Roma, Teatro Sistina
WEST SIDE STORY
basato su un’idea di Jerome Robbins
Libretto di Arthur Laurents
Musica di Leonard Bernstein
Liriche di Stephen Sondheim
Tony LUCA GAUDIANO
Maria NATALIA SCARPOLINI
Anita ROSITA DENTI
Bernardo ANTONIO CATALANO
Riff ROBERTO TORRI
originariamente diretto e coreografato da Jerome Robbins
Coreografie Billy Mitchell
Direzione Musicale Emanuele Friello
Regia e adattamento italiano di Massimo Romeo Piparo
Roma, 07 dicembre 2024
West Side Story al Teatro Sistina, nella versione adattata da Massimo Romeo Piparo, si presenta come un tentativo ambizioso di riportare in scena uno dei musical più iconici della storia, adattandolo per il pubblico italiano. L’operazione, tuttavia, risulta disomogenea: mentre alcuni elementi si distinguono, altri rimangono poco sviluppati, compromettendo la coesione di uno spettacolo che, per intensità drammatica e ricchezza musicale, avrebbe potuto esprimere maggior potenziale. Luca Gaudiano, nel ruolo di Tony, rappresenta senza dubbio il punto di forza della produzione. Il giovane interprete sfoggia una solidità tecnica invidiabile e una versatilità vocale che gli consentono di affrontare la complessa partitura di Leonard Bernstein con naturalezza. La sua estensione vocale, sostenuta da un controllo del fiato impeccabile, gli permette di passare dai registri più lirici a quelli drammatici senza difficoltà. I suoi acuti, centrati e privi di tensioni, sono eseguiti con una padronanza che mette in evidenza la maturità della sua tecnica. Particolarmente incisivo il momento di “Maria”, dove Gaudiano riesce a restituire la bellezza e l’intensità del brano, arricchendolo di dinamiche emozionali e sensibilità interpretativa. Se da un lato la vocalità di Gaudiano spicca, dall’altro la sua interpretazione recitativa lascia intravedere qualche margine di crescita. Il suo Tony, per quanto emozionante, appare ancora un po’ acerbo, con una caratterizzazione che a volte risulta fanciullesca e non sempre pienamente tridimensionale. Tuttavia, queste lievi mancanze non tolgono nulla alla sua capacità di dominare la scena, rendendolo il protagonista indiscusso dello spettacolo. Natalia Scarpolini, nei panni di Maria, non riesce a eguagliare la presenza scenica e vocale del suo partner. La sua voce mostra una tecnica non sempre precisa e spesso risulta appesantita da vibrati sovraccarichi, che pur tecnicamente corretti, finiscono per deviare dall’intento espressivo del personaggio. Maria, un ruolo che richiede complessità interpretativa e una gamma timbrica ampia, appare qui priva della profondità necessaria per tradurre appieno il dramma e l’intensità del suo arco narrativo. Inoltre, nonostante l’uso dei microfoni, la proiezione vocale di Scarpolini risulta insufficiente, tanto che nei momenti corali e nei duetti la sua voce viene sovrastata dagli altri interpreti, penalizzando ulteriormente l’impatto del personaggio. Il resto del cast cerca di gestire al meglio la sfida, offrendo interpretazioni vocali e recitative di massima funzionali. Tra questi spiccano Antonio Catalano, che regala un Bernardo convincente e carismatico, e una spumeggiante Rosita Denti che brilla nel ruolo di Anita. La sua espressività vocale, insieme alla versatilità interpretativa, le permette di alternare con naturalezza momenti di leggerezza e intensità, rendendo il suo personaggio convincente e ben delineato. A lei il pubblico regala forse gli applausi più convinti. Roberto Torri, nel ruolo di Riff, si distingue per una solida interpretazione recitativa che valorizza il personaggio, risultando più a suo agio nella dimensione attoriale rispetto a quella vocale, meno incisiva ma comunque funzionale al ruolo. Uno degli aspetti più discussi è l’adattamento in italiano dei testi. Pur nato con l’intento di rendere l’opera più vicina al pubblico, il risultato non sempre convince. La musicalità intrinseca dei testi originali di Stephen Sondheim si perde in traduzioni che, spesso, appaiono forzate e prive della stessa forza emotiva. In un’epoca in cui il linguaggio è arricchito da contaminazioni culturali e linguistiche globali, lasciare i testi in inglese avrebbe probabilmente conferito maggiore autenticità e impatto alla messa in scena. La regia di Massimo Romeo Piparo si limita a un movimento funzionale delle scene, permettendo al pubblico di intuire le dinamiche narrative senza approfondirle. Non emerge una visione unitaria capace di valorizzare i temi universali di amore e conflitto che costituiscono il cuore pulsante di West Side Story. Ci si sarebbe aspettati una regia più incisiva, che non solo collegasse le diverse componenti dello spettacolo, ma le elevasse in un’interpretazione drammaturgica più coesa e significativa. Anche l’aspetto musicale lascia spazio a critiche. L’orchestra dal vivo, sotto la direzione del Maestro Emanuele Friello, ha mostrato limiti significativi nel rendere la complessità e la profondità richieste dalla partitura di Leonard Bernstein. L’esecuzione è apparsa priva della pienezza sonora necessaria per valorizzare i momenti di maggiore intensità musicale, con una tessitura che raramente è riuscita a trasmettere l’emozione e la drammaticità dell’opera. Il bilanciamento tra il suono orchestrale e le voci degli interpreti è risultato spesso sbilanciato, con un volume che ha finito per prevalere sui cantanti in scena. Questo squilibrio, accompagnato da un mancato allineamento ritmico, ha generato una sensazione di disconnessione tra l’accompagnamento musicale e l’azione drammatica. In alcune sezioni, l’orchestra sembrava non dialogare con il palco, seguendo tempi non pienamente coerenti con l’interpretazione vocale e scenica. Inoltre, in più di un’occasione, il suono ha assunto una qualità quasi bandistica, mancando di quel carattere raffinato e della profondità che sono essenziali per una partitura così sfaccettata. Le coreografie di Billy Mitchell cercano di portare energia e dinamismo alla produzione, ma non sempre riescono a raggiungere l’efficacia desiderata. I movimenti risultano in alcuni momenti approssimativi e privi della precisione necessaria per valorizzare appieno la tensione drammatica dell’opera. L’esecuzione da parte del cast, numeroso e certamente impegnato, manca talvolta di compattezza e coordinazione, generando un effetto visivo di affollamento che risulta privo di armonia. Applausi generosi hanno comunque scandito la serata, quasi a voler premiare l’impegno più che il risultato. Una dimostrazione, forse, che il teatro riesce ancora a far breccia nei cuori, anche quando si presenta con più ombre che luci. E, tutto sommato, fa piacere vedere che il pubblico abbia trovato qualcosa da applaudire: dopotutto, se l’arte performativa riesce a creare un legame, anche se un po’ traballante, si può dire che abbia fatto il suo dovere. Photocredit @Gianluca Sarago’