Napoli, Teatro di San Carlo, Stagione d’opera e danza 2024/25
“DON CARLO”
Opera in cinque atti su Libretto di Joseph Méry e Camille du Locle, tratto dalla tragedia “Don Karlos, Infant von Spanien” di Friedrich Schiller. Traduzione italiana di Achille De Lauzières e Angelo Zanardini
Musica Giuseppe Verdi
Filippo II JOHN RELYEA
Don Carlo PIERO PRETTI
Rodrigo GABRIELE VIVIANI
Il grande inquisitore ALEXANDER TSYMBALYUK
Un frate GIORGI MANOSHVILI
Elisabetta di Valois RACHEL WILLIS-SØRENSEN
La principessa Eboli VARDUHI ABRAHAMYAN
Tebaldo MARIA KNIHNYTSKA
Il conte di Lerma IVAN LUALDI
Un araldo reale VASCO MARIA VAGNOLI
Una voce dal cielo DÉSIRÉE GIOVE
Primo deputato SEBASTIÀ SERRA
Secondo deputato YUNHO KIM
Terzo deputato MAURIZIO BOVE
Quarto deputato IGNAS MELNIKAS
Quinto deputato GIOVANNI IMPAGLIAZZO
Sesto deputato ANTIMO DELL’OMO
Il giullare (attore) FABIÁN AUGUSTO GÓMEZ
Don Carlo ragazzo MICHELE CRICRI (VIDEO)
Rodrigo ragazzo LORENZO MATTIA MORESCHI (VIDEO)
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Direttore Henrik Nánási
Maestro del Coro Fabrizio Cassi
Regia Claus Guth ripresa da Marcelo Persch-Buscaino
Scene Etienne Pluss
Costumi Petra Reinhardt
Luci Olaf Freese riprese da Virginio Levrio
Video Roland Horvath
Drammaturgia Yvonne Gebauer
Produzione del Teatro di San Carlo in coproduzione con Latvijas Nacionālā Opera un Balets
Napoli, 19 gennaio 2025
Al San Carlo di Napoli, arriva Don Carlo di Verdi nell’edizione italiana (Modena, 1886): si tratta dell’edizione in cinque atti, caratterizzata dal reinserimento del primo atto (eliminato nella versione in quattro atti; 1884) e dalla soppressione del balletto (presente, invece, nella versione francese in cinque atti, 1867). È la storia dell’amore impossibile tra Don Carlo, infante di Spagna, ed Elisabetta di Valois costretta dalla «ragion di Stato» a contrarre matrimonio col re, Filippo II. Il disegno registico, affidato a Claus Guth (ripreso da Marcelo Persch-Buscaino), rinvia a un mondo fatto di elementi architettonici e di «didascaliche» citazioni pittoriche: l’atmosfera cupa d’un salone (disegnato da Etienne Pluss e illuminato da Olaf Freese, che riprende le luci da Virginio Levrio), l’austera tribuna del coro e la riproduzione, su una tenebrosa parete, della Famiglia di Carlo IV di Francisco Goya; un dipinto che, qui, svolge la funzione di leitmotiv «figurativo», paradigmatico dell’invivibilità dello «spazio» familiare, che prescinde dal contesto storico originario (la Francia e la Spagna cinquecentesche).
Il regista effettua un’operazione di «desacralizzazione» dell’aristocrazia e di neutralizzazione del potere assolutistico. Soltanto che ciò avviene attraverso movimenti danzati e convenzioni «gestuali» un po’ macchinose. Infatti, la caratterizzazione dei personaggi viene affidata al linguaggio cinematografico (determinato da proiezioni d’immagini, di Roland Horvath – come quelle ritraenti Carlo e Rodrigo da ragazzini (interpretati rispettivamente da Michele Cricri e Lorenzo Mattia Moreschi; video che fanno parte del progetto drammaturgico di Yvonne Gebauer). La caratterizzazione «teatrale» e psicologica, nel Don Carlo, interessa anche, e soprattutto (parafrasando Massimo Mila), la scrittura strumentale, affrontata da Henrik Nánási – alla testa dell’Orchestra del San Carlo – con un approccio un po’ «descrittivo» e non propriamente drammatico o «evocativo»: la costruzione dei tormenti emotivi e dei sentimenti dei personaggi viene demandata e affidata soprattutto alle voci. Le melodie orchestrali procedono un po’ «staticamente»; ciò, però, non accade quando gli strumenti possono intervenire «solisticamente», come il violoncello nel preludio orchestrale del quarto atto, che riesce a evocare la tragica, rassegnata e irrimediabile solitudine di re Filippo; o quando l’orchestra è alle prese con l’energia espressionistica dell’introduzione dell’autodafé (atto terzo).
Notevole il cast dei cantanti, avvolti peraltro negli appropriati e severi costumi di Petra Reinhardt: John Relyea garantisce a Filippo II una caratterizzazione teatrale inappuntabile, non soltanto per l’appropriata «condotta vocale», ma anche per la variegata «mobilità» dei sentimenti, tra dignitosa rassegnazione e irrisolvibile disperazione. Timbro scurissimo, intimistica bellezza melodica e declamazione efficace consentono al basso di affrontare il grande monologo all’inizio del quarto atto, Ella giammai m’amò!. Il re, perdutamente innamorato di lei, Elisabetta di Valois, interpretata da Rachel Willis-Sørensen. Il soprano presta alla regina un comportamento teatrale costruito attraverso una misurata agitazione emotiva, come se un sentimento di estrema «rassegnazione» e un atteggiamento «remissivo», nei confronti della soffocante potenza delle «vanità del mondo», avessero un po’ preso il sopravvento sul temperamento estremamente complesso della sovrana. Ma, premesso ciò, resta un’interpretazione corretta – determinata soprattutto da morbidezza vocale e da una soave e ricercata purezza di stile, ravvisabili, per esempio, nel profilo melodico e nei momenti lirici dell’aria dell’ultimo atto Tu che le vanità conoscesti del mondo.
Il mezzosoprano Varduhi Abrahamyan riesce ad affrontare l’ambiziosa scrittura vocale (come l’aria O don fatale, atto quarto), attraverso cui Verdi intendeva restituire un ritratto «caratteristico» della principessa Eboli, determinato da una nervosa sensualità. La cantante affronta correttamente la coloratura della Canzone del Velo (atto secondo), ma il materiale vocale non viene inserito in un disegno «teatrale» di caratterizzazione del personaggio, restando «agganciato» a un’espressività un po’ generica, sia pure formalmente corretta. Il tenore Piero Pretti garantisce, invece, al suo Carlo delle qualità vocali degne del personaggio: efficaci momenti lirici e una parola declamata determinata, all’occorrenza, anche da accenti di carattere «drammatico». Un ritratto psicologico perfetto, caratterizzato da ricchezza e pienezza vocali e anche da momenti di «agitata» passionalità, sempre però stilisticamente appropriata.
Un Carlo da manuale, anche nella caratterizzazione del suo rapporto di fraterna amicizia con Rodrigo, interpretato da Gabriele Viviani: il baritono, attraverso una corretta emissione nelle zone «drammatiche» della tessitura acuta, presta al Marchese di Posa una voce elegantemente declamante, utile al cantante per dare forma al disperato amore patriottico del personaggio per la Fiandra. Completano il cast: l’ottimo Alexander Tsymbalyuk che, attraverso una voce potentemente grave, restituisce in modo appropriato la severità e l’intransigenza del Grande Inquisitore; Giorgi Manoshvili (Un frate), Maria Knihnytska (Tebaldo), Ivan Lualdi (Il conte di Lerma), Vasco Maria Vagnoli (Un araldo reale), Désirée Giove (Una voce dal cielo), Sebastià Serra (Primo deputato), Yunho Kim (Secondo deputato), Maurizio Bove (Terzo deputato), Ignas Melnikas (Quarto deputato), Giovanni Impagliazzo (Quinto deputato), Antimo Dell’Omo (Sesto deputato), Fabián Augusto Gómez (Il giullare, attore). Ottimo anche l’apporto fondamentale del Coro, preparato da Fabrizio Cassi. In definitiva, enorme successo di pubblico, nonostante qualche contestazione al progetto registico. Repliche fino al 31 gennaio. Foto Luciano Romano
Napoli, Teatro di San Carlo: “Don Carlo”
