Milano, Teatro Elfo-Puccini: “La Collezionista”

Milano, Teatro Elfo-Puccini, Stagione 2024/25
“LA COLLEZIONISTA”
di Magdalena Barile
La Marchesa IDA MARINELLI

Marcel ANGELO TRONCA
Intervistatrice/ Lux BARBARA MAZZI
Cameraman/ Andy YURI D’AGOSTINO
Regia Marco Lorenzi
Scene Marina Conti
Luci Giulia Pastore
Costumi Elena Rossi
Nuova Produzione Teatro dell’Elfo e A.M.A. Factory

Milano, 09 gennaio 2025
Da sempre per lanciare un nuovo testo tearale si fa ricorso alla presenza, nella prima produzione, di un o una interprete importante, che faccia un po’ da “traino” alla novità drammaturgica. Non fa eccezione “La collezionista” di Magdalena Barile, che si avvale della presenza in qualità di protagonista di Ida Marinelli, senz’altro una tra le attrici della sua generazione tra le più apprezzate. La scelta si rivela, peraltro, azzeccata: Marinelli ha la giusta tempra performativa per muovere l’intero spettacolo, tentacolare personalità che sa muovere i suoi burattini con singolare intelligenza scenica – oltre alla voce, al corpo, a tutte le mezzetinte che un’attrice del suo calibro sa sfoderare. D’altronde, come ci si premura di chiarire nel materiale di sala, l’idea di un testo su una collezionista d’arte – un po’ Peggy Guggenheim, un po’ Marchesa Casati Stampa – è stata sua. Purtroppo, tuttavia, occorre constatare come l’ispirazione e il talento di Marinelli non bastino a costruire e reggere un’intero spettacolo, che, ove la Divina Ida non arriva, mostra crepe, scricchiolii e buchi piuttosto evidenti, a partire dagli altri attori in scena con lei: se Angelo Tronca, nella parte del maggiordomo/manager ex amante (vago richiamo allo Stroheim di “Viale del tramonto”), si guadagna un suo senso scenico, grazie anche a una parte che ne sviluppa per lo meno alcuni aspetti, Barbara Mazzi e Yuri D’Agostino non sono solo inadeguati come attori (lei connotata da una vocalità che dietro l’impostazione nasconde acute asperità, lui onestamente in costante souplesse, fin troppo rilassato nel tentare di costruire il personaggio), ma vengono penalizzati anche da dei personaggi poco più che macchiettistici – l’intervistatrice ideologicamente schierata, il cameraman interessato solo allo scoop, l’artista arrabbiata col mondo che dice “no” a tutto; unica eccezione è Andy, l’“uomo-copia”, l’unico guizzo di originalità del testo, che però resta imbrigliato in vezzi recitativi senza effettivamente svilupparsi in un personaggio a tutto tondo. Peccato, anche perché la tematica di cui si fa portatore è tra le più interessanti, se collegate all’arte contemporanea, cioè al tema che vorrebbe essere centrale nel testo. E anche qui il condizionale è d’obbligo, giacché pare chiaro che Magdalena Barile non abbia scritto un testo sull’arte contemporanea, ma sugli artisti contemporanei (giacché, in fondo, anche la collezionista appartiene a quella schiera), anzi: sull’idea che lei ha di questi artisti, un’idea scioccherella e per nulla realistica, che sembra accodarsi a quella frangia intellettuale conservatrice che vuole che l’arte sia morta da almeno quarant’anni e tutto il resto è spazzatura. Avanguardia pura, non c’è che dire: e certo non sentiamo il bisogno della bellissima scena di Marina Conti – organizzata come un effettivo museo che lo spettatore può visitare prima o dopo la recita – o delle geometriche ed incisive luci di Giulia Pastore per nobilitare un testo tanto povero di contenuti, che strizza pesantemente l’occhio a Buñuel e Sorrentino (il leone a circuire il luogo, come l’orso del “Fascino indiscreto della borghesia”, l’apparente leggerezza – non ci spingeremmo fino a comicità – con cui si presentano i personaggi, la rappresentazione di un sottobosco artistico demenziale), ma si dimentica che su questo argomento è già stato prodotto almeno un testo – “Art” di Yasmina Reza – che non temiamo di definire drammaturgicamente perfetto. Nemmeno il talento formidabile di Ida Marinelli riesce a dare spessore a questa “Collezionista”, sia nel senso del testo sia dello specifico personaggio, che pure avrebbe potuto essere sviluppato meglio, senza necessità di abbrutirlo tanto. Perché anche questo è un carattere pesantemente inficiante la riuscita del testo: nessun personaggio ha qualcosa di bello, di dolce, tenero, una umanità con cui poter empatizzare. Origliando la conversazione di due componenti del pubblico, sentiamo “Come ti è sembrato?” “Mah… mi è sembrata una stanza piena di gente orribile”: non sapremmo trovare parole più appropriate. E, aggiungiamo noi, che non fa assolutamente nulla di interessante, né parla di cose interessanti, ma si limita per la maggior parte a uno small talk che quando vuole essere profondo si abbandona a luoghi comuni del calibro “l’arte è tutta la mia vita”. In scena al Teatro Elfo-Puccini di Milano fino al 02/02. Foto Laila Pozzo