“Armonia”: James Conlon dirige l’Orchestra e il Coro del Teatro Regio di Torino

Torino, I Concerti del Teatro Regio 2024-2025.
“ARMONIA”
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Direttore James Conlon
Soprano Masabane Cecilia Rangwanasha
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Francis Poulenc: “Stabat Mater” per soprano, coro e orchestra; César Franck: Sinfonia in re minore.
Torino, 14 gennaio 2025.
Dopo l’inaugurazione a novembre, Pinchas Steinberg sul podio, la stagione dei Concerti del Teatro Regio, alla seconda tappa, offre, con la denominazione di “Armonia”, un programma tutto francese sotto l’espertissima bacchetta di James Conlon che fronteggia il Coro e l’Orchestra del Teatro Regio. Francis Poulenc “metà monaco e metà mascalzone” come viene scritto sulle note di presentazione del concerto, e César Franck che nella sua opera presenta “fragilità e dolore, preghiera e serenità”. Forse alla composizione di queste antinomie si riferisce “ARMONIE” il titolo, altrimenti inspiegabile, della serata. Conlon, che fu dal 2016, per tre anni, Direttore Principale della cittadina Orchestra Nazionale RAI, ci è ben noto per il grande eclettismo, la maestria tecnica con cui conduce le orchestre e per la estesa conoscenza di un vastissimo repertorio. Con gli autori russi e slavi, i francesi ed evidentemente con gli anglo-americani s’è, da sempre, mostrato in grande sintonia. Le sue interpretazioni delle opere di Britten sono poi di riferimento. Lo Stabat Mater, composto da Poulenc tra il 1950 e il 51, dopo un grave lutto e conseguente crisi religiosa, ha i caratteri di essenzialità, concretezza e sobrietà caratteristici dei lavori dei membri del Gruppo dei 6, a cui lo si accomuna. La partitura prevede un’orchestra lussureggiante e un coro di 5 voci, essendo state, diversamente dal consueto, sdoppiate le inferiori in baritoni e bassi. Nonostante le dimensioni e i timbri disponibili, l’orchestra sempre leggera, quasi senza forti sul rigo, non prende mai la scena. Si rende comunque artefice di un accompagnamento affascinante e discreto con la miscela dei timbri e con la campitura delle atmosfere. Il coro si muove tra pannelli omoritmici a cinque voci ed inserti “a cappella” a tre voci. Il testo è perfettamente intelleggibile, la polifonia, con la contemporanea sovrapposizione sfasata di voci e testo, è ridotta al minimo. Parrebbe essere tornati ad una stretta e severa prassi post-tridentina. La correlazione contenutistica tra testo ed espressività musicale non è assolutamente immediata, pare convivano senza un apparente legame significante. In tre brevi episodi irrompe un’illuminazione fulminante, la voce dallo splendido timbro, del soprano sudafricano Masabane Cecilia Rangwanasha. Linee melodiche discendenti dai limiti del rigo che paiono significare la pietosa immagine di una deposizione. Masabane Cecilia la si vorrebbe ascoltare in altre occasioni e con impegni che le lasciassero più opportunità di dispiegare i suoi meravigliosi mezzi. Grazie alle masse del teatro torinese e a Conlon, l’esecuzione, nel suo insieme, ha una forza interna ragguardevole e decisamente apprezzabile. Il pezzo in complesso induce più al ripiegamento su sé stessi e alla meditazione che non alla promozione dell’applauso sfogato. Il pubblico ha numeri contenuti e le approvazioni e i battimani, pur se moderati, hanno opportunamente premiato il soprano solista, Conlon e le masse del Teatro Torinese.
Seconda pagina della serata: La sinfonia in re minore di César Franck. Fine anni ’80 dell’800, turgore tardoromantico e wagnerismo sono gli spettri musicali che s’aggirano per l’Europa. Orchestra imponente schierata a promuovere strutture formali pericolanti. Temi, dalla difficile collocazione e giustificazione, che errabondi cercano di farsi identificare o come “temi conduttore” o come ritornelli di pseudo-rondò. Le sequenze melodiche sono brevi, orecchiabili e mostrano una certa piacevolezza, ma rischiano di sfiancare con la loro eccessiva ripetitività. Stanno inoltre in un contesto massiccio e sovrabbondante, se non di peso orchestrale, di durata. Si inizia con due pagine dalle tinte scure, quasi minacciose e forse tragiche. Si percorrono poi spirali tortuose che ad ogni svolta creano coincidenze già ascoltate. La paletta timbrica è ravvivata dagli interventi degli strumentini e, nella seconda parte, ha dei momenti memorabili del corno inglese sia come solista che in dialogo col primo corno. Lo stile del grande organista, quale Franck è sempre stato, lo si coglie nel porre la massa fonica orchestrale in un raffronto costante tra melodia/recitativo e un tutti che riporta immediatamente ai finali da organo pieno del grand’organo. Franck 1822-1890, Bruckner 1824-1896, le date, il wagnerismo sotteso e il possente strumento come riferimento, potrebbero suggerire un accostamento tra i due compositori, che nella realtà si verifica solo con un’assoluta superficialità. Pur se i mezzi utilizzati sono simili, non altrettanto la temperie culturale del fine secolo in Europa per cui è arduo accordare l’irrazionale idealismo dell’austriaco con il realismo fantasioso del belga. Conlon, da americano sempre pragmatico, sceglie la strada intermedia della resa tecnica inappuntabile, senza esagerazioni e forzature. Si indirizza alla ricerca costante e allo sviluppo di trame logiche e non passionali. Un’esecuzione tecnicamente ineccepibile. L’Orchestra del Teatro Regio di Torino, sotto la sua guida, dà prova di essere non solo adeguata al repertorio sinfonico, ma di vincere la sfida sia con la compattezza dell’insieme che con il valore dei singoli. Anche la sinfonia di Franck non fa parte delle hit dei programmi e di conseguenza gli applausi hanno più il sapore della stima che dell’entusiasmo.