Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino – Settembre-Dicembre 2024
“LA TRAVIATA”
Melodramma in tre atti; libretto di Francesco Maria Piave da “La dame aux camélias” di Alexandre Dumas figlio.
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry JULIA MUZYCHENKO
Alfredo Germont MATHEUS POMPEU
Giorgio Germont MIN KIM
Flora Bervoix ALEKSANDRA METELEVA
Annina OLHA SMOKOLINA
Gastone ORONZO D’URSO
Il barone Douphol YURII STRAKHOV
Il dottor Grenvil HUIGANG LIU
Il Marchese d’Obigny GONZALO GODOY SEPÚLVEDA
Giuseppe ALESSANDRO LANZI
Un servo NICOLÒ AYROLDI
Un commissionario LISANDRO GUINIS
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Renato Palumbo
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Stefania Grazioli
Scene Roberta Lazzeri
Costumi Veronica Pattuelli
Luci Valerio Tiberi
Movimenti coreografici Elena Barsotti
Firenze, 1 dicembre 2024
Si potrebbe ipotizzare che il libretto di Piave e la musica di Verdi erano forieri di ‘tanti palpiti’. In realtà tale binomio non è stato sempre vincente tanto che alla prima (Venezia, Fenice 6 marzo 1853) Verdi sulla «Gazzetta musicale di Milano», ammettendo il fiasco ed interrogandosi sull’insuccesso, lasciava al tempo e al destino le sorti del suo melodramma. Il tempo ha decretato una tale notorietà da annoverare l’opera nella cosiddetta “trilogia popolare”. Riassumendo le motivazioni del successo di Traviata al Maggio si sottolinea l’adesione di ogni componente dello spettacolo ottemperando al verdiano: «Torniamo all’antico e sarà un progresso»: pur con una lettura teatrale ‘moderna’ in cui sono rielaborate le convenzioni, era possibile individuare inequivocabilmente le fonti e la tradizione. La regia di Stefania Grazioli ha proposto una versione ‘ripulita’ da intellettualismi moderni in virtù di una ricerca psicologica ed autentica del personaggio, così come l’efficace direzione di Renato Palumbo che, oltre a dimostrare grande e sicura padronanza del testo musicale, ha posto enorme attenzione verso aspetti interpretativi ormai consolidati dalla tradizione. A rendere il tutto più interessante l’ottima Orchestra, duttile ed efficace, sempre capace di restituire la multiforme partitura come nell’Andantino (Atto III: “È strano!… – Che! – Cessarono gli spasmi del dolore”) per percepire nel solo canto dei violini (due Imi soli), insieme al tremolo degli altri archi (pppp), la sensazione della rinascita di Violetta (“rinasce… m’agita insolito vigor! …) ma anche la sua eccitazione (agitatissimo) (“ma io ritorno a viver!! O gioia!”). In tale contesto è il crescendo dell’orchestra, unitamente all’ispessimento della scrittura, a sfociare nel ff dell’Allegro ad organico completo, che porta alla morte di Violetta e al calare del sipario sotto la scure degli ultimi pesanti accordi. Riguardo al Coro è bastato ascoltare “Si ridesta in ciel l’aurora” (Stretta dell’Introduzione Atto I-Allegro vivo) per rendersi conto delle qualità e potenzialità della compagine: il pp che diventa il più piano possibile, realizzato con una tale leggerezza fino ad un autentico sottovoce, tanto che l’accurata concertazione del direttore Lorenzo Fratini, pur di ripulire certe ‘incrostazioni’ del tempo, lasciava immaginare un ‘restauro di tipo conservativo’. Allargando il focus vi era la figura femminile incarnata da Violetta, eroina perseguitata che, da cortigiana, sceglie di cambiare per amore di Alfredo; percepisce che si sta innamorando ma, consapevole della propria condizione, decide di rimanere ‘sempre libera’. Nello spettacolo la visione era ancor più “moderna” e autenticamente femminile cosicché, a parte la funzionale scelta delle luci di Valerio Tiberi, sembrava non casuale l’affidamento di Scene, Costumi e Movimenti coreografici a donne: Roberta Lazzeri, Veronica Pattuelli e Elena Barsotti cui va il plauso di aver contribuito a ‘dipingere’ una narrazione che faceva percepire l’ ‘eterno femminino’ (leitmotiv) nelle parole di Violetta ad Alfredo: “di questo core non puoi comprendere tutto l’amore”. Segnalo Julia Muzychenko nel ruolo della protagonista: ha colpito per la bella presenza scenica e relativa recitazione quanto per le doti, musicali affrontando con una certa naturalezza un ruolo non facile ove necessita un soprano triadico (lirico leggero, intenso e spinto) coadiuvata da un vibrante e appassionato Alfredo (Matheus Pompeu). Traviata non è solo festa, sfarzo e gioia in cui, visto che l’amore “è un fior che nasce e muore”, si invita a vivere “il gaudio dell’amor”. L’ascolto del N. 1. Preludio (Adagio), con i soli violini in ppp, sintetizzava e offriva una lettura a ritroso dell’opera (non è casuale che il primo tema presenti somiglianze con quello del III atto con ovvie implicazioni e corrispondenze con Violetta ormai moribonda). Ciò catturava l’attenzione del pubblico ma offriva un’autentica interpretazione figurale. Attingendo alla memoria si potevano cogliere richiami, echi e quant’altro (compresa la protagonista che si riflette in uno specchio e si rivede piccola) come la celeberrima melodia, ora anticipata rispetto all’Atto II, ove, nel congedarsi dall’amato, intona “Amami, Alfredo!”. Una certa tradizione interpretativa, di cui Palumbo ha dimostrato di esserne fedele interprete, è stata percepita anche negli stacchi dei tempi, nei passaggi (da 4 a 2) così come negli effetti d’eco (primo Preludio) con la reiterazione di figure di semicrome dei violini Imi con acciaccatura e trillo. Del direttore ha colpito anche la sua efficace mano sinistra sempre molto funzionale nel far andare insieme (suddivisioni dei soli dei cantanti come in “Fra cari amici qui sei soltanto”) così come il giusto equilibrio nell’inserimento di uno strumento in rapporto alla voce del solista, ecc. A proposito dei due protagonisti ecco un altro momento interessante: la disperata urgenza d’amore di Violetta (II Atto: “Amami, Alfredo”), grazie al (con passione e forza) di Violetta e il ff culminato da tutta l’orchestra fino al diminuendo (“t’amo”) in cui ritorna una certa calma, diventava un altro momento perfetto dello spettacolo in cui partitura e drammaturgia sapevano cogliere l’essenziale. Molto convincente anche l’intervento di Giorgio Germont, padre di Alfredo (Atto II: “Di Provenza il mar, il suol”) in cui la forte sensibilità interpretativa di Min Kim sembrava voler ricordare il luogo natìo come unico nido ed isola felice nei momenti difficili. Questa Traviata è stata una bella versione, classica e spettacolare al tempo stesso e, nonostante l’epilogo della storia, sono riaffiorate le vibranti emozioni dell’amore, l’unico sentimento che “move il sole e l’altre stelle”. Foto Michele Monasta