Milano, Teatro alla Scala: “La forza del destino” – cast alternativo

Milano, Teatro alla Scala, Stagione d’Opera e di Balletto 2024-2025
LA FORZA DEL DESTINO” (CAST ALTERNATIVO)
Opera in quattro atti su libretto di Francesco Maria Piave e Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il marchese di Calatrava FABRIZIO BEGGI
Donna Leonora ELENA STIKHINA
Don Carlo di Vargas AMARTUVSHIN ENKHBAT
Don Alvaro LUCIANO GANCI
Preziosilla VASILISA BERZHANSKAYA
Padre guardiano SIMON LIM
Fra Melitone MARCO FILIPPO ROMANO
Curra MARCELA RAHAL
Un alcalde HUANHONG LI
Mastro Trabuco CARLO BOSI
Un chirurgo XHIELDO HYSENI
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Maestro del Coro Alberto Malazzi
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Luci Alessandro Verazzi
Coreografia Michela Lucenti
Nuova produzione del Teatro alla Scala
Milano, 02 gennaio 2025
Quando si assiste a grandi produzioni delle fondazioni lirico-sinfoniche del nostro Paese, si cerca di evitare la dicitura “primo“ o “secondo cast“, ma parliamo di cast alternativi, sovente allo stesso livello fra loro. Rincresce un po’, quindi, constatare come l’ultima recita de “La forza del destino“ che ha inaugurato questa stagione scaligera, abbia visto delle interpretazioni a volte anche sensibilmente sottotono rispetto a quelle delle prime date. Ma partiamo, invece, dalle conferme positive: la direzione del maestro Riccardo Chailly è magistrale, equilibratissima, consapevole di ogni singolo accento che compaia sulla partitura; già la celebre sinfonia è un florilegio di agogiche e dinamiche superbamente ricamate sul tessuto sinfonico verdiano, ma ancor più nello sviluppo scenico emerge un afflato personale ed evocativo, composto di silenzi, tensioni, abbandoni patetici e repentini lampi, che di fatto concorrono alla visualizzazione dell’opera – il trionfo di quella drammaturgia musicale di cui spesso parliamo, e che raramente vediamo crearsi in scena. Anche il coro, magnificamente istruito dal maestro Alberto Malazzi, non conosce tentennamento, discrasia, mutandosi in unica irresistibile marea sonora, che talvolta carezza ma perlopiù travolge, oltre a spendersi in scena con grande efficacia. Quando, invece, arriviamo agli interpreti, qualcosa inizia a non suonare come dovrebbe; Elena Stikhina, (Leonora di Vargas) sfoggia un piacevolissimo colore vocale, purtroppo ci appare piuttosto limitato nella proiezione, soprattutto quando serve veemenza e drammaticità. Le cose migliori ci vengono dai momenti più squisitamente lirici, come “La Vergine degli Angeli” interpretata con commovente sensibilità. Con il Don Alvaro di  Luciano Ganci ci  troviamo nella situazione opposta: l’assidua frequentazione del repertorio “verista” ha forse influenzato troppo il canto del tenore, che appare altalenante nella resa, qua e la soggetto a forzature che hanno rischiato di compromettere la performance, che resta nell’alveo dell’accettabilità principalmente grazie ai ben noti colori maliardi e all’intelligenza musicale dell’interprete navigato. Altra storia è il Don Carlo di  Amartuvshin Enkhbat: il baritono mongolo negli anni non sembra aver perso un grammo della sua nobiltà, della forza proiettiva, della vasta gamma cromatica del suo mezzo; la linea di canto è solida, il fraseggio ben sviluppato e attento – “Urna fatale del mio destino“ ottiene i maggiori applausi della serata, avendone tutte le ragioni. Vasilisa Berzhanskaya, mezzosoprano incaricato del ruolo di Preziosilla, viene data come indisposta prima dell’inizio della recita: conoscendo il potente mezzo dell’artista, oltre all’ammirabile capacità interpretativa, ci è effettivamente pasa sottotono, ma dubitiamo che il pubblico che non la conosce abbia potuto accorgersene; se la voce, infatti, presenta alcune opacità, il carisma scenico della Berzhanskaya è sempre vivido, e il suo “Rataplan, Rataplan,“ assai brillante. Apprezzabile anche la prova del Padre Guardiano di Simon Lim, che sviluppa interessanti accenti sulla morbida linea di canto, conferendo al personaggio quel giusto mix di auctoritas e dimensione umana. Tra gli altri ruoli, senza dubbio spicca il Fra Melitone di Marco Filippo Romano, caratterizzato con l’expertise che il baritono siciliano ha dei ruoli buffi e grotteschi, ma anche il solido Marchese di Calatrava di Fabrizio Beggi,  la Curra di Marcela Rahal e il chirurgo di Xhieldo Hyseni emergono per sicure qualità vocali e interpretative. Sull’apparato scenico diretto da Leo Muscato non nascondiamo alcune riserve, e non tanto, come alcuni colleghi hanno messo in luce, riguardanti l’eccessivo tradizionalismo del concept, o dell’uso del praticabile rotante, quanto proprio per la latitanza del lavoro sugli interpreti: la regia di Muscato si palesa principalmente quando non si canta, durante i cambi di scena, nei quali si sviluppano quelle micronarrazioni che possono costituire lo scheletro, ma non l’intero corpo di un compiuto progetto registico; gli interpreti si limitano perlopiù a cantare, camminando lungo il praticabile, a volte seduti, a volte in piedi, in una scena che non conosce profondità, ma solo altezza e larghezza – a parte nei momenti del coro, nei quali si sfrutta anche il cuore della pedana, e che infatti risultano i meglio congeniati (certamente anche grazie all’apporto di Michela Lucenti). Sul piano puramente visivo, la palette di grigi e verdazzurri sul quale si incentra la maggior parte del dramma non convince del tutto, e nemmeno la fantasia della costumista Silvia Aymonino riesce a esprimersi al meglio in questo contesto; le luci di Alessandro Verazzi risultano invece efficaci e organiche alla vicenda. La scena di Federica Parolini, infine, pare molto ben costruita quando si parla dei campi di guerra, più generica, invece in contesti interni – a tratti incomprensibile nel I atto. Insomma, questa “Forza” si conclude su un tono meno trionfale di quanto non si sia aperta; il pubblico, tuttavia, non sembra accorgersene del tutto: caldi applausi scroscianti sul finale di ogni atto hanno salutato la recita, con giuste ovazioni per Enkhbat e Chailly. Foto Brescia & Amisano