Roma, Museo del Corso
Palazzo Cipolla
LA CROCIFISSIONE BIANCA di Marc Chagall
Roma, 27 dicembre 2024
La memoria artistica si fa qui testimone e ambasciatrice di un dolore universale, racchiuso nella forma espressiva di una crocifissione che è, al tempo stesso, emblema della storia e superamento del tempo stesso. Marc Chagall, con la sua Crocifissione bianca, non si limita a rappresentare una scena iconografica: egli ridefinisce il linguaggio dell’arte, intrecciando il sacro e il profano, il dolore storico e la speranza universale, in un’alchimia cromatica che supera le barriere della figurazione tradizionale. Esposta nel cuore pulsante di Roma, tra le mura di Palazzo Cipolla, l’opera si presenta non come un semplice quadro, ma come un portale capace di trasportare il visitatore in una dimensione altra, dove il significato trascende la superficie pittorica per abbracciare un’esperienza collettiva di sofferenza e redenzione. Questo luogo, scelto come scenario della Crocifissione bianca, non è casuale: Palazzo Cipolla si erge come simbolo di un’istituzione culturale che raccoglie e rilancia il valore della memoria, dando nuova vita a un racconto che intreccia l’universale e l’individuale. Nell’analizzare la Crocifissione bianca, ci troviamo di fronte a un’opera che sfugge a una lettura univoca, stratificandosi su molteplici livelli semantici. Il Cristo, figura centrale, è avvolto in un tallit, il tradizionale scialle di preghiera ebraico, che ridefinisce l’immagine del crocifisso come simbolo non esclusivamente cristiano, ma come archetipo universale del dolore umano. In questa scelta iconografica, Chagall opera un gesto radicale: egli rende la sofferenza del Cristo un ponte tra religioni, un simbolo che unisce invece di dividere, in un momento storico in cui le ideologie del conflitto sembravano destinate a prevalere. Intorno alla figura centrale, la composizione si anima di dettagli che richiedono una lettura attenta e meditativa. Profughi in fuga, case incendiate, bandiere rosse – simbolo della violenza delle SS – si intrecciano in un’iconografia che non è semplice descrizione, ma trasfigurazione poetica del reale. Chagall non dipinge una cronaca, ma un mito contemporaneo, dove il particolare diventa universale e il tempo si dissolve in un’eternità simbolica. Questa eternità è accentuata dall’uso del colore, che nella Crocifissione bianca si fa essenza emotiva e strutturale. I bianchi dominanti non sono vuoto, ma spazio carico di tensione, un palcoscenico metafisico dove il dramma si consuma. Il rosso, intenso e vivido, è il segno del sangue, della passione, ma anche della violenza che stravolge e annienta. Il verde e il blu, più sommessi, introducono una nota di speranza, quasi a ricordare che, anche nel dolore più profondo, sopravvive un seme di redenzione. Ma cosa rende questa crocifissione unica nel panorama dell’arte moderna? La risposta risiede nella capacità di Chagall di coniugare l’intimo e il collettivo, il sacro e il politico, senza mai cadere nella retorica. Nel dipinto è raffigurata simbolicamente la distruzione compiuta dai soldati dei pogrom. Si tratta di razzie antisemite, compiute tra il 1881 e il 1921 dai soldati dell’esercito russo contro gli ebrei. Anche i comunisti di Stalin portarono avanti una terribile persecuzione contro gli ebrei negli Anni Trenta del Novecento. Infine, al termine della Seconda Guerra Mondiale, altri pogrom vennero condotti contro i sopravvissuti alla Shoah. Questi eventi non sono solo riferimenti storici: diventano elementi costitutivi di un linguaggio visivo che si fa narrazione universale. Palazzo Cipolla, luogo dell’esposizione, aggiunge un ulteriore livello di significato all’opera. Questo spazio non è solo un contenitore, ma un elemento attivo del dialogo tra passato e presente, tra memoria e contemporaneità. La scelta di inaugurare il nuovo polo museale del Museo del Corso con la Crocifissione bianca è un atto simbolico: rappresenta la volontà di costruire un ponte tra la storia e il futuro, tra l’arte e la società. Il museo diventa così un laboratorio di riflessione, un luogo dove il passato non è mai chiuso, ma sempre aperto a nuove interpretazioni. In questa prospettiva, la Crocifissione bianca assume il ruolo di opera paradigmatica. Essa non è solo un’immagine da contemplare, ma una domanda da affrontare, un dialogo da intraprendere. Qual è il nostro ruolo di fronte alla sofferenza altrui? Come possiamo trasformare il ricordo in azione, la memoria in responsabilità? Le risposte, come spesso accade nell’arte, non sono date, ma suggerite. Chagall non ci offre soluzioni, ma ci invita a interrogarci, a esplorare le pieghe della nostra coscienza. E in questo processo, l’arte diventa non solo specchio, ma anche guida, un faro che illumina il cammino in un mondo spesso segnato dall’oscurità. La Crocifissione bianca è dunque un capolavoro che trascende la sua epoca, un manifesto che parla a ogni generazione. Esposta in un contesto che ne amplifica il significato, essa si rivela non solo un’opera d’arte, ma un simbolo di resistenza, un monito e una speranza. Palazzo Cipolla, con la sua austera eleganza, diventa il teatro ideale per questa rappresentazione, un luogo dove il sacro e il profano, l’antico e il moderno, si incontrano in un dialogo che è al tempo stesso poetico e politico. E mentre il visitatore si sofferma davanti alla tela, immerso nei suoi dettagli, nei suoi colori, nella sua luce, si rende conto che l’arte di Chagall non è mai fine a se stessa. Essa è un invito, una sfida, un atto di resistenza contro l’oblio. E così, quando lasciamo la sala, portiamo con noi non solo l’immagine di una crocifissione, ma il senso profondo di un dialogo che continua, una luce che non si spegne.