Roma, Teatro Ambra Jovinelli
MIGLIORE
scritto e diretto da Mattia Torre
con Valerio Mastrandrea
Produzione Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo
Roma, 15 gennaio 2025
“Essere il migliore non sempre significa essere il più buono”. Questa frase, che porta con sé una velata contraddizione, racchiude il nucleo tematico di “Migliore”, il monologo scritto e diretto da Mattia Torre, portato sul palco del Teatro Ambra Jovinelli di Roma da un intenso Valerio Mastandrea. Non è solo teatro: è un viaggio attraverso la complessità della trasformazione personale, delle scelte morali e delle loro ambiguità. Mattia Torre, noto per il suo ruolo di autore nella celebre serie “Boris” e per altri successi come “Dov’è Mario?” con Corrado Guzzanti, costruisce qui un ritratto tagliente dell’uomo contemporaneo. Alfredo Beaumont, il protagonista, è un impiegato sommerso dalle aspettative altrui – che siano quelle della società, della famiglia o del lavoro – e lavora in un call center di lusso, soddisfacendo i desideri di clienti privilegiati. Un banale incidente sconvolge il suo equilibrio e lo spinge a una trasformazione che lo porta a imporsi sugli altri, abbracciando una forma di assertività che lascia però aperti interrogativi cruciali. Il monologo è un percorso che parte dalla fragilità per approdare alla forza, ma senza mai scadere nella celebrazione della potenza personale fine a sé stessa. Alfredo diventa un uomo diverso, più determinato, più diretto. Ma la domanda che il testo pone con intelligenza è se questa trasformazione lo renda realmente migliore, o semplicemente più distante dagli altri. L’identificazione con il protagonista è inevitabile, ma è un’identificazione scomoda, che costringe il pubblico a riflettere sul prezzo del cambiamento. La figura di Alfredo Beaumont è disegnata con grande precisione da Torre, che gli conferisce una stratificazione umana rara. La sua insicurezza, la sua paura di fallire, lo rendono inizialmente un uomo che cerca di sopravvivere. Tuttavia, il cambiamento che vive non è privo di ambiguità: il suo percorso verso l’affermazione personale si intreccia con un progressivo allontanamento dagli altri, trasformandolo in un individuo capace di affermarsi a discapito del prossimo. La forza del testo risiede proprio in questa ambivalenza, che apre a una molteplicità di interpretazioni e riflessioni.
Valerio Mastandrea affronta il testo con una profondità che scava sotto la superficie del personaggio. La sua voce, ruvida e intensa, diventa uno strumento di straordinaria efficacia espressiva. Ogni parola è calibrata, ogni pausa è carica di significato. Non c’è bisogno di scenografie elaborate: il palco essenziale, accompagnato da un disegno luci geometrico e sobrio, lascia che siano le parole e le pause a costruire l’immaginario. Questa semplicità formale amplifica l’impatto emotivo e drammatico del testo. Un elemento centrale dello spettacolo è l’urgenza espressiva. La regia – minimalista e misurata – non si perde in orpelli, ma si affida interamente alla forza narrativa del monologo e alla capacità di Mastandrea di mantenere alta l’attenzione del pubblico. Il risultato è un’esperienza che mescola ironia, fragilità e tensione emotiva, sempre in bilico tra il comico e il tragico. La sua presenza scenica è così magnetica che anche i silenzi diventano eloquenti, riempiendo lo spazio vuoto del palco con una densità emotiva che cattura e trattiene l’attenzione del pubblico. La trasformazione di Alfredo Beaumont – da uomo mediocre a figura assertiva, ma spietata – è raccontata senza giudizi morali, lasciando che siano gli spettatori a interrogarsi.
In questo senso, “Migliore” non è solo una storia personale, ma un’analisi sottile delle dinamiche di potere e delle relazioni sociali nella contemporaneità. Alfredo si eleva, ma a quale costo? La sua ascesa è accompagnata da una progressiva perdita di empatia, un tema che Torre tratteggia con grande lucidità. Il successo dello spettacolo è palpabile. La platea, colma e partecipe, reagisce con risate amare e applausi calorosi, testimonianza del potere che il teatro ha di stimolare non solo l’intrattenimento, ma anche una riflessione profonda. Ogni risata, ogni applauso sembrano quasi una conferma della connessione emotiva che si stabilisce tra il palco e il pubblico . Fuori dal teatro, il brusio del pubblico è pervaso da interrogativi che resteranno aperti ben oltre la fine della rappresentazione. Alla fine, “Migliore” è come Alfredo: complesso, ambiguo e tutt’altro che consolatorio. Non offre facili risposte, ma lascia che lo spettatore costruisca le proprie conclusioni. E mentre si esce dal teatro, con il freddo della notte romana che riporta alla realtà, non resta che domandarsi: in una società che premia i vincenti, c’è ancora spazio per chi non vuole essere migliore a tutti i costi? La risposta, forse, è nascosta tra le pieghe di un monologo che, con grande ironia, ci ricorda quanto sia sottile la linea tra successo e solitudine. @Photocredit Arianna Fraccon