Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
FRANCISCUS
Il folle che parlava agli uccelli
di e con Simone Cristicchi
scritto con Simona Orlando
canzoni inedite di Simone Cristicchi e Amara
musiche e sonorizzazioni Tony Canto
scenografia Giacomo Andrico
luci Cesare Agoni
costumi Rossella Zucchi
aiuto regia Ariele Vincenti
regia Simone Cristicchi
Centro Teatrale Bresciano
Accademia Perduta Romagna Teatri
Roma, 03 dicembre 2024
C’è un momento nel teatro in cui la scena smette di essere un luogo fisico e diventa un altrove. In Franciscus – Il folle che parlava agli uccelli di Simone Cristicchi, questo momento si manifesta in un silenzio carico di significato, quando la narrazione si arresta, la musica si espande e la luce scolpisce spazi di sacralità. È qui che l’arte performativa compie il suo miracolo: quello di trasformare una storia antica in un’esperienza contemporanea, capace di interrogare chi siamo e dove stiamo andando. Simone Cristicchi, con una sensibilità che ricorda i menestrelli medievali, costruisce un’opera polifonica in cui teatro, musica e poesia si intrecciano con un rigore quasi liturgico. Il punto di partenza non è semplicemente la figura di San Francesco, ma il concetto di “santità” come ribellione all’ordine costituito. Francesco, nel racconto di Cristicchi, non è solo il poverello di Assisi, ma il folle che parla agli uccelli per sfidare il linguaggio umano, ormai corrotto dalla logica del potere e del possesso. La struttura drammaturgica si basa su un equilibrio instabile, ma calcolato, tra narrazione e rappresentazione simbolica. Il personaggio di Cencio, lo stracciaiolo marginale, non è una semplice invenzione narrativa: è una figura metateatrale, un demiurgo inconsapevole che guida lo spettatore in un viaggio di decostruzione della realtà. Con il suo dialetto impastato di umbro, latino e francese antico, Cencio non solo osserva Francesco, ma lo traduce per noi, rendendolo comprensibile e, al tempo stesso, misterioso. La scelta di frammentare il linguaggio si rifà a un’idea ben precisa: quella di ricreare la Babelica incomprensione che precede ogni vera rivelazione. La scenografia, curata da Giacomo Andrico, è un esempio perfetto di come l’essenzialità possa diventare il veicolo di un’estetica complessa. Le gigantesche colonne che dominano il palcoscenico non si limitano a evocare una cattedrale incompiuta, ma suggeriscono anche la tensione tra il cielo e la terra, tra la grandezza divina e la fragilità umana. È un linguaggio visivo che richiama le geometrie simboliche di Piero della Francesca: ogni elemento è disposto con precisione, ogni vuoto è carico di significato. L’albero della vita che compare nel finale non è solo un’epifania scenografica, ma una metafora del continuo rigenerarsi della fede, un memento della ciclicità che caratterizza la relazione tra uomo e natura. Dal punto di vista musicale, Franciscus si presenta come una partitura che alterna momenti lirici e corali a episodi di pura introspezione. Le canzoni, scritte dallo stesso Cristicchi in collaborazione con la cantautrice Amara, non sono semplici intermezzi: esse fungono da controcanto emotivo alla narrazione. La musica si muove su un registro minimalista, con arrangiamenti che privilegiano la trasparenza timbrica e la purezza delle linee melodiche. Gli strumenti – chitarre, archi e percussioni leggere – dialogano con la voce di Cristicchi in un continuo gioco di richiami e pause, creando un tessuto sonoro che avvolge lo spettatore senza mai sovrastarlo. Un esempio emblematico è il brano che accompagna il momento in cui Francesco abbandona le ricchezze del padre. Qui, la musica si spoglia progressivamente, passando da un arrangiamento orchestrale a un semplice pizzicato di chitarra, come a suggerire la nudità dell’anima di fronte a Dio. È un procedimento che richiama le tecniche della musica sacra barocca, ma con una sensibilità contemporanea che rende ogni nota vibrante di modernità. Dal punto di vista tecnico, è interessante notare come Cristicchi utilizzi la sua voce non solo come strumento narrativo, ma anche come elemento drammaturgico. La sua interpretazione si muove tra il parlato e il cantato, con una fluidità che ricorda il teatro di narrazione di Dario Fo, ma con un’intimità che lo avvicina al Lied romantico. Ogni parola è calibrata, ogni pausa è un invito al raccoglimento. È un’arte della misura che rivela una profonda consapevolezza dei tempi teatrali e musicali. Il disegno luci di Cesare Agoni, fondamentale per la costruzione dell’atmosfera, alterna chiaroscuri caravaggeschi a improvvise esplosioni di colore, come nel momento in cui Francesco si rivolge al sole e alla luna. La luce, in questo caso, diventa essa stessa protagonista, modellando lo spazio scenico e amplificando la dimensione simbolica dell’azione. Un aspetto particolarmente interessante dello spettacolo è il suo rapporto con il pubblico. Franciscus non si limita a raccontare una storia, ma interpella direttamente lo spettatore, lo sfida a diventare parte attiva del processo interpretativo. Non ci sono risposte preconfezionate, né facili soluzioni: tutto è lasciato aperto, come a suggerire che la vera comprensione non è un punto di arrivo, ma un cammino continuo. In questo senso, lo spettacolo si configura anche come un atto politico, nel senso più alto del termine. Parlando di Francesco, Cristicchi ci invita a riflettere su temi universali come la povertà, l’amore per il Creato, la necessità di un’etica che trascenda il materialismo. Ma lo fa senza mai scadere nella retorica, lasciando che siano le immagini, i suoni e i silenzi a parlare. È impossibile uscire da Franciscus senza sentirsi trasformati. Non si tratta solo di uno spettacolo, ma di un’esperienza totalizzante che coinvolge i sensi e lo spirito. In un’epoca in cui il teatro rischia di essere relegato a mero intrattenimento, Cristicchi ci ricorda che esso può – e deve – essere anche un luogo di interrogazione, di ricerca, di speranza. Franciscus – Il folle che parlava agli uccelli non è semplicemente un omaggio a San Francesco: è una celebrazione del potere dell’arte di aprire nuove prospettive, di farci volare al di là delle nostre gabbie quotidiane. Come Francesco parlava agli uccelli, Cristicchi parla a noi, con una voce che è al tempo stesso antica e nuova, capace di risvegliare in noi il desiderio di guardare il mondo con occhi diversi. E, forse, di viverlo con un cuore più aperto. @photocredit Edoardo Scremin