Roma, Teatro Argentina
TRE MODI PER NON MORIRE
Baudelaire, Dante, i Greci
di Giuseppe Montesano
con Toni Servillo
luci Claudio De Pace
Roma, 08 gennaio 2025
Toni Servillo, con il suo spettacolo “Tre modi per non morire”, incarna l’essenza di un’esperienza teatrale che trascende la mera rappresentazione scenica, configurandosi come un itinerario intellettuale e filosofico di straordinaria densità. Questo viaggio, che si propone di contrastare l’appiattimento del pensiero e la progressiva alienazione indotta dalla dipendenza tecnologica, è un monito vibrante e potente sulla necessità di riappropriarsi del pensiero critico e della bellezza poetica. Andato in scena al Teatro Argentina di Roma, il monologo, scritto dal raffinato Giuseppe Montesano, è una coproduzione che vanta la collaborazione di prestigiose istituzioni teatrali quali il Piccolo Teatro di Milano e la Fondazione Teatro di Napoli. Il palco, volutamente spoglio, ridotto all’essenziale con un microfono e un leggio, rappresenta un manifesto estetico: è la parola, densa e scolpita, che assume il ruolo di protagonista, sorretta dall’imponente carisma di Servillo. La scelta minimalista non è fortemente simbolica, un invito a concentrarsi sull’essenza della narrazione, priva di distrazioni superflue. “La poesia e l’arte in che modo possono attaccarci alla vita e farci riflettere sulla loro potenza salvifica?”: questa domanda guida l’intero spettacolo. Toni Servillo e Giuseppe Montesano esplorano la risposta attraverso un percorso che si snoda tra Baudelaire, Dante e i Greci, accompagnando lo spettatore in un viaggio culturale e spirituale. Baudelaire, che in “Monsieur Baudelaire, quando finirà la notte?” descrive la bellezza come medicina contro la depressione e l’ingiustizia, offre una visione lucida e poetica della resistenza dell’anima. La notte, metafora dell’oscurità interiore e sociale, termina solo quando si trova il coraggio di “levare l’ancora e partire verso l’ignoto”, un invito all’audacia del pensiero e dell’azione. Il secondo segmento è dedicato a Dante Alighieri, pilastro della cultura italiana e universale. Attraverso le sue “voci”, Servillo ci conduce negli abissi dell’Inferno, dove i personaggi della Divina Commedia prendono vita con una potenza evocativa straordinaria. Paolo e Francesca, trafitti dall’amore e condannati a un destino eterno, narrano di un libro, galeotto, che li unì in un bacio che fu la loro rovina. Ulisse, con il suo invito a “non vivere come bruti, ma a seguir virtute e canoscenza”, ammonisce l’umanità sull’importanza della conoscenza e del coraggio. Il finale, con l’emblematica uscita “a riveder le stelle”, è un gesto di speranza che illumina l’oscurità dell’esistenza. L’ultima tappa si immerge nel pensiero greco, celebrando il teatro e la filosofia come strumenti supremi di liberazione. «I Greci hanno inventato tutto», dichiara Servillo, enfatizzando la grandezza di una civiltà che ha saputo aspirare all’eternità attraverso l’arte e il pensiero. Il mito della caverna di Platone è l’ultimo scorcio nel quale l’attore ci tuffa, sollecitandoci a riflettere su quali siano oggi le catene che imprigionano le nostre menti. Come Platone invita lo schiavo libero a non tornare indietro, ma a dirigersi verso la luce, così Servillo esorta lo spettatore a non cedere alle ombre della modernità, rappresentate dalla superficialità e dalla distrazione tecnologica. L’arte, secondo i Greci, non era un passatempo, ma un nutrimento quotidiano dell’anima, capace di illuminare le zone più oscure dell’esistenza. Ciò che rende “Tre modi per non morire” un’esperienza unica è la straordinaria capacità di Toni Servillo di trasfigurare il testo in un evento vivo e pulsante. La sua voce, potente e modulata con maestria, diventa il veicolo di un’emozione autentica, capace di toccare corde profonde nell’animo dello spettatore. Ogni parola, pronunciata con un rigore quasi sacrale, si staglia come un’opera d’arte, creando un dialogo intimo e coinvolgente tra l’interprete e il pubblico. Servillo cesella la parola, la scolpisce, la manipola con un’abilità unica, alternando toni sussurrati e momenti di intensità drammatica senza mai scivolare nel virtuosismo fine a se stesso. Questa capacità di padroneggiare il linguaggio teatrale – diverso da quello cinematografico – è il segno distintivo di un grande artista, capace di distinguersi in entrambi gli ambiti senza confonderne i codici espressivi. Il minimalismo della scenografia amplifica l’intensità dell’esperienza teatrale. In assenza di distrazioni visive, l’attenzione si concentra sulla forza intrinseca del linguaggio e sulla presenza scenica di Servillo. La sua capacità di creare immagini attraverso le parole è un tributo al potere evocativo del teatro, che si conferma come uno spazio privilegiato di riflessione e condivisione. In un contesto storico caratterizzato dalla velocità e dalla superficialità, “Tre modi per non morire” si erge come un manifesto contro la disumanizzazione e l’omologazione. La poesia, la filosofia e il teatro, intrecciati in un dialogo serrato, si offrono come strumenti per riscoprire la profondità dell’esistenza e la bellezza dell’umanità. Lo spettacolo non si limita a intrattenere, ma invita a una riflessione profonda, stimolando un senso di responsabilità culturale e intellettuale. Il pubblico, trascinato in un viaggio che attraversa secoli di cultura, esce dal teatro con la consapevolezza di aver assistito a qualcosa di straordinario. Non si tratta solo di un evento artistico, ma di un atto di resistenza culturale, un richiamo potente a riappropriarsi del tempo per pensare, per ascoltare e per immaginare un futuro diverso. Servillo, con la sua arte, riesce a dimostrare che il teatro è ancora uno spazio necessario, capace di dare senso al caos della modernità. “Tre modi per non morire” non è solo uno spettacolo: è un invito a riscoprire la poesia come forma di vita, la filosofia come guida e il teatro come luogo di verità. In un mondo in cui la velocità e l’effimero sembrano prevalere, questa rappresentazione ci ricorda che la bellezza e il pensiero sono le armi più potenti contro la mediocrità e l’oblio.