Roma, Teatro Vascello: “Il giardino dei ciliegi”

Roma, Teatro Vascello
IL GIARDINO DEI CILIEGI
di Anton Čechov

traduzione Fausto Malcovati
regia Leonardo Lidi
con (in o.a.): Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Alfonso De Vreese, Ilaria Falini, Sara Gedeone, Christian La Rosa, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Orietta Notari, Mario Pirrello, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Aurora Damanti
suono Franco Visioli
assistente alla regia Alba Porto
produzione Teatro Stabile dell’Umbria
in coproduzione con Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Spoleto Festival dei Due Mondi
Roma, 03 dicembre 2024
Ultima opera di Anton Čechov, Il Giardino dei Ciliegi, definita dall’autore una commedia, nonostante affronti temi drammatici. La vicenda ruota attorno alla famiglia Ranevskij, costretta a vendere la storica proprietà di famiglia, inclusi i celebri ciliegi, per evitare la rovina economica. Simbolo di un mondo in declino, il giardino rappresenta l’incapacità di adattarsi ai cambiamenti e il conflitto tra tradizione e modernità, in una Russia alle soglie di grandi trasformazioni sociali. I personaggi, sospesi tra nostalgia e speranze, incarnano il dramma di chi vive una svolta storica ed esistenziale. Leonardo Lidi firma una regia che, pur rispettando la struttura drammaturgica e il tono farsesco indicato da Čechov, propone una lettura moderna e audace. Il giardino diventa una metafora del teatro stesso: uno spazio fragile, magico e incerto, che invita a riflettere sulle tensioni tra presente e futuro. Gli attori, in particolare, rivolgono spesso lo sguardo verso il pubblico quando si parla del giardino, come a includerlo nell’essenza stessa della scena. Lidi sposta l’attenzione dalla nostalgia per la perdita alla tensione verso un futuro sconosciuto, ponendo lo spettatore davanti a più domande che risposte. La scelta di accelerare i ritmi e accentuare i tratti caricaturali sottolinea l’assurdità dei personaggi, ma rischia talvolta di sacrificare la delicatezza poetica dell’opera originale. La regia accentua l’umorismo intrinseco del testo, richiamando l’ironia pirandelliana, dove il comico non è mai fine a sé stesso ma svela il paradosso della condizione umana, strappando un sorriso che si accompagna a una riflessione malinconica. L’adattamento introduce modifiche significative, come la trasformazione del personaggio di Gaiev, fratello di Ljuba, in una sorella, e l’interpretazione della governante Charlotta affidata a un attore in abiti femminili. Quest’ultimo, grazie a un uso sapiente dell’espressività facciale, dona leggerezza e comicità, pur rimanendo coerente con l’atmosfera malinconica dell’opera. La scenografia di Nicolas Bovey trasforma il palcoscenico in uno spazio simbolico. Un soffitto mobile domina la scena, mutandone costantemente il significato: inclinato, evoca un cielo opprimente; sollevato, diventa una riva scoscesa; abbassato, invita alla riflessione o all’abbandono. Al di sotto, sedie in plastica bianca rovesciate e teli trasparenti creano un ambiente sospeso tra realtà e incubo, dove il giardino non è mai rappresentato direttamente, diventa un luogo della memoria. Questa matericità amplifica il senso di declino e disorientamento, talvolta orienta la percezione dello spettatore, lasciando meno spazio alla suggestione. I costumi, di Aurora Damanti, oscillano tra grottesco, contemporaneo, vintage. La nuova borghesia veste “vintage”. Alcuni abiti volutamente esagerati enfatizzano la decadenza della famiglia Ranevskij, mentre altri, con richiami a epoche più recenti, creano un cortocircuito temporale che sottolinea l’attualità delle tematiche cechoviane. La fusione con elementi della pop culture contribuisce a un’atmosfera di spaesamento, in perfetta sintonia con l’incertezza che permea lo spettacolo. Le musiche di Franco Visioli, efficaci nel creare un’atmosfera contemporanea, anche se non sempre ho percepito una integrazione con la narrazione. Particolarmente suggestiva l’apertura, con Ritornerai di Bruno Lauzi, un brano che introduce un senso di nostalgia e malinconia, legando passato e presente in modo sottile, che lega pubblico e scena in modo incisivo. Il cast offre interpretazioni solide. Francesca Mazza e Orietta Notari si distinguono per la capacità di alternare leggerezza e profondità, mentre Mario Pirrello, nel ruolo di Lopachin, restituisce con intensità il conflitto di un uomo che cerca di emanciparsi dal proprio passato senza mai liberarsene del tutto. Christian La Rosa porta freschezza e ironia al personaggio di Trofimov, senza sminuirne la portata filosofica. Molti sono i cambi di tono degli attori, rapidi; anche questo spesso fa sì che repentinamente si cambia registro emozionale, immersi in un continuo gioco tra il riso e la riflessione. Il Giardino dei Ciliegi, diretto da Leonardo Lidi, si distingue per una lettura audace e ricca di spunti, capace di mescolare ironia e malinconia in un equilibrio che talvolta sfiora l’eccesso. L’opera invita a riflettere sul presente, filtrato attraverso la lente della classicità, esplorando con coraggio l’umorismo e l’assurdità della condizione umana. Uno spettacolo ambizioso e denso, che pone la stessa domanda che risuona in scena: Ieri a teatro ho riso tanto. Hai riso o forse dovevi riflettere? Photocredit @Gianluca Pantaleo