un linguaggio scenico di rara intensità. Il terzo quadro, “Er Cane de via der fosso d’a Maijana”, rappresenta il culmine del viaggio del protagonista, una completa rinuncia a ogni possesso, identità e ruolo sociale. Nemesio, ormai privo di maschere, si rifugia in un bidone dell’immondizia, incarnando un moderno Diogene che sceglie il rifiuto delle convenzioni come atto di libertà estrema. La scelta del romanesco come lingua della scena sottolinea la dimensione terrena e dissacrante di questa nuova condizione esistenziale, amplificando il senso di alienazione e insieme di riappropriazione della propria essenza. La scenografia, minimalista, è dominata dal bidone, simbolo ambivalente di degrado e rinascita, che si trasforma in un luogo filosofico, culla di un nuovo pensiero. Anche qui, l’opera di Aciar gioca un ruolo decisivo: il bidone non è solo un elemento scenico, ma diventa il fulcro simbolico della rinascita del protagonista, un oggetto capace di restituire la dignità dell’uomo nel suo confronto diretto con il rifiuto e la perdita. La regia di Giacomo Battiato si distingue per la sua capacità di creare un equilibrio perfetto tra testo, azione scenica e presenza attoriale. L’apparente semplicità dei gesti e delle scelte registiche cela un lavoro meticoloso, mirato a svuotare la scena di ogni elemento superfluo per concentrare l’attenzione sulla parola e sul corpo dell’attore. Stefano Fresi, monumentale nella sua interpretazione, si muove con straordinaria fluidità tra i tre registri linguistici ed emotivi, costruendo una performance di rara complessità e profondità. La sua capacità di oscillare tra comicità e lirismo, epicità e quotidianità, restituisce al teatro la sua dimensione più pura e autentica: quella di uno spazio di incontro tra umano e umano, dove ogni gesto e parola si caricano di significati che trascendono l’immediato per aprire orizzonti di senso nuovi e inaspettati. In “Dioggene”, la sinergia tra visione registica, scenografie simboliche e interpretazione titanica si traduce in un’opera capace di interrogare lo spettatore sul significato dell’esistenza, senza offrire risposte definitive ma accogliendo la bellezza del dubbio. Fresi, al centro della scena, si erge come monumento vivente di un teatro che osa, riflette e commuove, restituendo alla parola, al gesto e alla presenza il loro valore più alto e universale.Ci sono tanti modi di dire la verità: a volte è sussurrata, altre volte è gridata, ed è forse questa la scelta più audace. Qui, la verità teatrale riesce a essere veemente e viscerale senza mai perdere autenticità, e il pubblico risponde con altrettanta forza e spontaneità, trovando nei gesti e nelle parole in scena un riflesso delle proprie emozioni. Alla conclusione, un lungo e sentito tributo ha consacrato il successo dello spettacolo, rendendo evidente non solo l’apprezzamento estetico, ma anche la partecipazione emotiva e intellettuale degli spettatori, uniti in un’esperienza che ha trasceso i confini del teatro per diventare riflessi di una reale esperienza condivisa.