Roma, Teatro Ambra Jovinelli: “Amleto²”

Roma, Teatro Ambra Jovinelli
AMLETO²
uno spettacolo di e con Filippo Timi

e con Lucia Mascino, Marina Rocco, Elena Lietti, e Gabriele Brunelli
Produzione Teatro Franco Parenti – Fondazione Teatro della Toscana
Roma, 07 gennaio 2025
L’Amleto² di Filippo Timi non è solo uno spettacolo teatrale, ma una dichiarazione d’intenti, un atto di ribellione che si sottrae alle convenzioni del palcoscenico tradizionale per esplorare nuove dimensioni espressive. Non c’è un “Amleto” nel senso tradizionale del termine, ma un caleidoscopio di frammenti: la tragedia shakespeariana è smembrata, riassemblata e contaminata da riferimenti pop, grotteschi e kitsch. Timi, con la sua ironia corrosiva e la sua presenza scenica magnetica, non si limita a interpretare il principe danese, ma ne fa un trampolino per mettere in scena sé stesso, i suoi pensieri, le sue ossessioni e la sua visione del teatro. Il sipario si apre su una pista circense, un’immagine che definisce immediatamente il tono dello spettacolo. Al centro, un trono barocco dai panneggi rosso oro, circondato da palloncini neri legati a nastri di sicurezza, simbolo di un mondo in bilico tra il gioco infantile e la tragedia incombente. La scena è volutamente eccessiva, sovraccarica, un circo decadente che riflette il caos del nostro tempo. Non c’è nulla di sobrio o contenuto in questo Amleto: è un’opera che esplode di energia, di colori, di suoni, di contrasti, e che si nutre della sua stessa iperbole. Il testo di Shakespeare diventa una traccia, un fantasma che si aggira sullo sfondo. L’autore/ regista/ attore destruttura la trama, la spezza e la riassembla, giocando con le sue convenzioni per trasformarla in qualcosa di nuovo. Il linguaggio stesso dello spettacolo è contaminato: citazioni da Carmelo Bene e dal cinema si mescolano a riferimenti pop, da Marilyn Monroe a Lorella Cuccarini, mentre la colonna sonora alterna brani di musica classica a canzonette leggere degli anni Ottanta. Ogni elemento scenico contribuisce a creare un’esperienza che è, al tempo stesso, un omaggio al teatro e una sua parodia dissacrante. Accanto a Timi, un cast straordinario dà vita a personaggi che oscillano tra il mito e la caricatura. Marina Rocco, nei panni di una Marilyn Monroe edipica, è il fantasma del padre di Amleto, una figura che incarna l’ironia tragica e dissacrante dello spettacolo. La sua presenza è un costante cortocircuito tra il dramma e il grottesco, tra la seduzione iconica e la sua decostruzione. Elena Lietti, invece, interpreta un’Ofelia preraffaelita, fragile e poetica, che si perde nei tormentoni di un copione volutamente smontato e ricostruito. Ma è Lucia Mascino a dominare la scena con una Gertrude travolgente, sboccata, ironica e profondamente umana. Con una cofana di capelli ricci e guanti rossi scintillanti, Mascino si muove tra monologhi brillanti e momenti di sensualità grottesca, incarnando il cuore pulsante dello spettacolo. La sua Gertrude non è solo una regina, ma una forza della natura, un personaggio che riesce a essere, al tempo stesso, comico e tragico, profondo e sopra le righe. Timi, al centro di tutto, è il fulcro dello spettacolo, ma non nel senso tradizionale del termine. Non interpreta Amleto nel modo in cui ci si potrebbe aspettare: lo abita, lo trasforma in un’estensione del suo io. Il suo Amleto è un clown malinconico, un dio Pan che gioca con la morte e con la vita, un burattino infantile intrappolato tra la tragedia del suo destino e il gioco del suo essere. È un personaggio ambiguo, in bilico tra maschile e femminile, tra il sublime e il ridicolo, che si muove sulla scena con una leggerezza che nasconde una profondità inaspettata. La musica gioca un ruolo fondamentale nello spettacolo, riflettendo la sua natura schizofrenica. I brani si alternano senza soluzione di continuità: canzoni pop degli anni Ottanta lasciano il posto a brani di musica classica, creando un ritmo spezzato che amplifica il senso di disorientamento. La colonna sonora, come tutto il resto, è un elemento che si rifiuta di aderire a un unico registro, passando dal popolare al sublime con una leggerezza che tradisce una profonda consapevolezza artistica. Ma l’Amleto² non è solo un’esplosione di energia e creatività. È anche una riflessione sul teatro stesso, sul suo ruolo, sui suoi limiti e sulle sue possibilità. Timi usa il classico shakespeariano come uno specchio deformante, riflettendo non solo i temi dell’opera originale, ma anche le ossessioni, le paure e le contraddizioni del nostro tempo. La sua follia non è solo scenica, ma filosofica: come ogni grande folle, Timi si muove oltre i limiti della realtà, penetrandola per rivelarne il marcio. Questa libertà si estende anche al rapporto con il pubblico. Timi non interpreta, ma dialoga, provoca, seduce. La quarta parete non viene solo infranta, ma dissolta, in un gioco che mescola metateatro e performance, portando alla luce il processo stesso della creazione scenica. Gli attori non sono solo personaggi, ma anche sé stessi, esposti nella loro umanità e nella loro fragilità. E poi c’è l’ironia, che attraversa ogni momento dello spettacolo. Timi gioca con le convenzioni teatrali, con le aspettative del pubblico, con la tradizione stessa di Amleto. La tragedia si fa gioco, il dramma si fa parodia, e in questo gioco emerge una verità che è più profonda di qualsiasi interpretazione canonica. Non è uno spettacolo per tutti, e non vuole esserlo. È un’esperienza che sfida lo spettatore, che lo costringe a confrontarsi con il senso stesso del teatro e della rappresentazione. L’Amleto² di Filippo Timi è una festa teatrale, un’esplosione di vita e follia che, dietro la maschera del grottesco, riesce a far riflettere sul senso dell’esistenza. Un’opera sperimentale, coraggiosa, unica nel suo genere, che conferma Timi come uno dei più innovativi e visionari interpreti del teatro contemporaneo. La risata, in fondo, è solo l’inizio. Quando il silenzio arriva, dopo un’ora e mezza di spettacolo, lascia nello spettatore un senso di vertigine, una consapevolezza nuova, un desiderio di continuare a giocare. E forse, in questo gioco, c’è tutto il teatro, e tutta la vita.