Napoli, Teatro Bellini: “Cose che so essere vere”

Napoli, Teatro Bellini, Stagione 2024/25
“COSE CHE SO ESSERE VERE”
(Things I Know to Be True)

Spettacolo di Andrew Bovell
Traduzione Micol Jalla
Fran Price GIULIANA DE SIO

Bob Price VALERIO BINASCO
Ben Price FABRIZIO COSTELLA
Mark/Mia Price GIOVANNI DRAGO
Rosie Price GIORDANA FAGGIANO
Pip Price STEFANIA MEDRI
Regia Valerio Binasco
Scene e Luci Nicolas Bovey
Costumi Alessio Rosati
Suono Filippo Conti
Video e Pittura Simone Rosset
Assistenti Regia Fiammetta Bellone, Eleonora Bentivoglio 

Assistente Scene Francesca Sgariboldi 
Assistente Costumi Rosa Mariotti 
Tirocinante dell’Università di Torino/D.A.M.S. Beatrice Petrella 
Tirocinante dell’Accademia Teatro alla Scala Marina Basso
Produzione Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale

Napoli, 5 dicembre 2024
Cose che so essere vere è un dramma familiare che le donne e gli uomini cominciarono tanto tempo fa. Un dramma inafferrabile, perché fatalmente destinato a terminare mai. Non è il dramma d’una famiglia, ma IL dramma della Famiglia. Napoletane, americane, australiane… le famiglie sono tutte «uguali», da sempre. Forse, una volta per tutte, dovremmo fare i conti con l’irrimediabile disgregazione di ciò che ci ostiniamo ancora infantilmente a definire «famiglia», ancora osservata come un corpo strutturalmente «unitario» e non come un idealistico e astratto «agglomerato» di fatti, persone e di storie dal carattere inevitabilmente «individualistico». La frantumazione o, meglio, la «frammentazione» familiare può anche assumere contorni estremamente drammatici, fatalmente «irrisolvibili» e dunque accettabili, paradossalmente, soltanto assumendo un inconscio atteggiamento nichilistico – evitando così, anche soltanto momentaneamente, uno scontro traumatico con l’effettiva realtà. La pièce drammatica di Andrew Bovell, nell’efficace traduzione di Micol Jalla, appare come un’indagine sociologica su un nucleo familiare australiano; un’analisi dal tono stilisticamente narrativo e «naturalistico»; una scrittura vivace e brillante, organizzata entro una struttura formalmente «ciclica», che si apre con una scena che sarà, poi, quella finale. Il carattere «illustrativo» emerge prepotentemente, tanto da poter definire quest’opera come «summa» definitiva, un’operazione «riassuntiva» della «storia teatrale» della disgregazione familiare, la cui cristallizzazione in termini teatrali è avvenuta, nel corso del tempo, attraverso tòpoi e leitmotiv narrativi – attraverso, dunque, una reiterazione di elementi tematici e letterari: come la traumatica frattura nel rapporto padre-figlio o come il tema del padre costretto dall’invivibilità del nucleo familiare in una condizione regressiva drammaticamente infantile. Motivi strutturali e narrativi che, per esempio, troviamo in varie tragicommedie di Eduardo De Filippo – come Natale in casa Cupiello (1931) o Gennareniello (1932), determinate contenutisticamente proprio dall’elemento ricorrente della disgregazione e della frammentazione familiare. Se Luca Cupiello trova nella costruzione del presepe una via di fuga dalla realtà, Bob Price, nell’opera di Bovell, riesce a trovarla nel giardinaggio. Il giardino, entro cui accadono i fatti familiari, rappresenta un mondo «altro», uno spazio dall’impostazione potentemente realistica, ma caratterizzato da un’atmosfera onirica e sognante, determinata dai fondali-video di Simone Rosset e dalle suggestioni sonore di Filippo Conti. Il carattere frammentario della pedana roteante, un po’ cucina e un po’ giardino, ideata e nitidamente illuminata da Nicolas Bovey, rinvia e allude, sia pure in modo estremamente poetico, alla drammatica frammentazione delle personalità dei personaggi. Un’impostazione notevolmente variegata determina anche la regia, a cura di Valerio Binasco – che, attraverso un racconto scenico estremamente lucido ed essenziale, espone analiticamente le vicende della famiglia Price, e ciò accade anche attraverso il linguaggio gestuale, concreto e realistico, dei personaggi: un padre, frammentato in momenti di grazia e in momenti di traumatica disperazione; una madre, colei che regge effettivamente l’intero gruppo familiare, vittima di sogni erotici tragicamente soffocati, ma risolti attraverso scatti d’ira; i figli, figure dal carattere «rivoluzionario», che riescono a introdurre, nel quadro sociale e familiare, le loro «diversità» – integrate dunque al «dato maggioritario», per dirla col filosofo Gilles Deleuze. Estremamente notevole, dunque, la prova interpretativa degli attori: Giuliana De Sio (Fran Price) offre un ritratto intimistico della moglie-madre – fortunatamente scevro, anche nei momenti d’ira, di effettistici elementi interpretativi; adopera, dunque, la voce come uno strumento, governando e utilizzando teatralmente non soltanto le pause e la ricchezza acustica e linguistica del testo, ma anche la variegata «tavolozza timbrica» che consente all’attrice di donare al personaggio una personalità estremamente complessa. Valerio Binasco (Bob Price), invece, garantisce al padre-marito un atteggiamento sognante, commovente, intriso d’una carica affettiva che determina la freschezza realistica del linguaggio, scisso in: stabilità espressiva, quando il personaggio è costretto a fare i conti con l’effettiva realtà; disperazione emotiva, nei vari scontri col figlio «ribelle», Ben; amara introspezione sentimentale, quando Bob tenta di scappare, attraverso l’escamotage del giardinaggio, dall’invivibile realtà. Stefania Medri (Pip Price), Giovanni Drago (Mark/Mia Price), Fabrizio Costella (Ben Price), Giordana Faggiano (Rosie Price) danno voce e corpo, invece, alle figlie e ai figli della coppia. Medri risolve scenicamente la parte conferendo a Pip un temperamento degno d’una figlia costretta in un irrisolvibile stato di disperazione, determinato dall’ira materna; Drago, invece, garantisce spessore psicologico al personaggio, che porta con sé il tema dell’identità di genere, appropriatamente affrontato, tra tormenti e sentimenti di speranza; Costella offre un ritratto del suo Ben intriso di sentimenti contrastanti, risolti con infuocata interpretazione di figlio «ribelle», scisso in amore inespresso per la figura paterna e in amore ossessivo per la figura materna; Faggiano, invece, offre al suo personaggio, Rosie, un nostalgico sentimentalismo di viaggiatrice, carico di una malinconica amarezza, che emerge quando deve allontanarsi dal nucleo familiare. Attori, peraltro, tutti avvolti in costumi realisticamente appropriati, ideati da Alessio Rosati. L’opera termina tra gli applausi calorosi d’un pubblico particolarmente attento. © Photo Virginia Mingolla