Firenze, Teatro del Maggio Musicale: Ivor Bolton nell’interpretazione di Mozart e Stravinskij

Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino – Settembre – Dicembre 2024
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Ivor Bolton
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Wolfgang Amadeus Mozart: Sinfonia in re maggiore K. 504 “Praga”; Igor Stravinskij: “Pulcinella”, Suite da concerto; Symphonie de Psaumes (Sinfonia di Salmi)
Firenze, 21 dicembre 2024
Il concerto diretto da Ivor Bolton – per alcuni aspetti ad hoc con lo spirito delle festività natalizie – offriva le caratteristiche di un’autentica laudatio. Il programma, un excursus storico-stilistico di circa 145 anni, intento ad offrire una vibrante e a tratti prismatica percezione, valorizzava le prime parti dell’orchestra e il coro, granitico e compatto. Dallo straordinario equilibrio del classicismo mozartiano con la “Praga” si è passati a una full immersion stravinskijana. In Pulcinella (rilettura neoclassica dell’antico barocco partenopeo), pur nella mutazione dell’opera di riferimento, è emerso il melos o parte di esso della versione originale, mentre la Symphonie de Psaumes è scevra da implicazioni formali con la sinfonia classica. Le mani di Bolton, intese kantianamente come ‘finestra della mente’, trasmettevano all’orchestra ogni intenzione e dettagli significativi sulle idee mozartiane. Si è apprezzata la disposizione e l’attenzione al colore dell’orchestra, per esempio nel fagotto (eccellente nell’intero programma Alejandra Rojas Garcia) che, amalgamatosi perfettamente con la sonorità dei violoncelli, ha evitato di rimanere isolato ed estraneo negli unisoni. La cantabilità dei violini primi (dopo le prime battute dell’Adagio) era tanto evidente da influenzare anche la sezione dei legni. L’Allegro seguente è stato occasione per ascoltare inizialmente il nitido canto alla voce grave (viole, violoncelli e contrabbassi) così come – per la partecipazione degli ottoni e timpani – effetti di fanfara, lasciando a Bolton il compito di dirigere la struttura ritmica e disegnare i fraseggi. L’orchestra si è espressa con bella cantabilità anche nel piano dell’esposizione della seconda idea nella tonalità di dominante, la maggiore. La fluidità dell’Andante, soprattutto quando il gesto del direttore era in due (non nella suddivisione del 6/8), diventava scorrevole e più vicino al significato di ‘andare’. Grazie alla funzionale concertazione si sono apprezzate le parti interne di ‘accompagnamento’ fino a farle assurgere ad autentiche melodie. Nel Presto finale l’orchestra ha offerto un nitido e brillante ‘virtuosismo’ senza rinunciare a presentare aspetti formali che all’alternanza di luci-ombre potevano tradursi in tristezza e gaudio. Un certo avvicendamento era evidente anche tra i blocchi sonori (archi–fiati) e soprattutto negli episodi in contrappunto doppio risultavano particolarmente godibili. Quasi con un organico simile alla “Praga” (una tromba anziché due, senza timpani e con il trombone) si presentava Pulcinella di Stravinskij. Per accostarsi a quest’opera occorre riconoscere il debito nei confronti del pensiero e della cultura antica tanto che la suite è da intendere come opera ri-composta sulla base di lavori già scritti precedentemente da altri. L’autore scrive, in Expositions and Developmentes, che Pulcinella è stata una sua «scoperta del passato, l’epifania grazie alla quale l’insieme della mia futura opera diventa possibile. Certo era uno sguardo all’indietro, la prima storia d’amore in questa direzione; ma fu anche uno sguardo nello specchio». Gli archi disposti nella consueta divisione del concertino e ripieno (Concerto Grosso) e i fiati, che contribuiscono a dare ‘voce’ alla narrazione, hanno fatto diventare protagonista l’orchestra. Il risultato è stato vedere e ascoltare, in particolare le prime parti, un canto che, per chi conosce il soggetto di Pulcinella, faceva immaginare le vicende di una narrazione in cui il colore e le trasformazioni di ogni elemento linguistico restituivano alcuni tópoi stravinskiani. Nella suite l’orchestra sembrava suonare più con spirito cameristico, mentre nella Sinfonia di Salmi – grazie alla presenza del coro, dell’organico orchestrale con la sezione dei legni allargata (comprendendo ottavino, corno inglese, controfagotto); ottoni (4 corni, 5 trombe, 3 tromboni, basso tuba); timpani, 2 arpe e 2 pianoforti e percussioni e gli archi (solo violoncelli e contrabbassi) disposti a semicerchio vicino al direttore – si intuiva subito la monumentalità dell’opera che trasuda religiosità e spiritualità. Per alcuni aspetti sembrava un’immersione nella bellezza iconica dell’arte russa in cui la ‘voce’ degli strumenti si contrappuntava a quella del coro intento a intonare alcuni versetti dei Salmi XXXVIII, XL e CL (Exaudi orationem meam, Expectans expectavi Dominum e Laudate Dominum). Nessun solista; il rapporto coro-orchestra non prevede un primus inter pares quasi sottolineando che davanti a Dio siamo tutti uguali. A governare la complessità e la grandiosità dell’opera è stato ancora una volta Bolton, attento a valorizzare ogni artificio compositivo. Nella doppia fuga (II movimento), per esempio, la chiara esposizione contrappuntistica era tale che ogni entrata del coro poteva percepirsi prevedibilmente e gli ingressi dei legni non avevano bisogno di particolare attenzione. Tutto scorreva inesorabilmente e, nonostante il linguaggio musicale e le sonorità non semplici per chi conosce poco la musica del XX secolo, si percepiva l’implorazione iniziale Exaudi orationem meam, Domine, et deprecationem meam, il ringraziamento evidenziato da Et immisit in os meum canticum novum, carmen Deo nostro e l’inno conclusivo di gloria a Dio Alleluja Laudate Dominum in sanctis eius, Laudate eum in firmamento virtutis eius. Nel sottolineare l’eccellenza del coro si segnala il lavoro encomiabile del direttore Lorenzo Fratini, sempre intento alla ricerca di quel quid per avvicinarsi al pensiero e alla religiosità del compositore. L’accurata interpretazione della sinfonia era certamente dovuta alla direzione di Bolton ma gli squilli di tromba, timpani, flauti che insieme agli altri strumenti a corde provenivano dall’orchestra, non solo restituivano le vibranti parole del Salmo CL, ma confermavano la versatilità e l’eccellenza dei professori del complesso strumentale del Maggio (in primis Salvatore Quaranta, violino di spalla e riferimento imprescindibile per l’orchestra). Pertanto l’espressione iniziale laudatio va intesa come autentico successo per tutti ma anche esperienza percettiva di un pubblico desideroso di lasciarsi inondare da vibrazioni utili al nutrimento della mente e dello spirito. Foto Michele Monasta