Torino, Tempio Valdese: “Gioseffo che interpreta i sogni” di Antonio Caldara

Torino, Tempio Valdese
“GIOSEFFO CHE INTERPRETA I SOGNI”
Oratorio in due parti su libretto di Giovan Battista Neri. Prima esecuzione moderna con trascrizione dal manoscritto di Elena Camoletto.
Musica Antonio Caldara
Gioseffo  MARIA MARGHERITA SALA
Faraone LUIGI DE DONATO
Sedecía  ARIANNA VENDITTELLI
Coppiere  ELEONORA BELLOCCI
Panatiere LORRIE GARCIA
Testo (baritono) MAURO BORGIONI
Ensemble vocale e strumentale Consort Maghini
Direttore  Alessandro de Marchi
Maestro del coro Claudio Chiavazza
Torino, 29 novembre 2024
A Torino si festeggiano i 200 anni del prestigioso Museo Egizio, vanto e lustro della città. In questo ambito, l’Associazione Sistema Musica, promossa, tra gli altri, dall’Assessorato alla Cultura cittadino, ha organizzato Incanto Egizio, una serie di 13 appuntamenti musicali molto vagamente riferibili all’antico Egitto. Le sedi dei concerti sono sparse per la città e gli esecutori fanno parte, pure loro, del mondo musicale e artistico cittadino. Per il sesto appuntamento, la metà del percorso, ci si ritrova con Antonio Caldara al Tempio Valdese, luogo d’elezione, in città, per le esecuzioni di Musica Barocca a cui auditori e teatri si ostinano a tener porte ben serrate. Eppur gli spazi del tempio sono limitati, i banchi duri e scomodi, il riscaldamento centellinato, forse si ritiene ancora che il Barocco debba essere prevalentemente sacro e penitenziale. È promotrice e protagonista dell’evento l’Accademia Maghini che tanta parte ha nelle iniziative e nei programmi di due festival cittadini: Turin Baroque Music festival e Back to Bach. Alla ricerca di un’opera che soddisfacesse l’occasione, Elena Camoletto, compositrice e membro chiave nelle attività del coro Maghini, si imbatte nel manoscritto dell’oratorio di Caldara Gioseffo che interpreta i sogni, giacente presso la Biblioteca Nazione di Vienna. Antonio Caldara, come Vivaldi, trascorse a Vienna gli ultimi 25 anni di vita, stimato vicemaestro di cappella alla corte imperiale. L’oratorio vi fu composto ed eseguito nel 1726, per giacere poi come manoscritto, non mai stampato, negli scaffali della biblioteca e mai più presentato in esecuzioni pubbliche. L’Accademia Maghini decide quindi di fare dell’opera il centro di un progetto che prevede: trascrizione, pubblicazione, esecuzione e registrazione per la diffusione discografica. La serata del 29 novembre è quindi sia prima esecuzione pubblica dal 1726 e, con microfoni diffusi in ogni dove, seduta d’incisione. L’oratorio ha due parti frazionate in una quarantina di numeri musicali e narra la vicenda di Gioseffo che, imprigionato nelle carceri egizie, disvela ai suoi due compagni di cella, il Coppiere e il Panatiere, il significato dei loro sogni; il Coppiere, a sua volta, lo promuove presso il Faraone, anch’egli angosciato dall’incubo delle sette vacche magre che annientano le sette grasse. Si inizia con una tipica Sinfonia tripartita all’italiana che, oltre agli archi, conta sull’intervento di fiati e ottoni. Seguono una quarantina di numeri: recitativi secchi ed arie con basso continuo e con strumento obbligato, tre duetti e due cori a quattro voci a chiudere ciascuna delle due sezioni. Se i recitativi sono secchissimi, col solo basso continuo di sfondo, le arie, alcune delle quali con fantastici accompagnamenti obbligati, costituiscono il preziosissimo tesoro di un’opera coeva a quelle di Vivaldi, di Scarlatti e assimilabile, con qualche azzardo, agli stupefacenti cieli di Gianbattista Tiepolo, anch’egli contemporaneo cittadino veneziano. L’opera è forse carente della continuità drammatica che altri, Bach ed Handel, hanno saputo dare con interventi decisivi di un narratore; qui il Testo, pur con magnifico lirismo, dà un flebile contributo alla teatralità della narrazione. Le stesse magnifiche arie riescono a stento a descrivere e a rendere univoci i personaggi: sono comunque di splendida fattura e di isolata affettuosità. Si fanno citare per l’eccezionalità dell’intervento dell’obbligato: l’aria di pianto di Gioseffo “E quando mai potrò cessar di piangere?” che una fantastica Maria Margherita Sala, esegue, con spericolate variazioni del “da capo” col chalumeau, sorta di clarinetto ante-litteram, di Luca Lucchetta; ancora di Gioseffo “Libertà cara e gradita” che l’ultraterreno suono del salterio di Margit Űbellacker colloca immediatamente tra le soffici nubi e gli svolazzanti angioletti del Tiepolo. Festanti trombe naturali esaltano il duetto del Coppiere Eleonora Bellocci e del Faraone Luigi De Donato. Il tonitruante ed imperioso Mauro Borgioni, il Testo, esibisce la sua grande esperienza barocca, con una manciata di recitativi e soprattutto con due arie, portali d’avvio delle due parti dell’opera. Ciascuna delle due sezioni conta un personaggio che vi si esaurisce, nella prima lo sventurato Panatiere dalla sorte avversa, nella seconda Sedacía l’indovino che nulla disvela. Panatiere è la brillante Lorrie Garcia, contralto di splendida voce e di tecnica formidabile; Sedacía, Arianna Vendittelli, che in una ripresa del da capo variata al fulmicotone ti “inchioda” alla … panca. Il Coro del Maghini, che Claudio Chiavazza validissimamente regge ed istruisce, come gli è consueto, se la cava ottimamente nei due non stratosferici interventi di chiusura. La ventina di strumentisti dell’Orchestra del Consort Maghini meritano tutti gli applausi che il non strabocchevole pubblico gli ha ampiamente tributato. Gli archi hanno corde di budello, gli strumentini sono di legno e gli ottoni sono naturali senza tasti e coulisse, il continuo consta di organo e clavicembalo il diapason a cui sono tutti accordati è filologicamente fissato a 415Hrz. Alessandro De Marchi, su un altro clavicembalo, associa ad un’entusiasmante e puntuale direzione, fantasiosi ed efficaci accompagnamenti del canto. Grande serata e grande successo artistico. Un rammarico per la scarsità di pubblico, per il gran lavoro che viene esaurito in un’unica occasione e per la trascuratezza che le “grandi” istituzioni musicali hanno verso questo repertorio tipicamente italiano che ha, per almeno due secoli, determinato e fecondato tutte le correnti della musica europea.