Milano, Teatro Menotti, Stagione di Prosa 2024/25
“CRISI DI NERVI. TRE ATTI UNICI”
di Anton Cechov
“L’ORSO”
Elena Ivanovna Popova MADDALENA CRIPPA
Grigorij Stepanovič Smirnov ALESSANDRO SAMPAOLI
Luka SERGIO BASILE
“I DANNI DEL TABACCO”
Ivan Ivanovič Njuchin GIANLUIGI FOGACCI
“LA PROPOSTA DI MATRIMONIO”
Stepan Stepanovič Čubukov SERGIO BASILE
Natal’ja Stepanovna EMILIA SCATIGNO
Ivan Vasil’evič Lomov ALESSANDRO AVERONE
Regia Peter Stein
Scene Ferdinand Woegerbauer
Costumi Anna Maria Heinreich
Luci Andrea Violato
Produzione Tieffe Teatro e Quirino srl
Milano, 21 gennaio 2025
A volte frequentando i teatri di Milano, tendiamo a dimenticare l’interezza della realtà teatrale, assuefatti come siamo a tutte queste forme teatrali ibridate ed ibridanti così care ai palchi meneghini – teatro di narrazione, teatro-canzone, post-drammatico, teatro dell’io, teatro di figura, teatro di e altre amenità. Tuttavia, dobbiamo ricordarci sempre che esiste ancora Peter Stein, fra gli ultimi esponenti di quella école des maîtres cui naturalmente appartenevano anche Strehler, Ronconi, de Berardinis. Brooke e non molti altri, che per tutta la vita hanno praticato il teatro nella sua forma più pura e, se vogliamo, civilizzante: il teatro di parola. Stein, infatti, è l’ultimo venerato maestro che si preoccupi ancora oggi di come i suoi attori recitino, l’ultimo grande insegnante di recitazione, non un burattinaio paradrammaturgico interessato a esprimere il proprio ego aldilà di quello che avviene in scena. E quindi, andando a vedere le sue “Crisi di nervi, Tre atti unici” di Cechov, al teatro Menotti, assistiamo al miracolo di vedere messo in scena effettivamente Cechov (detto, recitato, inscenato come Cechov) recitato da attori bravi, la cui arte specifica è proprio recitare, e non sbrodolare in scena pezzettini della propria vita, traumi esistenziali, doti canore non richieste, annessi e connessi; e noi, tra il pubblico, possiamo prenderci il paradossale lusso di vedere degli attori recitare, finalmente, RECITARE e molto bene.
Magnificamente recita Maddalena Crippa, col suo tono fascinoso contraltile e quella leggerissima nenia che ricorda proprio il teatro di inizio Novecento, fisicamente altera nel ruolo arcigno della vedova Popova; recita altrettanto bene Sergio Basile, perfettamente a contatto con tutte le proprie possibilità vocali, e in grado di essere convincente sia nel ruolo grottesco – quasi marionettistico – del maggiordomo Luka, come in quello dell’apparentemente pacioso Stepan de “La proposta di matrimonio”; recita sorprendente bene – per una questione d’età, più che altro – anche Emilia Scotigno, che con la sua naturalezza e la leggerezza che conferisce al personaggio ne coglie, in verità, l’essenza più crudele e paradossale; accanto a lei Alessandro Averone costruisce Lomov a partire dal corpo: acciacchi, nevrosi, costrizioni di vestiario, coprono l’attore quasi cancellandone l’avvenenza fisica, l’intenzione vocale, ma è in questo “quasi” il punto, perché il personaggio c’è tutto, avviluppato sulle sue isteriche questioni di principio, che hanno più valore dell’amore per Natal’ja.
Forse meno riuscite le interpretazioni di Alessandro Sampaoli e Gianluigi Fogacci, che incorrono, entrambi, nel problema del teatro di parola, ovvero nella ripetività delle intonazioni, delle intenzioni, delle cadenze – pur ciascuno nel suo personaggio: così Smirnov si caratterizza solo esteriormente, nella sua virulenza e nel vocione tonante, e Njuchin assume, suo malgrado, un andamento professorale, deliberativo, che non aiuta la fruizione migliore del monologo. La regia di Peter Stein, manco a dirla, è perfetta: il ritmo non conosce impasse, la prossemica dei personaggi, la loro rappresentazione non ha una smagliatura; certamente anche le scene essenziali di Ferdinand Woegerbauer e gli accuratissimi costumi di Anna Maria Heinreich non ostacolano, ma anzi esaltano questa regia, inserendola chiaramente in un contesto storico che ne giustifichi le dinamiche e le vocalità. Alla fine dello spettacolo ci sorprendiamo di essere noi, lì, e gli attori pure, non proiettati da un antico, rumoroso apparecchio d’antan; eppure questo teatro “vecchio”, sa ancora essere fresco, sa ancora intrattenere, emozionare – forse perché, riconosciamolo, vecchio non è e non sarà mai. E allora viva Peter Stein! E viva il teatro! Foto Tommaso Le Pera