Modena, Teatro Comunale Pavarotti-Freni, Stagione Opera 2024-2025
“GIULIO CESARE”
Dramma musicale in tre atti su libretto di Nicola Francesco Haym da Giulio Cesare in Egitto di Giacomo Francesco Bussani
Musica di Georg Friedrich Händel
Giulio Cesare RAFFAELE PE
Cleopatra MARIE LYS
Achilla DAVIDE GIANGREGORIO
Cornelia DELPHINE GALOU
Tolomeo FILIPPO MINECCIA
Sesto FEDERICO FIORIO
Nireno ANDREA GAVAGNIN
Curio CLEMENTE ANTONIO DAILOTTI
Accademia Bizantina
Direttore al clavicembalo Ottavio Dantone
Regia Chiara Muti
Scene Alessandro Camera
Costumi Tommaso Lagattolla
Luci Vincent Longuemare
Nuovo allestimento in Coproduzione Ravenna Manifestazioni, Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Teatro del Giglio di Lucca, Fondazione Haydn di Bolzano e Trento
Modena, 26 gennaio 2025
Come suonavano le voci di quei mitici castrati che facevano impazzire il Settecento? Bisognerebbe averli sentiti. Ma la verità, è noto, abbonda nelle tasche del melomane, sempre pronto a sfoderare la propria su ogni questione. Controtenori, falsettisti, sopranisti, contraltisti: volano termini diversi per indicare gli uomini che cantano nei registri più acuti. Dalla loro, parecchi punti a favore ne giustificano il grande successo degli ultimi anni: sono giovani, spesso belli, talvolta prestanti, credibili in scena (più di una donna en travesti) e musicisti preparatissimi, colti e raffinati. Per forza, perché hanno a che fare sempre con rarità e riscoperte. Rarità e riscoperte che non hanno quella palla al piede della tradizione: interpreti e pubblico sono vergini e, spesso e volentieri, anche giovani. E, si sa, quel disinvolto gioco di generi e sessi solletica le moderne sensibilità facendo precipitare l’appeal dei bacchettoni romantici. Limiti? La voce maschile a quelle altezze resta un po’ bianchiccia, il timbro come slavato, il volume non poderoso. Anche nei casi migliori, come qui. Raffaele Pe, il protagonista, fa i miracoli per garantire omogeneità su tutta l’estensione e con grande abilità dà spessore e slancio all’emissione. Filippo Mineccia, il co-protagonista (Cesare dà il nome all’opera, ma Tolomeo non è meno centrale nell’azione), non può certo contare sulla stessa omogeneità, anzi ci gioca espressivamente, e compensa con esuberante scioltezza scenica. Dei tre, Federico Fiorio (Sesto), ha forse il timbro più corposo e bello; e insieme il più delicato, però. Girandole di note, fuochi d’artificio, ghirigori e infiorettature: niente li spaventa, naturalmente. Ma accenti di un’espressività più, se vogliamo, sentimentale, non mancano: per esempio, nel bel duetto di Sesto e Cornelia. Delphine Galou (Cornelia) è, come si dice, una specialista, che usa la
duttile voce come uno strumento, rifuggendo a qualunque costo il vibrato e asciugando quanto più possibile il suono. Se così canta la romana, l’egiziana invece, Marie Lys (Cleopatra), non disdegna nessun elemento di seduzione vocale, e si cura di riempire, tondeggiare, ammorbidire, sfoggiando senza tanti imbarazzi il bel timbro corposo (ma anche le gambe). Davide Giangregorio (Achilla) alleggerisce garbatamente la sua voce di basso per salvaguardare l’unità stilistica col resto del cast, canta benissimo, e alla fine dà anche una significativa prova attoriale con la sua morte: dove la recitazione è al suo posto, ovvero nel canto e non sulla scena. Completano ineccepibili il cast il Nireno di Andrea Gavagnin e il Curio di Clemente Antonio Daliotti. Ottavio Dantone con la sua Accademia
Bizantina è un punto di riferimento per questo repertorio: organico asciuttissimo, sonorità leggere, svolazzanti e taglienti. Nessuno vuol “wagnerizzare”, per carità, ma le barbare stelle non vogliano che l’esecuzione storicamente informata si rivolga ad un pubblico stoicamente formato: che sa già di dover battere i denti su un suono ridotto all’osso. Chiara Muti firma questo bello spettacolone, one perché tanto lungo quanto ricco. Con l’impianto scenico di Alessandro Camera, sobrio e deliberatamente passatista, fra il pvc molto Strehler-Frigerio e il dorato faccione di Cesare, gigantesco à la De Ana, e affettato come quelli di Abu Simbel durante il trasloco. Dentro ci mette di tutto, dalle gags più classiche (per esempio il
calice avvelenato fumante, come quello, per chi se lo ricorda, del paggio ghignante nel Boccanegra di Strehler) fino al farfallone un po’ Oberon, ma lo fa sempre con un certo gusto. Tanto che perfino la torta in faccia a Tolomeo riesce a non essere fuori luogo. Così Cesare conquistò le romantiche province dell’Emilia. Ma il melomane-Tantalo che, in questo fine settimana di tentazioni, attratto anche dai Capuleti e Montecchi a Reggio Emilia, dalla Fanciulla del West a Bologna e dalla Giovanna d’Arco a Parma, se lo fosse perso, questo Giulio Cesare lo può ancora recuperare su YouTube nella diretta ravennate curata da Opera Streaming.
Modena, Teatro Comunale Pavarotti-Freni: “Giulio Cesare”
