Roma, Sala Umberto: “Feste” di Familie Flöz

Roma, Sala Umberto
FESTE
di Familie Floz

Un ’opera di Andres Angulo, Björn Leese, Johannes Stubenvoll, Thomas van Ouwerkerk, Michael Vogel
Con Andres Angulo, Johannes Stubenvoll, Thomas van Ouwerkerk | Co-Regia Bjoern Leese
Una produzione di Familie Flöz
In coproduzione con Theaterhaus Stoccarda, Teatro Duisburg, Teatro Lessing Wolfenbüttel. con il supporto dell’ Hauptkulturfonds Regia di Micheal Vogel

Roma, 02 gennaio 2025
Nel panorama teatrale contemporaneo, “Feste” della compagnia tedesca Familie Flöz si impone con una forza evocativa rara, tessendo un racconto che supera il linguaggio verbale e affonda nella poesia del gesto e nella potenza visiva delle sue maschere. Il linguaggio del corpo e la magia delle maschere rigide rivelano, proprio attraverso il movimento, la misteriosa mappatura del cervello e le profondità dell’anima. Affiorano, tra illusioni e incantesimi, le fragilità e il potere creativo della psiche umana. Ambientato in una lussuosa villa sul mare, lo spettacolo ruota attorno ai frenetici preparativi per un matrimonio, ma è nel cortile caotico e nell’incessante lavoro del personale che si dispiega il vero palcoscenico della narrazione. Qui, tra cuochi, camerieri e wedding planner, prende vita un microcosmo di umanità vibrante e contrasti sociali. Paradossalmente, i meno convinti delle nozze sembrano proprio gli sposi. Se “Teatro Delusio” mostrava il backstage di uno spettacolo teatrale, qui, con procedimento analogo, assistiamo alla preparazione della festa non dalla sala con i tavoli, ma dal cortile di una grande casa in riva al mare, tra merci e inservienti che vanno e vengono. Intanto, sullo sfondo, continua ad accumularsi una montagna di sacchi neri della spazzatura. Il silenzio è interrotto solo dalla musica, dalla risacca e dal canto dei gabbiani. “Feste” è una sarabanda di maschere e personaggi, una ventina in tutto, che si ritrovano a interagire in una miriade di situazioni. Sembrerebbe che dietro a ogni maschera ci sia un attore, e invece sono solo tre: Andres Angulo, Johannes Stubenvoll e Thomas van Ouwerkerk, anche autori dello spettacolo insieme ad Hajo Schüler e Michael Vogel, quest’ultimo in cabina di regia con l’aiuto di Björn Leese. La quotidianità del cortile prende forma in un custode che non riesce a bere un caffè in pace, una donna delle pulizie che usa troppa cera sui gradini delle scale, un manager alle prese con una muta di cani, e una senzatetto incinta che si rifugia tra i sacchi della spazzatura. Camerieri, facchini e cuochi si alternano in un andirivieni frenetico, dove ogni dettaglio della festa sembra dover essere orchestrato con precisione. La sposa, quasi un’apparizione eterea, attraversa la scena con una grazia sacrale, conferendo un tocco di poesia alla confusione circostante. Le stratificazioni sociali sono mirabilmente rappresentate in questo microcosmo effervescente. Gli interpreti agiscono muti e irrequieti dietro le loro maschere. Il silenzio non è soltanto rinuncia a un dialogo vuoto, ma anche cristallizzazione delle realtà sociali. I personaggi sono intrappolati nelle loro posizioni gerarchiche, incapaci persino di parlarsi. Eppure, la comunicazione si sprigiona oltre le parole, attraverso profumi, oggetti che viaggiano di mano in mano, e gesti che portano calore e umanità in un contesto di alienazione. Un grembiule porso alla senzatetto diventa un abbraccio implicito, un bacio sfiorato illumina il gelo della scena, e nei bassifondi si incontrano i derelitti, personaggi diversamente soli che rivelano la loro profonda umanità. Quanto più i personaggi sono maldestri, tanto più sono vicini a noi, capaci di evocare sentimenti autentici. La drammaturgia, più focalizzata sulle emozioni che sulle storie, procede per accostamenti, contrappunti e dissonanze, creando un universo lirico e parallelo. I colori possiedono la scena, realizzata da Felix Nolze e Rotes Pferd, mentre le maschere di Hajo Schüler vivificano i costumi di Mascha Schubert, sublimandoli nell’onirico. I suoni di Dirk Schröder e le musiche di Maraike Brüning e Benjamin Reber arricchiscono la tavolozza emotiva, accompagnando con delicatezza e incisività le azioni sceniche. Le luci disegnate da Reinhard Hubert descrivono paesaggi interiori, recuperando uno sguardo primitivo, libero da sovrastrutture, intrinsecamente creativo. “Feste” è una favola per adulti capace di sedurre anche i bambini. Ma dietro la quieta immobilità delle maschere, in un mix sognante di comicità amara e farsa oscura, si cela una denuncia sottile. La rappresentazione mette a nudo le fragilità del progresso nevrotico, la vacuità della perfezione di facciata, e lo fa con un tocco che è al contempo poetico e spietato. La visione dei Familie Flöz si conferma un inno alla bellezza del quotidiano, un invito a guardare oltre le apparenze e a riscoprire il potere del legame umano. Uno spettacolo che, come un respiro profondo, lascia nello spettatore un senso di meraviglia e appartenenza, richiamando il potere primigenio del teatro di trasformare e riconnettere.