Torino, Teatro Regio, Stagione d’opera 2024-2025 ‒ Manon Manon Manon
“MANON LESCAUT”
Opéra-comique in tre atti su libretto di Eugène Scribe, dal romanzo Histoire du chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut di Antoine-François Prévost
Musica di Daniel Auber
Manon Lescaut ROCÍO PÉREZ
Il marchese d’Hérigny ARMANDO NOGUERA
Des Grieux SÉBASTIEN GUÈZE
Lescaut FRANCESCO SALVADORI
Madame Bancelin MANUELA CUSTER
Renaud GUILLAUME ANDRIEUX
Marguerite LAMIA BEUQUE
Gervais ANICIO ZORZI GIUSTINIANI
Monsieur Durozeau PAOLO BATTAGLIA
Un sergente TYLER ZIMMERMANN
Un borghese JUAN JOSÉ-MEDINA
Zaby ALBINA TONKIKH
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Guillaume Tourniaire
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Regia Arnaud Bernard
Scene Alessandro Camera
Costumi Carla Ricotti
Luci Fiammetta Baldiserri
Nuovo allestimento Teatro Regio Torino
Torino, 24 ottobre 2024
Manon Lescaut di Daniel Auber è sicuramente la meno eseguita e conosciuta tra le tre versioni operistiche delle vicende narrate dall’abbé Prévost, che in ottobre il Teatro Regio ha presentato sul proprio palcoscenico per il progetto “Manon Manon Manon”. E la conseguenza è che ‒ nonostante la presenza dei partecipanti al congresso di Opera Europa, e dei melomani accorsi a Torino per la possibilità di seguire i tre titoli in giorni consecutivi ‒ la sala di piazza Castello era tutt’altro che gremita. Ogni commento sulla pigrizia mentale dei torinesi sarebbe ridondante. Il progetto registico di Arnaud Bernard ‒ che ha scelto di far dialogare le tre opere con il cinema, leggendo ciascuna con gli occhi di un’epoca della cinematografia storica del Novecento francese ‒ ha forse avuto nel titolo di Auber la sua manifestazione più nitida e intelligibile. In questo caso è infatti chiaro che in scena viene portato il set cinematografico di un film muto (il riferimento cronologico per Auber è infatti l’epoca del cinema muto, e il titolo messo direttamente in dialogo con l’opera è When a man loves di Alan Crosland), e che i solisti incarnano gli attori impegnati nelle riprese. Dato che When a man loves è un film in costume settecentesco tratto dal romanzo di Prévost, gli stessi principali protagonisti dell’opera recitano in costume, cosicché le contaminazioni di epoche e di media convivono con un aspetto visivo da allestimento tradizionale, e alcuni spezzoni del film, proiettati durante ouverture, entr’acte e interludi, integrano la drammaturgia di Auber con episodi del romanzo esclusi dalla trasposizione operistica. Il dialogo con il cinema viene quindi ad essere funzionale alla comprensione dell’opera, e aggiunge qualche stimolo di riflessione che non guasta, come quello sul rapporto tra personaggio e interprete (come nei couplets di Manon del I atto, dove la protagonista canta la prima strofa in veste di attrice, ed entra nel personaggio prima di intonare la seconda strofa) e sull’eternità dei drammi interiori dell’essere umano. La direzione di Guillaume Tourniaire ha assicurato alla partitura di Auber un’esecuzione abbastanza completa, sia pure non integrale, e ha permesso al pubblico di coglierne la peculiare natura di opéra-comique di epoca relativamente tarda (1856), quando il genere, senza rinnegare i propri riferimenti rossiniano-donizettiani (evidenti nell’ouverture), era ormai pronto ad evolversi verso, da un lato, la nascente operetta, e, dall’altro, l’opéra-lyrique: se all’operetta guardano i primi due atti di Auber, all’opéra-lyrique volge lo sguardo il terzo. Con il direttore, e con l’Orchestra e il Coro del Teatro Regio, si è resa protagonista di questa lettura il soprano Rocío Pérez, dalla voce di dimensione contenuta, ma precisa e svettante, che nei primi atti dà vita, con una bella brillantezza e un fraseggio molto curato, al carattere spontaneamente frivolo di Manon, e nel terzo non manca di portare sulla scena una figura estenuata dalla sofferenza e che pur tuttavia non perde delicatezza e grazia. Nella versione di Auber, il ruolo maschile più impegnativo dal punto di vista vocale è quello del Marchese d’Hérigny; e il baritono Armando Noguera, dopo una partenza lievemente sfocata, dà il meglio di sé nel II atto, che inizia con due sue arie in forma di couplets, separate da un duetto con Manon in cui lui fa la parte del leone: i colori, il fraseggio, l’uso della mezzavoce, tutto concorre a tratteggiare con espressività il carattere dell’uomo lascivo e sarcastico ma sempre contegnoso. La figura di Des Grieux emerge davvero solo nel finale II e nell’ultimo atto, in particolare nel lungo duetto conclusivo, dove il tenore Sébastien Guèze tratteggia con proprietà di linguaggio una disperazione non priva di dignità. Auber non conferisce particolare rilievo al personaggio di Lescaut, professionalmente impersonato dal basso Francesco Salvadori. Si distinguono maggiormente altre figure di contorno, come Marguerite (il soprano Lamia Beuque), protagonista di un duetto con Manon nel quale si è stagliata la contrapposizione di carattere tra la frivola rôle-titre e la brava ragazza tutta virtù domestiche. O come il suo fidanzato Gervais, cui il tenore Anicio Zorzi Giustiniani presta una delicata voce di grazia con qualche inflessione un po’ nasale. O, ancora, come il rude Renaud (il baritono Guillaume Andrieux), guardiano delle prigioni in Louisiana. Se era di lusso la presenza del mezzosoprano Manuela Custer quale Madame Bancelin, è giusto ricordare anche gli interpreti delle altre seconde parti: il basso Paolo Battaglia (Monsieur Durozeau), il basso Tyler Zimmermann (Un sergente), il tenore Juan José-Medina (Un borghese) e il soprano Albina Tonkikh (Zaby, privata della sua ballata). Tutti hanno contribuito al buon successo di questo spettacolo, che corona uno dei progetti artistici più interessanti proposti in anni recenti dai teatri d’opera italiani. Foto Daniele Ratti