Venezia, Teatro La Fenice: Charles Dutoit in concerto

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2024-2025
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Charles Dutoit
Claude Debussy. “Petite suite” (orchestrazione di Henri Büsser); Franz Joseph Haydn: Sinfonia n.104 in re maggiore Hob.I:104 “London”; Antonín Dvořák: Sinfonia n.104 in re maggiore
Venezia, 13 dicembre 2024
Ha qualcosa di prodigioso il rapporto che si instaura tra direttore ed orchestra, quando l’esecuzione assurge alla dignità della poesia e alla completa sublimazione della tecnica: certo, la gestualità delle braccia, delle mani del maestro, l’espressività del suo volto, la sua capacità di lettura della partitura hanno la loro importanza, così come, ovviamente, la sensibilità e la preparazione degli strumentisti. Nondimeno tutto questo non basta a determinare un’intesa profonda, una proficua comunanza di intenti come raramente si può cogliere nel corso di un’esecuzione: deve esistere anche un “quid” imponderabile, ineffabile, che renda possibile questa condizione privilegiata. Generoso quanto essenziale era il gesto direttoriale di Charles Dutoit, attento innanzi tutto a sottolineare le nervature portanti di ogni brano: un gesto chiaro e al tempo stesso essenziale, pregnante eppure mai plateale, capace di delineare grandi campate come di sottolineare la più delicata sfumatura. Il tutto con naturalezza e passione, leggerezza di tocco e intensità espressiva. Il maestro elvetico si è, dunque, confermato un interprete, la cui finezza interpretativa si coniuga con la capacità di coinvolgere profondamente l’orchestra e di parlare direttamente al cuore di ogni spettatore, grazie anche a quel misterioso “quid”, cui si è sopra accennato, che è privilegio dei più grandi interpreti.
Un puro godimento si è rivelata l’esecuzione della Petite suite di Debussy nella trascrizione per orchestra, realizzata da Henri Büsser nel 1907. Se è noto che, riferendosi alla versione originale per pianoforte a quattro mani (1889), lo stesso Debussy ebbe ad affermare che essa “cerca umilmente solo di piacere” – l’affascinante interpretazione di Dutoit avrebbe verosimilmente soddisfatto l’insigne protagonista dell’impressionismo musicale francese. Il direttore, infatti, ha saputo immergerci nella magia di questa fortunata composizione, che si caratterizza per la raffinatezza armonica e timbrica, l’alternanza maggiore-minore, il sapore modale di certi passaggi. Lo si è apprezzato nei primi due brani, ispirati a poesie di Paul Verlaine, il poeta prediletto da Debussy, tratte dalla raccolta “Fêtes galantes”, rievocazione, non senza ironia, dell’attardato mondo dei nobili nel Secolo dei Lumi: nell’ondeggiante En bateau, che richiama con la sua leggiadra melodia in 6/8, cantata dal flauto che galleggia su “liquidi” arpeggi, una gita in barca sotto la luna; nel beffardo Cortège, rappresentazione di un singolare corteo, formato – nella lirica di Verlaine – da una nobile dama, preceduta da una scimmia e seguita da un giovane paggio. Analogamente affascinanti gli ultimi due pezzi: Menuet, che impiega qualche battuta per rivelare il suo ritmo e immergersi in una dolce malinconia, e il gioioso Ballet, una specie di bourée inframezzata da un valzer venato di lirismo. Ma Dutoit non è solo interprete di riferimento per il repertorio francese, come hanno dimostrato le splendide esecuzioni degli altri due titoli in programma, a partire dalla Sinfonia n. 104 in re maggiore (1795), ultima delle dodici Sinfonie “Londinesi”. Teso e inquietante, ma anche marziale – nelle prime battute dal ritmo puntato – l’Adagio introduttivo nella tonalità di re minore, seguito dal carattere sereno dell’Allegro, in forma sonata e monotematico, in quanto il secondo tema non è nient’altro che la ripresa del primo trasposto in la maggiore. Vario e sorprendente con i suoi colpi di scena, nel più tipico stile haydniano, il secondo movimento, Andante – una contaminazione tra rondò e tecnica della variazione –, dove al bel tema, esposto dagli archi e ripreso dagli strumentini è seguita un’esplosione dell’orchestra, prima di una sorprendente pausa generale. Il terzo movimento, Menuetto, aveva l’andamento veloce di uno Scherzo, mentre il Trio si è segnalato per il sottile gioco di richiami tra gli strumentini e gli archi. Brillante il Finale – strutturato come l’Allegro iniziale in forma sonata monotematica e basato su un tema popolare, tratto da una ballata croata –, segnalatosi per l’effetto di zampogna, dovuto ai pedali tenuti da archi e corni.
Di grande impatto emotivo è risultata l’esecuzione della Sinfonia dal Nuovo mondo quinta tra quelle pubblicate, ma nona ed ultima in ordine di composizione – scritta tra il 1892 e il 1893 a New York, dove all’epoca Dvořák ricopriva l’incarico di direttore del National Conservatory of Music. La musica tradizionale dei nativi e degli afro-americani, costituisce la base di questa composizione, dove l’autore, nel contesto di temi originali da lui stesso ideati, inserisce i caratteri propri di alcune melodie native americane, in una perfetta sintesi tra le componenti boeme, mitteleuropee e americane del proprio linguaggio sinfonico. Introdotto da un Adagio, il primo movimento, Allegro molto, in forma sonata, si è solennemente aperto con l’esposizione – eseguita mirabilmente dal corno – del primo tema che, ispirato allo “spiritual” Swing Low, swett Chariot, si sarebbe ripresentato anche nel corso della sinfonia fungendo da Leitmotiv e conferendo alla sinfonia stessa un’impostazione ciclica. Successivamente oboi e flauti hanno presentato con grazia il secondo tema, più sereno, anch’esso connotato in senso etnico. Un corale degli ottoni ha aperto sommessamente, con grande suggestione, il Largo – ispirato come il movimento successivo Scherzo, dal poema epico indiano Hiawatha del poeta americano Henry Wadsworth Longfellow –, prima che il corno inglese creasse un’atmosfera incantata intonando con trasporto una nostalgica melodia – divenuta assai popolare negli Stati Uniti –, ripresa alla fine del movimento dopo un episodio dal carattere pastorale, introdotto dall’oboe. Pieno di vitalità lo Scherzo, che richiama una danza di pellirosse nella foresta, con la parte principale divisa in due episodi distinti, un doppio Trio, e una coda. Trascinante il movimento finale, Allegro con fuoco, che ricapitola i temi della Sinfonia, aprendosi con la perentoria affermazione del tema, che ha assicurato alla Sinfonia la sua celebrità, poi ribadito al termine, in una estrema perorazione. Successo estremamente caloroso per il direttore e l’orchestra.