Roma, MAXXI: “The Large Glass” di Alex da Corte e “Col Tempo. 1956-2024” di Guido Guidi

Roma, MAXXI
THE LARGE GLASS di Alex Da Corte
COL TEMPO. 1956-2024 di Guido Guidi
Roma, 12 dicembre 2024
Il MAXXI di Roma, colosso moderno dalle curve che si piegano e si distendono come onde di pietra, accoglie due visioni, due spiriti, due modi di osservare il mondo che sembrano rispondere, da lontano, alle stesse domande. Alex Da Corte e Guido Guidi, in apparenza opposti come il giorno e la notte, si incontrano in un dialogo profondo che esplora il visibile e l’invisibile, l’essenza della materia e il potere della luce. Le loro mostre, The Large Glass e Col Tempo. 1956-2024 non sono semplici esposizioni, ma viaggi, attraversamenti che sfiorano il limite tra l’umano e il cosmico. Alex Da Corte, nato a Philadelphia nel 1980, appare come una figura sfuggente e poliedrica, un alchimista dell’arte contemporanea. Pittore, scultore, regista, creatore di installazioni, sembra muoversi con la stessa disinvoltura attraverso linguaggi e materiali diversi, intrecciando il sublime e l’ordinario, il reale e il simbolico. Al MAXXI, con The Large Glass, propone una lettura unica delle Collezioni del museo, concependo lo spazio come un organismo vivo, un luogo in cui ogni opera si trasforma, si trasmette, diventa parte di un tutto più grande. Qui, l’arte non è mai ferma, mai conclusa, ma sempre in divenire, come la natura stessa. Il vetro, fragile e trasparente, è al centro della sua visione: un materiale che separa e unisce, riflette e lascia passare, si spezza e si rigenera. L’artista immagina una “età del vetro”, un tempo in cui la fragilità diventa forza, in cui la trasparenza è simbolo di trasformazione e resilienza. Intorno a questa idea, Da Corte costruisce un percorso che si nutre degli archetipi naturali: acqua, vento, fuoco e terra. Ogni elemento diventa una metafora di crescita, decadenza e rinascita, un filo conduttore che collega opere e visioni. L’inizio del viaggio è segnato da Modena (1978) di Luigi Ghirri, una fotografia che cattura un frammento di realtà con una tale intensità da renderlo universale. Non è solo un’immagine, ma una porta aperta su un mondo di possibilità, di interpretazioni. Seguono opere come The Globe di Atelier Van Lieshout, che riflette sull’instabilità del nostro pianeta e dei confini che lo segnano, e Mixing Parfums di Massimo Bartolini, un’installazione che stimola i sensi con fragranze che evocano luoghi lontani, ricordi dimenticati. E poi c’è il grido silenzioso di For the Benefit of All the Races of Mankind di Kara Walker, un’opera che affronta il tema del razzismo con immagini crude e potenti, e Fire Tires di Gal Weinstein, che congela un momento di violenza in una struttura molecolare, simbolo di un mutamento perpetuo. Ogni opera sembra parlare, raccontare una storia diversa eppure intrecciata con le altre, come voci in un coro che risuonano insieme. Dall’altra parte di questo dialogo visivo, Guido Guidi si muove con la precisione di un poeta che scolpisce il tempo. Le sue fotografie non catturano l’oggetto, ma il modo in cui la luce lo sfiora, lo trasforma. Ogni immagine è un frammento sospeso, un dettaglio che si apre all’infinito. Guidi non cerca il grandioso, il sublime, ma il quotidiano, il dettaglio trascurabile che, sotto il suo sguardo, si carica di significato. Un muro, una finestra, un’ombra: tutto diventa importante, tutto racconta una storia. Le sue immagini richiedono tempo, un’attenzione che oggi sembra quasi impossibile. Guidi invita lo spettatore a fermarsi, a osservare, a scoprire la poesia nascosta nei dettagli. La luce, nelle sue fotografie, non è solo un elemento visivo, ma un linguaggio, una presenza che scolpisce e definisce, che dà vita. Le sue opere, pur nella loro apparente semplicità, si caricano di una profondità che non si svela subito, ma che cresce lentamente, come un seme che germoglia. Tra questi due approcci, così diversi eppure complementari, il MAXXI diventa il terreno perfetto per un dialogo che non è mai scontato. L’architettura di Zaha Hadid, con le sue linee fluide, sembra amplificare il movimento perpetuo delle opere, il loro continuo trasformarsi. Il museo non è un contenitore, ma un elemento attivo, una parte della narrazione. Come sottolinea Monia Trombetta, direttrice ad interim di MAXXI Arte, “ogni opera qui instaura nuove relazioni con l’architettura e con le altre opere, creando un racconto autoriale che rinnova continuamente il significato delle Collezioni”. Le due mostre non vivono isolate. Nel foyer Carlo Scarpa, un’area di approfondimento offre documenti, schizzi, interviste che raccontano il lavoro degli artisti e il loro processo creativo. Il programma del MAXXI include lezioni divulgative, laboratori per famiglie e scuole, improvvisazioni musicali che dialogano con le opere. E grazie al progetto MAXXI per Tutti, il museo garantisce accessibilità attraverso audiodescrizioni, video in Lingua dei Segni Italiana e guide in Easy to Read. E mentre ci si sposta tra le opere di Da Corte e le fotografie di Guidi, il pensiero torna sempre al concetto di trasformazione. Il vetro di Da Corte, con la sua trasparenza, diventa metafora di un mondo che non smette mai di mutare. La luce di Guidi, con la sua capacità di rivelare l’invisibile, ci invita a guardare oltre, a scoprire ciò che normalmente sfugge. Entrambi, in modi diversi, ci ricordano che l’arte è un processo, non un risultato; un viaggio, non una destinazione. Il MAXXI, con le sue curve che sembrano galleggiare nell’aria, diventa il luogo ideale per questo incontro. Qui, passato e futuro si intrecciano, il visibile e l’invisibile si confondono, l’arte si rinnova continuamente. E lo spettatore, coinvolto in questo dialogo, non può che uscire trasformato, con nuovi occhi per guardare il mondo e nuove domande da esplorare. Perché, come ci insegnano Da Corte e Guidi, l’arte non è mai solo qualcosa da vedere, ma qualcosa che ci cambia, che ci spinge a immaginare, a trasformare, a essere.