Genova, Teatro Carlo Felice, Stagione 2024-2025
“LA TRAVIATA”
Melodramma in tre atti; libretto di Francesco Maria Piave da “La dame aux camélias” di Alexandre Dumas figlio.
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry ELENA SCHIRRU
Alfredo Germont KLODJAN KAÇANI
Giorgio Germont LEON KIM
Flora Bervoix CARLOTTA VICHI
Annina CHIARA POLESE
Gastone ROBERTO COVATTA
Il barone Douphol CLAUDIO OTTINO
Il dottor Grenvil FRANCESCO MILANESE
Il Marchese d’Obigny ANDREA PORTA
Giuseppe GIULIANO PETOUCHOFF
Domestico di Flora LORIS PURPURA
Un commissionario FILIPPO BALESTRA
Orchestra e Coro dell’Opera Carlo Felice di Genova
Direttore Renato Palumbo
Maestro del coro Claudio Marino Moretti
Regia Giorgio Gallione
Scene e Costumi Guido Fiorato
Coreografie DEOS
Luci Luciano Novelli
Genova, 18 Gennaio 2025.
Se un giorno i teatri, per abbattere costi e migliorare i profitti, si daranno ad allestir opera attraverso l’AI (l’Intelligenza Artificiale) questa rappresentazione genovese di Traviata potrebbe rivelarsi propedeutica. Dalla messa in scena, alla conduzione dell’orchestra e, inevitabilmente, alla prestazione vocale tutto è fissato con implacabile determinazione, lasciando spazi esigui alla fallacità e all’estro capriccioso dell’intelligenza naturale. A-sentimentale e meccanicistico è l’approccio che la regia di Giorgio Gallione dà alla vicenda della povera Violetta. Le scene e i costumi di Guido Fiorato e le splendide luci di Luciano Novelli, sono giocate sul bianco (poco) e nero, al più screziato di rosso sanguigno, evidente e non sempre gradevole riferimento, vedi il fazzoletto di Violetta, al male della protagonista. Pur scontando il bell’effetto visivo, la produzione avrebbe potuto essere allestita autonomamente sul plot di un computer a cui fossero state fornite le didascalie del libretto. Anomali, in siffatto contesto, e di oscuro simbolismo, il bianco albero decorticato, reso enorme candeliere, e l’invasivo tappeto di mele (sic) con frutti rotolanti fin dentro la buca orchestrale. Mele sparse in luogo del giardino tra i campi
nella residenza fuori città di Violetta. Ci si è messo anche Renato Palumbo, alla testa dell’Orchestra del Carlo Felice, in ottima forma, a meccanizzare l’esposizione musicale. Non c’è segno della partitura che non venga seguito, ma con l’impegno della minor espressività possibile. La musica è quella che è, inutile gravarla eccessivamente della labile e mobile componente umana. Accenti, sforzando, note puntate e forcelle, inseriti in un contesto ritmicamente inesorabile, in cui nessun rubato trova spazio. Il colore sonoro alterna il piano e il forte e sono evitati indugi e ripensamenti sfumati. Di Violetta, fin dal preludio, si fissa la morte e la cupezza dell’introduzione al quarto atto ne è la pietra tombale. Il contesto
essenzialmente cupo e freddo non facilita certamente i tre giovani protagonisti. Elena Schirru ha voce, pur con timbro non ricchissimo di armonici, educatissima che corre bene anche nel gran spazio del Carlo Felice. L’orchestra inesorabilmente le scorre parallela e, negl’insieme, la regia la costringe desolatamente all’isolamento. Nell’incontro fatale con Germont padre, del secondo atto, i due protagonisti son confinati agli estremi opposti del palco e così pure con Alfredo viene evitato ogni avvicinamento affettuoso. La lettura della lettera, su un’orchestra spettrale, è artificiosa e termina con un “E’ tardi!” così straziante da non volersi mai sentire. Il personaggio si umanizza, dopo un primo atto più da Olympia che da Valery, quando nella scrittura della sua lettera, nel secondo atto, il clarinetto solista la sostiene con nove battute che valgono le lacrime. Non è secondario che il fisico e la giovane età la caratterizzino perfettamente col personaggio. Altrettanto giovane ed aitante è
l’Alfredo del tenore albanese Klodian Kaçani. Ricco e luminoso il timbro, sempre buoni e ben gestiti i centri. Un vibrato spiccato pare rendergli difficoltose le salite, in cui si coglie come, a tratti, sopra al rigo, la gola paia restringersi. Il personaggio è comunque psicologicamente centrato e convincente. Leon Kim, in nero abito talare con croce pettorale (?), dà voce sicura, ferma e forse anche un poco inespressiva al poco amabile vecchio Germont. I suoi mezzi, che forse assai poco debbono alla natura, suonano molto esaltati grazie allo studio e alla meticolosa preparazione che caratterizza la maggior parte degli interpreti orientali. Il personaggio rimane inchiodato all’enigma dei “terribili” padri verdiani; di conseguenza anche il Di Provenza, come peraltro è nelle intenzioni dell’autore, non gli fa ricuperare simpatie, rimane l’inevitabile aria, cantata correttamente senza
passione, che dà giusta rilevanza alla prestagione complessiva di un baritono. L’Annina di Chiara Polese, impone la sua classe di attrice e di cantante ben reggendo il confronto con Violetta. All’attacco dell’atto quarto le due voci conducono, con sicurezza ed armonia, il confronto. Misteriosa la ragione per cui indossi, durante tutta l’opera, un elegante frac maschile, forse che si sottintenda un qualche rapporto con Flora, la brava Carlotta Vichi, anch’essa sempre in frac e marsina. Tra le parti che animano la recita si fanno positivamente notare e valutare il Gastone di Roberto Covatta, il barone e il marchese, rispettivamente interpretati da Claudio Ottino e da Andrea Porta. Francesco Milanese è il dottor Grenvil, onnipresente in sceda nell’ultimo atto. Intervengono, al bisogno, svolgendo onorevolmente il loro compito, Loris Purpura, Giuliano Petouchoff e Filippo Balestra, rispettivamente domestico, Giuseppe e commissionario. Le danze,
sovrabbondanti nel primo atto, imprescindibili nel terzo, sono ottimamente agite dai numerosi danzatori presentati dall’enigmatica DEOS. L’ottimo Coro dell’Opera Carlo Felice, felicemente e sapientemente guidato dal Maestro Claudio Marino Moretti, pur abbigliato in neri scafandri che ne fanno un’orda di automi da Guerre Stellari, ha contribuito in modo determinante alla buona riuscita dello spettacolo e ad arricchirlo con quel tanto di umanità che altrimenti avrebbe eccessivamente latitato. Lo strabocchevole pubblico di un uggioso sabato pomeriggio, pur con qualche incertezza lungo la recita, ha in finale decretato, con applausi prolungatissimi, un successo incondizionato, che si è amplificato all’indirizzo dei singoli interpreti e trasformato in vera ovazione quando sul proscenio si sono presentati Elena Schirru e il maestro Palumbo.