Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “La vittoria è la balia dei vinti”

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
Stefano Francioni Produzioni

presenta
Cristiana Capotondi
LA VITTORIA È LA BALIA DEI VINTI
di Marco Bonini
musiche Jonis Bascir
regia Marco Bonini
Roma, 10 dicembre 2024
Una madre si china sul letto della sua bambina. Il rituale della buonanotte si compie con lentezza, un momento sospeso, dove le parole fluiscono senza fretta. La piccola, sei anni appena, con gli occhi spalancati di curiosità, chiede alla mamma una storia. Non una qualsiasi, però: vuole sapere qualcosa di quando lei era bambina. La madre riflette un istante, il tempo necessario per immergersi nei ricordi di famiglia, poi comincia a raccontare. Firenze, 25 settembre 1943. La città, solenne e vulnerabile, è stretta nella morsa della guerra. Nel cielo scuro, uno stormo di 36 aerei Wellington sorvola la città, diretto alla stazione di Campo di Marte, nodo ferroviario strategico. Ma l’operazione fallisce. Le bombe cadono lontano dall’obiettivo, seminando distruzione tra le case, nei vicoli, nei cortili. Il clangore delle esplosioni spezza il respiro della notte, mentre il dolore si insinua in ogni angolo della città. In una cantina umida e buia, sotto il maestoso Palazzo Pitti, la bisnonna Vittoria è rannicchiata insieme a decine di persone. Moglie del sovrintendente ai beni culturali di Firenze, Vittoria è una donna abituata agli spazi vasti e luminosi del palazzo, ma in quella notte lussuosa o misera non fa differenza: tutti sono uguali sotto le bombe, privati di titoli, ruoli e appartenenze. Accanto a lei, una giovane balia stringe al petto due gemelli neonati, ma il trauma delle esplosioni ha prosciugato il suo latte. I piccoli piangono disperati, il loro lamento è un grido che squarcia l’aria pesante del rifugio. Vittoria, senza esitare, prende i gemelli e li nutre. Non c’è imbarazzo, non c’è esitazione. In quel gesto c’è tutto: la forza di una madre, il coraggio di una donna, la solidarietà che annulla ogni confine. Sotto le bombe, Vittoria non è più la Signora del Palazzo, ma una madre universale, capace di trasformare la paura in amore. “La balia dei vinti”, così l’avrebbero chiamata, se qualcuno avesse avuto la lucidità di darle un nome in quella notte di terrore. La bambina ascolta rapita, gli occhi socchiusi come a trattenere ogni parola. Nella sua mente, la storia prende forma: il rifugio non è più una cantina, ma un regno nascosto; Vittoria non è una donna, ma una regina dal cuore grande, una guerriera che combatte con il latte e la carezza. La mamma, intanto, continua a narrare, la voce modulata per accompagnare il viaggio immaginario della figlia. E proprio questa storia, così intima e universale, è stata portata in scena in uno spettacolo che riesce a unire la potenza del racconto alla magia del teatro. La protagonista, Cristiana Capotondi, si muove su un palcoscenico essenziale, dominato dal bianco, come una pagina ancora da scrivere. La scenografia è un’idea più che una costruzione, un invito a immaginare. Le pareti e il pavimento diventano uno schermo immenso, dove proiezioni grafiche evocano la Firenze del ’43, ma non come la vedrebbe un fotografo: le immagini sono filtrate attraverso la fantasia di una bambina che ascolta, sospesa tra realtà e sogno. La protagonista domina la scena con una grazia che sembra naturale, ma che si intuisce studiata in ogni dettaglio. La sua voce, morbida e precisa, si adatta al ritmo della narrazione, passando dalla dolcezza di una madre che culla la figlia al dramma di chi rievoca il frastuono della guerra. Ogni parola è cesellata, ogni pausa è un invito al pubblico a immergersi nella storia. I suoi movimenti, grazie alla delicata regia di Marco Bonini,  sono lenti, quasi rituali, eppure carichi di significato. Sul palco bianco, il suo corpo diventa un’ombra che si fonde con le immagini proiettate, un tramite tra il racconto e l’immaginazione. Non recita soltanto: vive ogni frammento di memoria, facendo da ponte tra la figura della madre narratrice e quella della bisnonna Vittoria. Le musiche di Jonis Bascir accompagnano lo spettatore come un soffio sottile, mai invadente, mai superfluo. Le note di un pianoforte si intrecciano a suoni ambientali, mentre pause cariche di silenzio amplificano il peso di ogni emozione. Il silenzio, d’altronde, è parte della musica: uno spazio che permette al pubblico di respirare, di assorbire, di riflettere. Lo spettacolo non è solo una rievocazione storica. È un atto d’amore verso la memoria, un tentativo di intrecciare il passato al presente. La storia di Vittoria non è solo sua, appartiene a chiunque abbia conosciuto il dolore e trovato, in quel dolore, un barlume di umanità. La bambina che ascolta non dimenticherà mai questa storia, proprio come non si dimenticano le fiabe che ci vengono raccontate con amore. Sotto le bombe di Firenze, Vittoria non è più una figura del passato: diventa un simbolo, una testimonianza di come la bellezza e la bontà possano sopravvivere anche nel caos più devastante.  E così, la memoria si trasforma in luce. Una luce che illumina il passato, ma che rischiara anche il presente, ricordandoci che, persino nei momenti più bui, c’è sempre spazio per un gesto d’amore, per una Vittoria che salva, per una storia che vale la pena di essere raccontata.