Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2024-2025
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Hervé Niquet
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Soprano Sarah Charles*
Mezzosoprano Flore Royer*
Tenori Léo Guillou Keredan, Attila Varga-Tóth*
Baritono Halidou Nombre*
Solisti dell’Opéra Royal de Versailles*
Antoine Dauvergne:“Persée”: ouverture e danze; Étienne Nicolas Méhul Sinfonia n.1 in sol minore; Marc-Antoine Charpentier:Te Deum in re maggiore h.146
Venezia, 6 dicembre 2024
Una soirée interamente francese ha inaugurato la nuova stagione sinfonica della Fondazione Teatro La Fenice: una stagione che si annuncia particolarmente doviziosa, all’insegna della grande musica. Il programma del concerto intendeva indagare un periodo della storia musicale di Francia estremamente interessante e – crediamo – non molto frequentato: una fase di passaggio alquanto tormentata, in cui i fasti del passato cedono gradatamente ai sempre più dilaganti fremiti rivoluzionari. Sul podio Hervé Niquet, direttore tra i più esperti nel repertorio francese tra Seicento e Settecento, oltre che clavicembalista e fondatore, nel 1987, del Concert spirituel, un ensemble di riferimento nell’interpretazione del repertorio barocco, di cui esegue opere sconosciute o poco conosciute di autori francesi, inglesi e italiani di quell’epoca. Tre i brani prescelti per la serata di cui ci occupiamo: Persée: ouverture e danze di Antoine Dauvergne, Sinfonia n.1 in sol minore di Étienne Nicolas Méhul, Te Deum in re maggiore h.146 di Marc-Antoine Charpentier. Autore di numerose tragédies lyriques, sul modello di Jean-Baptiste Lully, Antoine Dauvergne viene incaricato di revisionare, insieme ad altri compositori, il Persée dello stesso Lully, in vista della sua rappresentazione, presso la reggia di Versailles, per celebrare le nozze del Delfino, il futuro Luigi XVI, con Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena: Dauvergne riscrisse l’Ouverture, ritoccò l’atto primo, il quarto e le danze. Ma rapidamente questo rifacimento – dopo due sole rappresentazioni nel maggio del 1770: il 17, giorno delle nozze, e il 26 – cadde nell’oblio. A Hervé Niquet va il merito della riscoperta di questi brani rimaneggiati da Dauvergne, già incisi in un disco e proposti a inizio di serata. La cifra distintiva dell’interpretazione offerta da Hervé Niquet può essere l’esuberante dinamismo, la concitata tensione con cui ha guidato, con mano sicura ed enfatica gestualità, l’orchestra, sempre partecipe e scattante: assolutamente coinvolgente l’Ouverture (Fièrement, sans lenteur, puis Allegro) nella tonalità luminosa di do maggiore, al pari delle pompose danze che chiudono il quarto atto: la Chaconne in mi minore e la successiva Chaconne a 2 tems nel relativo maggiore. Anche Étienne Nicolas Méhul – considerato il padre francese della Sinfonia – è un autore pressoché dimenticato, per quanto abbia composto un gran numero di opere, balletti, pagine vocali – spesso dal forte carattere rivoluzionario, ispirate da Napoleone – e quattro sinfonie più una quinta incompiuta. Tali partiture, che guardano alla formidabile triade Haydn-Mozart-Beethoven, rappresentarono un modello per i compositori romantici francesi. Composta tra il 1808 e il 1809, la Sinfonia n.1 in sol minore – la stessa tonalità della Sinfonia KV 550 di Mozart – rivela altri insigni apparentamenti. Al dinamismo e all’estroversione, già notati nell’esecuzione del primo brano, si è unita in quella del secondo un tocco leggero e talora garbatamente ironico: nel primo movimento, Allegro, che con la sua forma-sonata elegante e rigorosa guarda ad Haydn; nel secondo, Andante, dove l’influenza haydniana assume un sapore parigino, come testimonia il disegno di brevi figurazioni dal tono galante, che dà origine ad eleganti variazioni affidate ora ai fiati e ora agli archi, con un progressivo crescendo di virtuosité; nel terzo, Allegro moderato, uno Scherzo caratterizzato dall’uso originale dei pizzicati, che si richiama a Beethoven; nell’Allegro agitato conclusivo in cui, come a suo tempo notò Schumann, è evidente la somiglianza tra la cellula che lo attraversa e il famoso motto del destino che bussa alla porta, nella beethoveniana Quinta sinfonia, pressoché contemporanea alla Prima di Méhul, avendo debuttato a Vienna nel dicembre 1808. Alla scuola di Giacomo Carissimi, il maestro della controriforma, si formò Marc-Antoine Charpentier. ‘Musicien italianisant’ lo definivano con sufficienza i colleghi, che mai avrebbero immaginato la straordinaria fortuna del suo Te Deum h. 146 – tra l’altro, noto a molti in quanto il refrain del Rondeau iniziale fu assunto come sigla dell’Eurovisione – nel quale a brani sontuosi, eseguiti dal coro e dall’orchestra, si alternano episodi più raccolti, in cui intervengono i solisti e pochi altri strumenti. Qui si sono segnalati, in generale, positivamente il Coro, istruito dal maestro Caiani, e i solisti dell’Opéra Royal de Versailles: il soprano Sarah Charles, il mezzosoprano Flore Royer, i tenori Léo Guillou Keredent e Attila Varga-Tóth, il baritono Halidou Nombre. Dopo il trionfale preludio, dove si è apprezzato il suono lussureggiante dell’orchestra e delle trombe barocche, è intervenuto – forse con qualche sfocatura nell’intonazione, poi superata – il baritono (“Te Deum laudamus”) in uno stile prevalentemente declamatorio. Gli ha risposto il coro, solenne nel “Te aeternum Patrem omnis terra veneratur”, marziale in “Pleni sunt coeli”. Poi tenore, contralto e baritono (“Te per orbem terrarum sancta confitetur Ecclesia”) hanno introdotto un tono più raccolto, prima che il coro innalzasse la sua struggente invocazione per la salvezza dei credenti (“Tu devicto mortis aculeo”) seguita dall’inno “Tu ad dexteram Dei”, che è sfociato nello “Judex crederis” con l’intervento ancora declamatorio del baritono. Un’atmosfera di intensa tenerezza e di supplica ha evocato, con “Te ergo quaesumus”, il soprano accompagnato da due flauti, cui ha risposto il coro con una solenne invocazione (“Aeterna fac”). Un tono supplichevole ha caratterizzato anche il successivo “Dignare Domine”, dove i solisti hanno implorato la pietà e la grazia di Dio. Nella conclusione, affidata alla magniloquenza di “In Te, Domine, speravi”, coro e solisti si sono validamente alternati in una pagina, anche contrappuntistica, dal tono maestoso, affermazione conclusiva della grandezza e potenza di Dio, costruendo insieme all’orchestra una fastosa conclusione. Successo pieno e caloroso.
Venezia, Teatro La Fenice: Hervé Niquet e i solisti dell’Opéra Royal de Versailles
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