Bologna, Teatro Comunale Nouveau: “La fanciulla del West”

Bologna, Teatro Comunale Nouveau, Stagione Opera 2025
LA FANCIULLA DEL WEST
Opera in tre atti su libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini dal dramma The Girl of the Golden West di David Belasco
Musica di Giacomo Puccini

Minnie CARMEN GIANNATTASIO
Dick Johnson ANGELO VILLARI
Jack Rance CLAUDIO SGURA
Nick PAOLO ANTOGNETTI
Ashby NICOLÒ DONINI
Sonora FRANCESCO SALVADORI
Trin CRISTIANO OLIVIERI
Sid DARIO GIORGELÈ
Bello PAOLO INGRASCIOTTA
Harry ORLANDO POLIDORO
Joe CRISTOBAL CAMPOS MARIN
Happy PAOLO MARIA ORECCHIA
Larkens YURI GUERRA
Billy Jackrabbit ZHIBIN ZHANG

Wowkle ELEONORA FILIPPONI
Jake Wallace FRANCESCO LEONE
José Castro KWANGISK PARK
Un postiglione ENRICO PICCINNI LEOPARDI
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Regia Paul 28, 29 e 30 gennaio
Scene e Costumi Gary McCann
Luci Daniele Naldi
Nuova Produzione del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, 24 gennaio 2025
Eccola, la più americana delle opere mitteleuropee: La fanciulla dei West. Che sono almeno tre: c’è quello polveroso e arroventato della Polka; poi quello delle cime innevate su cui si accucuzzola la capannuccia di Minnie; infine quello della foresta di sequoie, trasfigurata dallalba della redenzione. Il patetismo non ha freni: fra il cane che non li ravviserà, la nonna che se ne è andata, il piedino della mamma vicino a quello del babbo, (Ah! S’amavan tanto!”), fino al Se studiavo di più…”, ed è solo il primo atto. Non mancano rime esilaranti: il tale mai visto sembra di San Francisco, il nascondiglio è a poco più d’un miglio, e via così. La capannuccia del secondo atto è stipata della proverbiale attrezzeria del puccinismo: tendine, lettino, tavolino, poltroncina, scalette, scarpette, biscottini e Arbasino saprebbe continuare. Eppure, eppure, lorchestra di Puccini sfavilla con le sue tinte sgargianti, sature, sagaci. Il materiale melodico riemerge in improvvisi e laceranti squarci dal ribollire della partitura, e leffetto vuol assecondato: come fa, benissimo, Riccardo Frizza che, alloccorrenza, dilata leggermente i tempi per godere dellespansione lirica. Opera mitteleuropea di orizzonti, sì, ma di italianissimo compositore: questa sensibilità nellesecuzione, oggi ormai rara, i complessi felsinei la custodiscono. La scrittura vocale è al limite del sadismo, soprattutto per la povera fanciulla, con quelle improvvise fiammate acute che si devono alzare da un registro centrale volitivo e maschio ma fascinoso e seducente. Carmen Giannattasio si difende molto bene, tramutando le fiammate in lampi e sfoggiando una timbratissima risonanza di petto. Questi personaggi pucciniani soffrono sempre di sbalzi dumore, che per i cantanti sono sbalzi di tessitura, colori ed accenti: anche il bandito di Angelo Villari ne è soggetto. La vita ancor bella gli appar, ma non proprio bellissima; poi, nel monologo del secondatto, si lascia andare al trasporto drammatico e convince; linno del terzo (“Ch’ella mi creda” non è altro) vorrebbe un tempo sconsideratamente largo, che dia alla scena unaurata solennità capace di bonificarne il patetismo. Ultimamente, nellemissione di Claudio Sgura pare abbia fatto capolino una sorta di oscillazione, che però l’artista maschera abilmente aiutato dalla scrittura del ruolo, ma anche dallespressione di cui è capace, nonché dal timbro piuttosto pastoso e morbido che conserva. Intorno al triangolo, una costellazione di ruoli di fianco: fra tutti spicca Paolo Antognetti per infallibile precisione, squillo e volume, nei panni del fedele Nick. Sonoro il Sonora di Francesco Salvadori (questa era scontata, ma irresistibile), più dellAshby minacciosamente nerovestito di Nicolò Donini. Omogeneo e di buon livello in generale il gruppo dei ragazzi, e ottimo, come al solito, il coro del Comunale, diretto da Gea Garatti Ansini, compatto e vivace. Dopo quella bella Ariadne (2022) popolata di una organizzatissima “ammuina” scenica, le aspettative per la regia di Paul Curran erano piuttosto alte. La gestione delle masse, o meglio dei gruppi, ha un che di brillantemente improvvisato: e, ancorché brillantemente, resta improvvisato. Wallace (il bravo Francesco Leone) entra nella Polka da quella che si supporrebbe essere la porta che dà sulla sala da ballo, mentre la proprietaria Minnie entra in scena dalla porta sul fondo che sembra dare sullesterno, e il coro deve affrettarsi a farle largo, o non la si noterebbe nemmeno: potrebbero sembrare sciocchezze, ma in unopera così meticolosamente congegnata le sciocchezze sono tutto. La scena di Gary McCann punta su uninsolita astrazione grafica: lo stile dello scenografo scozzese è notoriamente tuttaltro che asciutto, e lo si vede bene negli splendidi figurini dei costumi pubblicati sul programma di sala. Lo spazio del Nouveau sarà ingrato, ma di spettacoli belli, e davvero belli, ne abbiamo visti. Ma, forse, per molti basteranno le assi di legno in luogo delle navicelle spaziali a garantire rispettata la tradizione, qualunque cosa voglia dire. Il pubblico di questa Prima delle Prime, allegramente abbigliato (mica come quei noiosi della Scala, tutti in nero), ha mal sopportato il lungo primo atto con tutto quel color locale; si è scaldato con il serrato piglio drammatico del secondo e ha salutato con favore tutti i protagonisti alla fine del terzo. Quand’è che fanno la Bohème? Repliche 28, 29 e 30 gennaio. Foto Andrea Ranzi