Roma, Palazzo Barberini
CARLO MARATTI E IL RITRATTO. PAPI E PRINCIPI DEL BAROCCO ROMANO
curata da Simonetta Prosperi Valenti Rodinò e Yuri Primarosa
La mostra Carlo Maratti e il ritratto. Papi e Principi del Barocco romano, allestita a Palazzo Barberini, rappresenta un’indagine raffinata sulla ritrattistica di Carlo Maratti, un maestro capace di fondere la monumentalità del Barocco con un’intimità che trascende i confini del genere. L’esposizione, curata da Simonetta Prosperi Valenti Rodinò e Yuri Primarosa, offre un’occasione unica per esplorare non solo le opere, ma anche le intricate relazioni umane e professionali che hanno definito la carriera dell’artista. Maratti, celebrato in vita come uno dei maggiori pittori d’Europa, emerge in questa mostra in una veste più personale, dove il ritratto diventa non solo un mezzo di rappresentazione, ma un teatro dell’anima. Nato a Camerano, nelle Marche, nel 1625, Maratti giunge a Roma all’età di undici anni, inserendosi in un ambiente artistico ricco di tensioni tra il naturalismo caravaggesco e il Classicismo idealizzato. La sua formazione e il suo sviluppo artistico lo portano a incarnare l’essenza del Classicismo, ma con una versatilità che lo distingue dai suoi contemporanei. Se le sue opere a soggetto sacro o mitologico riflettono la ricerca della bellezza ideale, i suoi ritratti rivelano un’attenzione più sottile ai legami personali, ai dettagli psicologici e alle dinamiche sociali dei suoi soggetti. Tra i ritratti in mostra spicca quello di Giovan Pietro Bellori, storico dell’arte e intellettuale che fu tra i maggiori sostenitori di Maratti. Dipinto nel 1672-73, questo ritratto non è solo un omaggio a un amico, ma una dichiarazione di intenti: Bellori, con la mano, indica il volume delle sue Vite de’ pittori, scultori e architetti moderni, un’opera ispirata a Vasari, ma volta a celebrare il primato del Classicismo. Per Bellori, Maratti rappresentava l’incarnazione pittorica dell’idea platonica di bellezza: un ideale universale, purificato dalle imperfezioni della natura e sublimato in una forma astratta di grazia. Questo ritratto non si limita a raffigurare Bellori, ma lo inserisce in un discorso più ampio sull’arte come veicolo di verità superiore. Un’altra opera emblematica è il Ritratto di Clemente IX Rospigliosi, un lavoro che testimonia la stretta relazione tra Maratti e il pontefice. Secondo Bellori, Maratti ottenne il privilegio di dipingere il papa seduto, una concessione straordinaria che sottolinea il rapporto di fiducia e complicità tra i due. La narrazione che circonda la creazione di questo ritratto, con le sue lunghe sedute presso il convento di Santa Sabina, aggiunge un ulteriore strato di intimità e autenticità a un’opera che altrimenti avrebbe potuto limitarsi a un’esibizione di status. La dimensione familiare e personale di Maratti emerge in modo particolarmente toccante nel Ritratto della figlia Faustina come Allegoria della Pittura (1698). Faustina, con un’espressione sognante, incarna non solo l’amore paterno, ma anche un ideale artistico che trascende il genere. Questo dipinto, legato agli ideali letterari dell’Accademia dell’Arcadia, riflette la fusione tra vita privata e produzione artistica, un tema che attraversa molte delle opere di Maratti. La madre di Faustina, Francesca Gommi, appare in un altro ritratto allegorico, dove la figura femminile è legata al simbolismo dell’amore e della creazione, rafforzando l’idea di un’arte che attinge continuamente alle dinamiche affettive dell’artista. Accanto ai ritratti di amici e familiari, la mostra include una serie di opere che testimoniano l’abilità di Maratti nel rappresentare figure della società aristocratica e ecclesiastica. Tra queste spiccano i ritratti della famiglia Barberini, come quello di Maffeo Barberini e del cardinale Carlo Barberini, che riflettono la capacità del pittore di unire precisione tecnica e profondità psicologica. Questi ritratti, con la loro attenzione ai dettagli dei costumi e degli attributi, non sono solo documenti visivi, ma anche dichiarazioni di identità sociale e culturale. Di particolare interesse sono anche i ritratti di figure meno note, come quello del teologo irlandese Luke Wedding e del giurista Ercole Ronconi. In questi dipinti, Maratti dimostra la sua maestria nel rappresentare non solo i volti, ma anche il contesto intellettuale e spirituale dei suoi soggetti. Il virtuosismo tecnico del pittore emerge nei dettagli dei tessuti, nelle texture delle superfici e nella vividezza dei gesti, che conferiscono a ogni ritratto una presenza quasi palpabile. Il rapporto di Maratti con la nobiltà italiana ed europea è ulteriormente evidenziato dal ritratto di Cosimo III de’ Medici, granduca di Toscana, dipinto nel 1700. Questo ritratto, creato quando Maratti era ormai anziano, testimonia non solo la sua abilità artistica, ma anche il suo ruolo di mediatore culturale e figura di spicco nel panorama artistico romano. Come Soprintendente delle fabbriche vaticane, Maratti non era solo un pittore, ma un attore chiave nella gestione e nella promozione dell’arte nella Roma barocca. La mostra di Palazzo Barberini si distingue non solo per la qualità delle opere esposte, ma anche per la sua capacità di contestualizzare il lavoro di Maratti all’interno di una rete di relazioni personali, intellettuali e professionali. Ogni ritratto diventa una finestra su un mondo in cui l’arte non è mai isolata, ma intimamente connessa alla vita e alle aspirazioni dei suoi protagonisti. Maratti, con il suo pennello, non si limita a rappresentare; crea ponti tra passato e presente, tra l’individuale e l’universale. Questa esposizione rivela un artista che, pur radicato nella tradizione del Classicismo, ha saputo innovare e adattarsi alle esigenze del suo tempo. Carlo Maratti emerge non solo come un pittore di straordinario talento, ma come un interprete sensibile delle dinamiche umane, capace di trasformare ogni ritratto in un dialogo tra il visibile e l’invisibile.