Milano, Teatro Franco Parenti: “Acanto”

Milano, Teatro Franco Parenti, Stagione di Prosa 2024/25
“ACANTO”
di Nicola Russo
con ALESSANDRO MOR e GABRIELE GRAHAM GASCO

Regia Nicola Russo
Scene e Costumi Giovanni De Francesco

Luci Giacomo Marettelli Priorelli
Suono Andrea Cocco
Video Matteo Tora Cellini
Produzione MONSTERA in collaborazione con Alchemico Tre
Milano, 08 gennaio 2025
Molto apprezzabile è l’intento di Nicola Russo nel presentare al Parenti di Milano “Acanto”, un testo maneggevole quanto ambizioso che si prefigge di portare in scena lo scontro generazionale tra due maschi omosessuali – un cinquantenne e un ventenne – nel contesto certo non scontato della sala d’attesa di un laboratorio d’analisi. Tutto incentrato sull’incontro di questi due individui, sul loro guardarsi, interrogarsi, toccarsi da lontano e poi sempre più da vicino, anche lo spazio scenico di Giovanni De Francesco è apparentemente funzionale alle due parti (con sedie disposte di fronte le une alle altre, e linee parallele disegnate per terra), e aumenta in profondità grazie alle videoproiezioni di Matteo Tora Cellini, che vengono mandate sul fondo, che vedono il corpo del protagonista più attempato osservato a 360º. È evidentemente lui il protagonista: lui innesca il dialogo col giovane, lui è quello ansioso, ma anche quello desideroso di conoscere una govinezza che gli sembra ormai sfuggita. Alessandro Mor, nella resa di questa nostalgia, è senza dubbio efficace, fisicamente e vocalmente; sebbene, va detto, sia il giovane Gabriele Graham Gasco la sorpresa, sul piano performativo: il suo è un corpo nascosto ed esposto, riverso su se stesso e aperto al mondo, e la sua voce, senza essere stantiamente accademica, riesce a toccare corde molto diverse tra loro – simpatia, imbarazzo, rabbia, spavalderia – costruendo un’aura di maggiore credibilità rispetto al suo compagno più attempato – e il monologo sul finale del film “Niente baci sulla bocca” lo dimostra ampiamente. Il testo si dipana tra racconti più o meno personali e confronti generazionali sul modo di scoprire e vivere la propria omosessualità in Italia, e sembra andare in una direzione interessante – quello che trasforma l’incontro in scontro, la tensione in atto – quando in poche battute arriva a una non-conclusione francamente disorientante. Per quanto possiamo apprezzare i finali aperti, qui tuttavia ci troviamo di fronte a una fitta palizzata di interrogativi che vanno ben oltre la delega allo spettatore. In primis, la questione della malattia, che viene chiaramente enucleata dal personaggio più adulto, ma che, ad esempio, non sembra toccare il più giovane – siamo nella sala d’attesa di un ospedale, si potrebbe obiettare; già, ma cosa la rende tale? Il numeratore led che non procede, come in salumeria? Oppure in realtà questo è un luogo purgatoriale, uno spazio intermedio tra vita e morte, ove le età si riassumono nel kairòs, e dunque i due rappresentano la stessa persona in due momenti storici diversi? Che vita hanno, che relazione hanno fuori dalla scena questi due personaggi? In un testo così scarno – e pure dalle chiare e non del tutto irrisolte pretese poetiche – il pubblico deve potersi affezionare ai personaggi, quasi innamorare, se non per lo meno rispecchiarsi in essi e in quello che fanno. Ecco, se il primo step avviene, il secondo ci sembra un po’ abortito, come se qualcosa debba accadere proprio nel momento in cui l’autore decide di concludere – un finale un po’ troppo sospeso. Peccato. Foto Sirio Tessitore